Il francese David Sala, con origini spagnole, sotto il prisma delle potenti emozioni infantili narra sia la sua infanzia negli anni settanta e primi anni ottanta sia la sua difficile adolescenza dopo il divorzio dei genitori: affiorano così le storie di due eroi della resistenza, i nonni, materno e paterno, entrambi fuggiti dall’orrore del franchismo e del nazismo (quello materno fu deportato a Mauthausen), insieme agli orrori della grande storia. Sala trasfigura genialmente questo orrore in una dimensione fiabesca, conscio che nelle fiabe, intrise di archetipi, è labile il confine tra incanto e angoscia. Così, la floreale carta da parati di casa si muta in un bosco dai fiori alti e variopinti, ma dal fondo nero, oscuro: nel bosco i bambini si perdono e si cristallizza la loro paura di essere abbandonati. Se fosse un’opera di finzione e non un’autobiografia, peraltro pudica nei toni quanto lussureggiante nella forma, potrebbe sembrare artificiale la sistematicità di eventi molto brutti che spengono l’incanto e la felicità, dall’assassinio con dieci coltellate del suo amichetto di scuola da parte di un pedofilo fino alla morte improvvisa della madre in ottima salute. Ricco in simbolismi e riferimenti (Chagall, Magritte, l’espressionismo), Sala avvolge invece il lettore con delicatezza con i sentimenti più semplici e insieme più profondi. Il primo capolavoro dell’anno è un’opera della memoria che trasuda di amore verso gli esseri umani. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati