Ritorno sul libro di Vanessa Roghi ( Il passero coraggioso , Laterza 2022). Il libro riesuma le lotte per la democratizzazione della scuola, le risse nella stessa sinistra, il lavoro di tanti insegnanti riassunti nella figura di Mario Lodi. E ci ricorda che, per una ventina d’anni (tra il 1955 e il 1975 a occhio e croce), la scuola – prima le elementari e poi gli altri gradi – è stata viva, in mutazione. Lo fa muovendo da Cipì , la favola sovvertitrice che Lodi aveva scritto insieme ai suoi allievi ispirandosi al Movimento di cooperazione educativa, e che aveva preparato la strada al don Milani di Barbiana. Poi Lodi stesso – mostra Roghi – si rende conto che la formazione degli insegnanti, di fronte per esempio a una grande conquista come il tempo pieno, è inadeguata. Inadeguatezza che chi ha cominciato a insegnare negli anni sessanta conosce bene. Solo i più curiosi si guardavano intorno perplessi, leggevano, volevano tentare una scuola nuova. La scuola che ci aveva allevati ce la portavamo dentro e ci pareva naturale – o comodo – ripeterla all’infinito. Così, alla fine degli anni settanta, vecchio e nuovo si sgangherano reciprocamente, la consuetudine scolastica impoverisce lo sforzo inventivo burocratizzandolo, il clima politico-culturale cambia. Ma i problemi restano aperti, e anzi negli ultimi decenni si complicano pericolosamente. Roghi fa bene a rischierare il passato in battaglia, si ricomincerà.

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Questo articolo è uscito sul numero 1465 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati