Nel 2021 il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo ha fatto un sondaggio in cinquanta paesi intervistando 1,2 milioni di persone. La domanda era: “Pensate che ci sia un’emergenza climatica?”.

La grande maggioranza, il 64 per cento, ha risposto di sì, senza troppe differenze d’età, genere o livello d’istruzione (Italia e Regno Unito sono stati i due paesi con il maggior numero di risposte affermative, l’81 per cento).

È un paradosso: in tutto il mondo la gente chiede con forza che si affronti la crisi climatica, ma i governi fanno poco o nulla. In alcuni casi, ha scritto Bill McKibben sul Guardian, perché si tratta di regimi autoritari o di paesi con spazi di democrazia sempre più ristretti, come per esempio Cina, Brasile, India e ovviamente anche la Russia.

I dittatori sono spesso il prodotto dei combustibili fossili, anche perché il petrolio e il gas si concentrano in pochi posti e chi li controlla acquisisce un potere enorme. Sole e vento, invece, sono intrinsecamente democratici: sono ovunque e non possono essere controllati da una singola persona.

Per questo la battaglia ambientalista è innanzitutto una battaglia per la democrazia. E per questo sono proprio i paesi con i sistemi democratici più solidi quelli che fanno di più per l’ambiente.

Ma non basta e dobbiamo sbrigarci, avverte McKibben, o potremmo non riuscire a evitare la catastrofe climatica. Ecco allora che si può tentare di seguire una strada parallela a quella della politica: i soldi.

Se riuscissimo in qualche modo a convincere o a costringere i giganti finanziari a cambiare le loro scelte, potremmo fare importanti progressi. E perfino in tempi rapidi, “dato che la velocità è una caratteristica delle borse, più che dei parlamenti”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 7. Compra questo numero | Abbonati