Marco Pisellonio era l’amico di Pilato in Brian di Nazareth dei Monty Python. A sentirne il nome i centurioni scoppiavano a ridere. Per provocarli, Pilato scandiva bene le sillabe e chi cedeva veniva cacciato. Il meccanismo di Lol: chi ride è fuori (Prime Video) parte più o meno da qui. Dieci comici, chiusi in uno stanzone, usano ogni mezzo per far ridere i colleghi. Vince chi rimane serio. Una sorta di tortura collettiva, come l’inopportuna ridarella ai funerali, da disinnescare congelando i muscoli facciali dentro espressioni vitree, respirando profondamente per raffreddare le budella. Il successo di un format semplice, di origine giapponese, evoluzione dell’antico “facciamo a chi ride prima”, sta proprio nel trattenere corpo e spirito dallo sfogarsi. Immaginate questa dinamica applicata ai talk show, con gli ospiti vincolati a non interrompersi. È un po’ quello che di recente Beppe Grillo ha stabilito per chi volesse i pentastellati nei propri studi: solo primi piani, nessun blocco pubblicitario e nessun accavallamento durante le risposte. Non è un’idea campata in aria, visto che esporre un concetto (laddove ce ne sia uno) è ormai occasione rara. Certo, il rischio è quello di precipitare nelle atmosfere plumbee di Tribuna politica, ma vedere i politici che paonazzi si legano al palo del silenzio pur di non cedere alle sirene dell’interruzione potrebbe essere una chiave originale e di indubbia comicità. “Chi sbotta è fuori”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati