Da 77 anni il premio Strega è il più importante concorso letterario italiano. Nato, come altri premi, per distinguere opere di qualità dalla massa dei romanzi popolari, negli ultimi decenni si è trasformato da riconoscimento a posteriori di un talento in una delle ragioni per cui i romanzi vengono prodotti. E ci è riuscito grazie al capitale economico (in termini di vendite) e simbolico che può offrire ai vincitori. Partendo da questa premessa, il saggio analizza testi, cinquine e risultati finali di questa macchina per il successo per capire come e perché si scrivono libri in Italia. Ne viene fuori una tesi interessante e impietosa: con poche eccezioni, editori e scrittori tendono a privilegiare storie che confermano le certezze del pubblico invece di metterle in crisi. Lo fanno attraverso una trama riconoscibile, non sperimentale né di genere, che evoca temi caldi e largamente consensuali (il male della storia, l’ecologia, i bambini) attraverso personaggi spesso reali. Ancora più sistematica è poi la rinuncia a una ricerca formale: lo stile deve essere comprensibile, senza eccessi né originalità, al servizio semmai di tensioni ideologiche ed etiche nel contenuto. Romanzi medi, insomma: esempi di quel Midcult teorizzato tanti anni fa da Dwight Macdonald in un saggio paradossalmente amato da Umberto Eco, qui definito “padre nobile” di questo “nobile intrattenimento”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati