Da quando è cominciata l’invasione russa dell’Ucraina, il Medio Oriente evita di schierarsi apertamente sulla questione. Ma le conseguenze si fanno sentire, soprattutto nei paesi della regione che dipendono dalle relazioni con Mosca o dalle importazioni russe. E soprattutto in Egitto, che attraversa una crisi economica e di sicurezza alimentare acuita dalla guerra.

L’Egitto ha subìto due duri colpi a causa del conflitto. Il paese è il più grande importatore mondiale di grano e ne riceve l’80 per cento da Russia e Ucraina. Inoltre sovvenziona la distribuzione di pane per due terzi della popolazione, cioè 70 milioni di persone: una spesa enorme. Anche il settore del turismo, già colpito dalla pandemia, rischia di essere penalizzato, visto che russi e ucraini rappresentano il 40 per cento dei visitatori.

Queste difficoltà hanno spinto il governo ad alzare i tassi d’interesse svalutando la sterlina egiziana e a cercare di ottenere aiuti e investimenti dai paesi del Golfo e dal Fondo monetario internazionale.

Molti sacrifici

Per il momento il paese probabilmente resisterà alle difficoltà, chiedendo molti sacrifici ai suoi cittadini. Ma a lungo termine la guerra in Ucraina avrà l’effetto di consolidare il ruolo centrale che l’esercito ha assunto nell’economia nazionale negli ultimi dieci anni. Il suo coinvolgimento nell’economia, che sotto il presidente Hosni Mubarak era relativamente limitato, è cresciuto dopo il colpo di stato del 2013. Il presidente Abdel Fattah al Sisi, un ex ufficiale, ha ereditato uno stato debole, svuotato da decenni di governo personalistico e dal caotico periodo post-rivoluzionario. Così si è affidato all’esercito per fornire servizi e gestire progetti.

Oggi si stima che i militari controllino il 25 per cento della spesa pubblica, attraverso la gestione di beni e servizi. Aziende dell’esercito sono coinvolte nella produzione alimentare e di dispositivi elettronici, nell’amministrazione di porti e zone industriali, nella fornitura di prodotti farmaceutici, nell’urbanistica e nelle telecomunicazioni. Questo ruolo esagerato indebolisce lo stato, i suoi apparati e il settore privato. Le altre aziende sono escluse dalla gestione dei progetti infrastrutturali e non sono in grado di competere all’estero. Le istituzioni non riescono a sviluppare le loro competenze.

Da sapere
Gas all’Italia e all’Europa

◆ L’Eni, l’azienda italiana dell’energia, ha annunciato il 13 aprile 2022 di aver firmato un accordo con l’Egyptian natural gas holding company (Egas) per aumentare la produzione di gas in Egitto e i rifornimenti di gas naturale liquefatto all’Europa. Secondo l’Eni l’accordo potrebbe garantire già quest’anno forniture fino a tre miliardi di metri cubi di gas liquefatto verso l’Europa. L’annuncio arriva mentre “l’Italia e l’Europa accelerano gli sforzi per trovare fonti alternative di gas e ridurre la loro dipendenza dalla Russia” in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, scrive la Reuters. Presente in Egitto dal 1954, l’Eni è attualmente il principale produttore d’idrocarburi nel paese, con circa 360mila barili di petrolio al giorno. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia, ha commentato su Facebook che l’accordo rischia di finanziare la repressione in Egitto e di fare “un danno enorme ai movimenti locali per i diritti umani”.


Per il governo di Al Sisi l’esercito è la risposta a qualunque problema, compresa la crisi scatenata dalla guerra in Ucraina. L’esercito prepara, distribuisce e vende pacchi con prodotti alimentari in tutto il paese, per decreto presidenziale, a metà del prezzo corrente. Ma ci saranno cambiamenti più grandi. Potrebbero aumentare le coltivazioni di grano, e le aziende che se ne occuperanno saranno quasi certamente gestite dall’esercito.

Per ora il ruolo sproporzionato dei militari va bene sia a loro sia al governo, ma a lungo termine potrebbe essere pericoloso. Eppure una guerra estranea all’Egitto sta rafforzando in modo inatteso il suo esercito. ◆ fdl

Questo articolo è pubblicato in collaborazione con l’agenzia Syndication bureau, che distribuisce articoli di analisi e opinione sul Medio Oriente.

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Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati