Di solito, spostando le inquietudini nel futuro, gli scrittori usano la distopia per denunciare le angosce del presente. Questo libro rinnova il genere perché assume la prospettiva del 2040, ma prova a immaginare che le grandi catastrofi climatiche e politiche che oggi viviamo siano ormai sul punto di essere scongiurate. Inseriti in una cornice narrativa, i racconti degli otto autori (cronisti, giornalisti o ricercatori di scienze sociali) ripercorrono gli anni venti del ventunesimo secolo quelli in cui “abbiamo seriamente pensato che non ce l’avremmo fatta”. Ma al tempo stesso immaginano i modi diversi in cui si è cominciato a farcela. Talvolta la prospettiva è globale: Omar El Akkad, per esempio, immagina una commissione internazionale istituita per indagare sullo shadowing, il processo di occultamento dei dati sulle morti di migranti, manifestanti, vittime di catastrofi climatiche; Meehan Crist inventa uno sciopero mondiale delle donne che rimodella l’economia. In altri casi il futuro è pensato su una scala più locale: Claudia Durastanti sogna un’Italia in cui si censiscono tutte le opere pubbliche non portate a termine e si decide di completarle oppure eliminarle. Vincenzo Latronico costruisce una storia intorno alla gentrificazione delle campagne dell’Agro pontino e alla resistenza dei suoi abitanti. Leggendo ci si angoscia, qualche volta si ride, e si prova disperatamente a sperare. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati