“L’agitazione interna” a cui ha fatto riferimento il presidente dell’Ecuador Guillermo Lasso (conservatore) il 17 maggio per giustificare lo scioglimento del parlamento non si è trasformata in agitazione di piazza. Alle prime luci dell’alba il perimetro del parlamento era già blindato, mentre le autorità avevano messo a punto un protocollo per mantenere l’ordine a Quito. Ma alla fine tutte le preoccupazioni si sono rivelate inutili. L’Ecuador ha assistito impassibile alla decisione del presidente, che ha trovato una via d’uscita dignitosa per evitare di essere destituito dal parlamento. L’improvvisa conclusione del suo mandato dà alla sinistra l’opportunità di tornare al potere ed evita a Lasso il disonore di un’estromissione forzata. Tutti per ora sembrano contenti. Il parlamento, che resterà chiuso fino alle prossime elezioni, è l’istituzione più criticata del paese: a marzo solo il 9 per cento della popolazione ne aveva un’opinione positiva. Per questo il suo scioglimento non ha provocato manifestazioni. Nei mesi fino al voto il presidente governerà per decreto.

Con le spalle al muro

Il mandato di Lasso era diventato molto difficile, soprattutto a causa dell’aumento della violenza legata alla presenza sempre più estesa dei gruppi di narcotrafficanti messicani e colombiani che operano nel paese.

Le elezioni amministrative, che si sono svolte a febbraio, non hanno aiutato il presidente. La sinistra ha vinto nelle principali città, anche a Guayaquil, che da trent’anni era governata dalla destra. Lasso ha approfittato del voto per lanciare un referendum sulla sicurezza, nel tentativo di avere il sostegno della popolazione. Ma non ha funzionato: più del 50 per cento dei votanti ha respinto le proposte del governo. L’ombra della corruzione ha finito per accerchiare il presidente, in carica da appena due anni. Infine il procedimento politico contro di lui per corruzione lo ha messo con le spalle al muro.

Negli ultimi giorni Lasso ha cercato di assicurarsi l’appoggio di alcuni deputati dell’opposizione per superare il voto di sfiducia, ma il sospetto che qualcuno lo potesse tradire lo ha convinto a far saltare il banco. Ha preferito andarsene volontariamente, ricorrendo a un meccanismo previsto dalla costituzione, chiamato muerte cruzada. Secondo Lasso il parlamento aveva un piano per “destabilizzare il governo, la democrazia e lo stato”.

Nei prossimi giorni il consiglio elettorale annuncerà la data delle elezioni, che dovrebbero svolgersi alla fine di agosto. In Ecuador le presidenziali prevedono il ballottaggio, con una distanza di un mese tra un voto e l’altro. Il gran numero di partiti rende difficile una vittoria al primo turno, riuscita finora solo a Rafael Correa (sinistra) nel 2009. L’ex presidente monopolizza ancora la politica nazionale anche se vive in Belgio ed è stato condannato per corruzione in Ecuador, motivo per cui non può tornarci.

Correa ha un atteggiamento ambivalente: da un lato dice che, al contrario di quanto dichiara Lasso, la crisi attuale non è colpa del parlamento; dall’altro che il modo migliore per voltare pagina sia far decidere alle urne il futuro dell’Ecuador.

Nel paese ci sono solo due forze capaci di mobilitare la popolazione: il partito di Correa, Revolución ciudadana, e i popoli nativi. Con il primo concentrato sulle prossime elezioni, tutti aspettavano di capire come si sarebbe comportata la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie). Tuttavia, in un comunicato pubblicato subito dopo lo scioglimento del parlamento, la confederazione si è limitata a promettere che controllerà la situazione e si mobiliterà solo se Lasso dovesse esagerare nel governare per decreto da qui alle prossime elezioni.

Le immagini dei militari e della polizia che, all’alba del 17 maggio, hanno circondato l’edificio del parlamento a Quito facevano temere il peggio. Ma alla fine, a parte i funzionari che si sono presentati al lavoro e sono stati invitati a tornare a casa, nessuno si è avvicinato al palazzo dell’assemblea nazionale e nessuno nel paese è sceso in piazza. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati