Ah sì, ho bisogno di un casco, mi dice Hubert Ardisson al telefono. E anche di un lucchetto. “Non c’è problema, tra venti minuti sono in albergo”. Non vedendo arrivare nessuno, un’ora dopo salgo sulla bici senza casco e senza lucchetto. Laissez-faire mediterraneo, mi dico. On y va, si parte per il grand tour della Corsica!

Sorpresa: già alla prima rotatoria di Bastia, c’è una linea bianca tratteggiata che segna il percorso riservato alle biciclette. Fiancheggiando il porto, la mia bici da corsa vola sopra uno strato sottile d’asfalto rosso: una vera pista ciclabile, con un guardrail a separarla dalla strada. “Fantastico, vero?”, dice Ardisson, che organizza i tour in bicicletta, quando mi raggiunge suonando il clacson per passarmi con un sorriso accattivante un casco e un lucchetto scadente. Poi aggiunge: “Solo che la pista finisce lì davanti”. Comunque è impossibile perdersi. Come spiega Ardisson: “Basta seguire la costa”.

La grande traversée 20 (Gt20), la nuova pista ciclabile, comincia con questa premessa. Il nome richiama il Gr 20, uno dei sentieri escursionistici più famosi d’Europa. Anche la pista ciclabile, proprio come il suo modello di riferimento, taglia l’isola da nord a sud. Chi volesse percorrere tutti i seicento chilometri e i 9.500 metri di dislivello complessivo (tra salite e discese), passerebbe quasi due settimane in sella alla bicicletta. Io mi accontento delle prime due tappe intorno a capo Corso, un “dito puntato” che si tuffa nel mare a nord dell’isola.

Il bosco di lecci

La Gt 20 fa parte di una strategia orientata a un turismo non di massa. L’idea è attirare un altro tipo di visitatori e di prolungare la stagione turistica oltre l’estate, adottando una linea più rispettosa dell’ambiente, visto che spesso chi viene qui in vacanza gira l’isola in camper, con auto a noleggio o con moto di grossa cilindrata. Dei piccoli cartelli bianchi indicano la via da seguire.

La prima tappa della Gt 20 segue la strada costiera, mentre quelle successive proseguono lungo vie secondarie che attraversano la vegetazione, il bosco di lecci, il deserto delle Agriate e alcuni villaggi montani. Probabilmente il tratto più duro è la salita di col de Vergio: 1.486 metri di dislivello per arrivare al valico più alto della Corsica. Il tragitto che passa per la periferia di Bastia, invece, è piuttosto tranquillo: al bordo della strada ci sono oleandri e buganvillee fiorite. Poco importa che si sia circondati da palazzine e benzinai, che la strada sia dissestata e che siamo continuamente sorpassati da auto e camion. Da una baia all’altra è tutto un saliscendi, ma per ora i dislivelli sono contenuti.

A Macinaggio, però, termina la parte piacevole: ci aspetta una salita di quattrocento metri di dislivello, sotto il sole cocente di mezzogiorno. Meglio fermarsi a mangiare una quiche. Nel porto di Macinaggio sono ancorate barche a vela e pescherecci. Hugo Laot,un bretone di trentun anni, si è messo comodo su una panchina di cemento davanti alla spiaggia e tira fuori una baguette e del prosciutto crudo: “Quello corso è buonissimo”, spiega tagliandone una fetta. La bici di Laot è molto carica: ha tre borse, e pesa dieci chili in più rispetto alle nostre. In tre giorni vorrebbe fare avanti e indietro tra Bastia e Isola Rossa. Ma non può caricare la bici che ha noleggiato né sul treno né sull’autobus. E prenderla in affitto in un posto e consegnarla in un altro è costoso. “Su questo aspetto dovrebbero proprio darsi da fare”, dice Laot. In effetti la logistica lascia molto a desiderare.

Le biciclette si noleggiano solo nelle città più grandi, e sulle poche tratte ferroviarie possono essere caricate solo se infilate in apposite borse. Per questo chi non imbarca la propria bici da viaggio sul traghetto si rivolge alle agenzie, spesso scegliendo il pacchetto comfort che include anche il trasporto dei bagagli. “Molti nostri clienti hanno una certa età”, dice Ardisson, “e tre quarti di loro noleggiano biciclette elettriche”. Salendo lungo i tornanti alle spalle di Macinaggio cresce l’invidia per questi anziani previdenti: curva dopo curva, la salita sembrava senza fine. Sull’asfalto hanno scritto con la vernice i chilometri che mancano, non si capisce se fino al passo o fino al porto di Centuri.

Eccoci finalmente al Col de la Serra. Dal passo si vede il monte Stello, 1.307 metri, la cima più alta della catena montuosa che attraversa da nord a sud la penisola di capo Corso. Il Moulin Mattei, uno dei mulini a vento tipici della zona, dista qualche centinaio di metri più in alto, un quarto d’ora a piedi in salita. Decisamente troppo in questo momento. Anche perché sento il richiamo del porto di Centuri e del suo mare. La strada stretta che scende verso il paese è talmente piena di curve che i turisti non fanno altro che spingere il freno delle loro auto a noleggio. La marina di Centuri è rimasta un villaggio famoso per le sue aragoste: ci sono ancora venti pescatori che ogni mattina prendono il largo per trovarle, e qualsiasi ristorante include nel menù primi piatti a base di questo nobile crostaceo. Tutto questo fa del porto di Centuri la tappa ideale per i cicloturisti.

Lungo i vigneti

“Gli australiani vengono da dieci anni, la settimana scorsa invece ho avuto un gruppo di brasiliani”, racconta Patricia Alessandrini, 55 anni, che con la figlia gestisce il Vieux moulin, un albergo caratteristico con una grande terrazza. È in una maison d’Americain, uno degli oltre cento palazzi fatti costruire dai ricchi emigranti di ritorno dalle colonie americane. Spesso questi palazzi hanno anche piccoli orti botanici con tante piante esotiche, perché questi corsi tornati nel loro paese volevano dimostrare quanto fossero ricchi e raffinati. Almeno tre o quattro camere al giorno sono prenotate dai ciclisti, spiega Alessandrini, ma spesso ci sono gruppi di dieci persone. Dal 2013, quando il Tour de France ha attraversato per la prima volta la Corsica, c’è stato un balzo in avanti del cicloturismo. “E sicuramente la Gt 20 gli darà un ulteriore slancio”.

Gli albergatori corsi che offrono bici a noleggio ricevono delle sovvenzioni. Ma per il momento i ciclisti non possono aspettarsi infrastrutture come quelle dei bike-hotel che ci sono altrove. Non ho pompe né attrezzi, spiega Alessandrini, e gli ospiti devono caricare le batterie in camera. Ma ci sono anche strutture con stazioni di ricarica, spiega Yan Soggia dell’associazione turistica corsa. E per il futuro si pensa a colonnine che funzionano con l’energia solare.

La mattina dopo, il percorso s’inerpica ripido e un piccolo aiuto elettrico sarebbe stato una benedizione. La pista continua snodandosi soprattutto in cima alla scogliera, lungo una strada che farebbe la fortuna di qualsiasi pubblicità di auto. Il mare turchese abbraccia golfi e faraglioni; al largo qualche barca a vela solca il blu profondo, in alto; sulle verdi colline, si vedono i villaggi isolati. Il panorama più bello, però, è riservato ai defunti. Infatti in cima alle colline spesso ci sono delle cappelle funerarie.

Alcuni pendii sono coperti da filari di vite e davanti alle vigne i cartelli invitano alle degustazioni. Capo Corso è tra le regioni vinicole più note dell’isola. Ma è raro che i ciclisti si fermino, spiega una giovane venditrice in un chiosco, perché in bici è quasi impossibile trasportare bottiglie. Le pendenze sono abbastanza dolci da poter pedalare in curva godendosi le discese, anche perché nella direzione opposta passano poche auto. Sull’asfalto, però, si intravedono le tracce delle frenate, a ricordare che è meglio non rilassarsi troppo.

L’ultima sosta a Nonza, un paese appollaiato su una roccia che dà su una vasta spiaggia nera. C’è anche una torre d’avvistamento che, stranamente, è quadrata e non è stata costruita dai genovesi. Da 160 metri di altezza si vedono il mare, il paese e i ruderi di una fortezza, con i turisti che mangiano sotto le tende parasole: un panorama meraviglioso.

Ma evidentemente non abbastanza appassionante per gli australiani in maglia rosa che ingurgitano i loro panini all’ombra di un maestoso platano nella piazza del paese. “Troppe salite”, osserva uno di loro. “Per oggi di panorami mozzafiato del mare ne abbiamo già avuti abbastanza”. E poi ci aspetta ancora un po’ di saliscendi. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati