La protagonista ha un nome che rimanda a storie d’introspezione e sofferenza: Ofelia. Ma qui Shakespeare non c’entra. Anche se a tratti questo bel romanzo di Stefania Gatti evoca le atmosfere cupe delle tragedie del bardo o del più recente Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood. Al centro della narrazione un luogo letterario frequentato molte volte nei romanzi dedicati all’adolescenza, quasi un topos: il collegio, a cui però l’autrice non dà solo vita, ma anche un senso. Ofelia finisce in collegio, come capita a molte ragazze, perché un terremoto colpisce la sua famiglia. La mamma è morta, il padre si è risposato, la matrigna è un incubo. La sua vita che prima era scandita da orari, abitudini, affetto, è completamente stravolta. Un incidente familiare porta a una decisione fatale: il collegio. E qui l’atmosfera già cupa si fa ancora più tetra. Perché finisce in una sorta di mondo parallelo, un universo degli orrori, in cui lei non solo è prigioniera, ma costretta a ogni sorta di fatica e umiliazione. Ridotta a essere solo una ragazza cattiva. L’autrice si è ispirata alle case Magdalene, istituti religiosi irlandesi in cui per circa due secoli trentamila ragazze ritenute “immorali” sono state rinchiuse e sfruttate. Una storia potente che v’incollerà alla pagina per il contenuto e per lo stile, che non annoia mai. Igiaba Scego

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Questo articolo è uscito sul numero 1474 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati