Neil Warburton stava finendo la sua colazione a base di porridge e miele locale quando sono arrivati i soldati armati. Dirigente di lungo corso nel settore minerario, era arrivato in Etiopia meridionale nel 2023 per controllare i progressi nella sua miniera di litio, che avrebbe dovuto cominciare la produzione alla fine del 2024. Tutto invece ha preso una brutta piega, forse in modo irreversibile. La miniera, che vale due miliardi di dollari, è uno dei tanti progetti finiti nel mezzo di una contesa feroce per accaparrarsi metalli e minerali di valore. Due superpotenze – gli Stati Uniti e la Cina – stanno facendo enormi investimenti per alimentare l’economia, ma a sua volta tutto questo spinge i paesi in via di sviluppo, dove si trovano le miniere, a chiedere una fetta più grande dei profitti.

Il 16 ottobre 2023 Wartburton era con il direttore della miniera e i geologi quando è arrivato un colonnello dell’esercito etiope e ha ordinato a tutti gli stranieri di abbandonare il sito per motivi di sicurezza. Warburton ha notato le armi automatiche tra le braccia dei soldati e quelle montate sui pick-up bianchi. Decine di soldati hanno affiancato gli stranieri, più o meno una decina, e li hanno condotti in macchina in una cittadina lì vicino. “È stato spaventoso”, ha detto Warburton, amministratore delegato dell’Abyssinian Group. “Erano soldati con armi automatiche. E se ti dicono di muoverti, ubbidisci”.

Nel 2021 un’unità dell’Abyssinian Group aveva cominciato a sondare l’area in società con un’azienda mineraria di stato: l’Abyssinian avrebbe sostenuto i costi dell’esplorazione, ottenendo in cambio il 51 per cento dei profitti. Poi, però, il governo etiope aveva chiesto delle somme extra in contanti. L’Abyssinian si era offerta di pagare decine di milioni di dollari per risolvere la disputa in cambio di alcune concessioni, ma ad agosto del 2023 si era vista revocare la licenza. Poi a ottobre il suo rappresentante nel paese, Ali Hussein Mohammed, era stato convocato ad Addis Abeba: ufficialmente per continuare le trattative, ma in realtà era stato arrestato. Secondo il governo, Mohammed ha estratto litio e l’ha esportato senza averne l’autorizzazione, un’accusa respinta dal suo avvocato e dall’Abyssinian Group. Secondo Stephen Miller, un dirigente dell’Abyssinian, l’azienda era stata invitata a impegnare fondi e competenze in Etiopia, anche per aiutare l’economia del paese. “Ora ci stanno mettendo da parte”.

Iniziative protezioniste

Il caso dell’Abyssinian Group è solo uno dei tanti esempi di nazionalismo delle risorse nel mondo, dal Messico alla Mongolia, passando per l’Africa. Negli ultimi decenni i governi e le aziende minerarie hanno avuto dei dissidi, ma avvocati e dirigenti affermano di non aver mai assistito a tanti arresti e azioni di stampo nazionalistico. A dicembre l’azienda di analisi dei rischi Versi Maplecroft ha dichiarato che in 72 dei 198 paesi che segue per un indice sul nazionalismo delle risorse si è registrato un aumento significativo di interventi e iniziative protezionistiche. Helaina Matza, funzionaria del dipartimento di stato degli Stati Uniti, ha detto che Wash­ington è preoccupata a causa delle “azioni sempre più aggressive” verso gli occidentali in alcuni mercati.

Gli investitori hanno paura di impegnare grandi somme di denaro nelle miniere. È normale che i governi cerchino di ottenere più soldi che possono dalle aziende minerarie quando i prezzi delle materie prime schizzano alle stelle e i loro profitti aumentano. E oggi c’è un consenso abbastanza diffuso sul fatto che una percentuale più ampia dei profitti debba andare alle comunità locali. Tra l’altro, molti governi sono a corto di liquidità dopo l’impennata dei prestiti contratti durante la pandemia. Inoltre, “si stanno rendendo conto dell’importanza di questi minerali per gli Stati Uniti e la Cina”, ha dichiarato Jeffery Commission, direttore della Burford Capital, un’azienda che si occupa di contenziosi legali. Secondo gli operatori del settore c’è però una differenza tra la revisione bilaterale dei diritti minerari e il ricorso all’intimidazione. “Le persone sono arrestate e tenute in ostaggio, trattate come merce di scambio: non avevo mai visto niente di simile nella mia carriera”, ha dichiarato Damien Nyer, dello studio legale White & Case. John Ciampaglia, della Sprott, un’azienda canadese di gestione patrimoniale specializzata in metalli preziosi e materie prime, sostiene che la sua squadra è molto più prudente quando deve finanziarie aziende in alcuni posti, in particolare in Africa occidentale. Panamá ha stupito il mercato del rame poco più di un anno fa, quando una sentenza ha imposto la chiusura della miniera Cobre Panama della First Quantum Minerals, che copriva circa l’1,5 per cento della produzione mondiale di rame. “Questo è un ottimo esempio”, dice Ciampaglia. “Gli investitori pensavano di finanziare una miniera a Panamá, ma in realtà stavano dando i soldi a un partito politico”.

In Mali il governo militare alleato della Russia ha incassato quasi 250 milioni di dollari dalle aziende minerarie straniere, tra cui la canadese Barrick Gold. A dicembre ha emesso un mandato di cattura per l’amministratore delegato della Barrick, Mark Bristow. A settembre, aveva arrestato per un breve periodo quattro dipendenti dell’azienda, rilasciandoli solo dopo che la compagnia aveva pagato 85 milioni di dollari per “risolvere la disputa in corso”. Da allora, secondo la Barrick, diversi dipendenti sono stati arrestati con accuse infondate. Se questi episodi dovessero continuare, l’azienda sospenderà l’attività in Mali (il 14 gennaio il governo ha applicato un ordine di sequestro delle riserve auree nella miniera della Barrick).

Intanto nella divisione della Banca mondiale che si occupa delle dispute sugli investimenti il numero di cause legate al settore minerario è esploso. Anche l’Abyssinian Group e la Barrick vogliono rivolgersi alla Banca mondiale. L’esito di alcune cause lascia ben sperare le aziende. Nel 2020 l’australiana Indiana Resources ha fatto causa alla Tanzania dopo una riforma delle norme nel settore minerario, il ritiro della licenza e il sequestro del terreno dove sarebbe dovuta sorgere una miniera di nichel. L’azienda ha ottenuto un risarcimento di più di cento milioni di dollari. In seguito le parti hanno raggiunto un accordo da novanta milioni di dollari. Warburton ha lavorato molto in Africa. Il progetto etiope doveva essere il coronamento di una carriera durata più di quarant’anni. Ma oggi dice: “Non ci tornerò mai più. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1597 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati