Sun Peidong teneva uno degli unici corsi sulla rivoluzione culturale disponibili in Cina. Per anni è stata docente di storia alla prestigiosa università Fudan di Shanghai, dove aiutava gli studenti ad affrontare quel complesso e traumatico capitolo del passato cinese. Tuttavia, quando la libertà d’espressione su temi sensibili ha cominciato a ridursi, Sun è diventata una dei sempre più numerosi studiosi presi di mira, censurati, indagati e infine puniti dalle autorità. Poi, nel 2019, i suoi studenti l’hanno denunciata all’università per “sovversione” contro lo stato. Dopo le minacce alla sua famiglia e le crescenti pressioni, all’inizio del 2020 Sun ha deciso di lasciare il lavoro e il paese.

Da sempre il Partito comunista cinese (Pcc) controlla e riscrive la storia, ma mai come durante il mandato del presidente Xi Jinping. Considerato da molti il leader più potente degli ultimi vent’anni, Xi si è sempre preoccupato della storia e del posto che nella storia è riservato a lui. Oggi, mentre si appresta a rompere con la tradizione puntando a un terzo mandato il prossimo anno, Xi si presenta come l’uomo forte che guida la nazione, salvaguarda la storia ufficiale del partito e, così facendo, ne assicura il futuro.

“La Cina perde l’opportunità di imparare lezioni preziose”

La settimana scorsa, in una riunione a porte chiuse durata quattro giorni e guidata da Xi Jinping, l’élite politica e militare cinese ha approvato una risoluzione che delinea i “principali risultati e l’esperienza storica” dei cento anni del partito. L’incontro ha segnato la sesta sessione plenaria del comitato centrale del Pcc – il più alto organo del partito – ed è stato l’ultimo grande appuntamento prima del congresso del 2022, al termine del quale sarà nominato un nuovo comitato.

In tutta la storia del Pcc sono state emesse solo tre risoluzioni. Le prime due – presentate sotto Mao Zedong nel 1945 e Deng Xiaoping nel 1981 – rafforzarono i due leader in momenti fondamentali per la Cina, e hanno aperto la strada a significativi cambiamenti politici.

Assicurandosi una risoluzione simile a quelle, dicono gli studiosi, Xi cementa il suo status all’interno del partito e segue le orme dei suoi predecessori più illustri. “Questa risoluzione stabilisce prospettiva e tono di un nuovo capitolo della storia cinese: i prossimi cento anni di governo del Pcc”, sostiene Diana Fu, docente di scienze politiche all’università di Toronto. “Xi, come timoniere del paese in questo nuovo capitolo, è elevato allo status di Mao e Deng. La sua importanza diventa enorme”.

Xi è sempre stato consapevole degli echi della storia. Appena diventato presidente, tra il 2012 e il 2013, è andato nel Guangdong richiamando un famoso viaggio di Deng del 1992, diventato un punto di svolta nello sviluppo della Cina. In quell’occasione Deng fece una serie di incontri per rinvigorire il programma di riforme economiche e di “apertura”. Nel corso della sua visita, Xi ha incontrato i politici più potenti del paese, ha parlato dell’importanza di garantire il controllo del partito e di come preservarne l’eredità storica sia la chiave per farlo. “Perché il Partito comunista sovietico è crollato? Una ragione importante è che i suoi ideali e convinzioni hanno vacillato. Il partito ha negato la storia sovietica, la sua storia, Lenin, Stalin, e ha adottato il nichilismo storico”, ha detto Xi riferendosi alle critiche che mettono in discussione la versione ufficiale della storia e l’ortodossia del partito. “Alla fine, nessuno si è dimostrato un vero uomo. Nessuno si è fatto avanti per resistere”.

È un errore che Xi sembra voler evitare. Negli ultimi anni ha rafforzato l’aderenza del Pcc alla sua eredità storica e ha consolidato il controllo del partito sul paese, iscrivendo inoltre il proprio pensiero politico nella costituzione e rimuovendo il limite di due mandati presidenziali.

La battaglia per la memoria

Se è vero che il partito ha sempre censurato pagine della storia cinese ritenute politicamente delicate, di recente ha intensificato molto queste operazioni. Nei mezzi d’informazione e nella retorica di stato, le autorità hanno intimato ai cittadini e agli storici di combattere il “nichilismo storico” per mantenere la stabilità del partito e della nazione. “Nascondendo gli errori del passato sotto il tappeto, la Cina perde l’opportunità di imparare lezioni preziose ed evitare errori futuri”, dice Lijia Zhang, autrice di Socialismo è grande! (Cooper 2015) e coautrice di una storia orale della Cina. “Le autorità che si lodano da sole rischiano di alimentare un nazionalismo ottuso, che è già in aumento”.

Cina-Stati Uniti
Un colloquio amichevole

La tanto attesa videoconferenza tra il presidente cinese Xi Jinping e quello statunitense Joe Biden è avvenuta il 16 novembre e ha rispettato le modeste aspettative della vigilia, scrive la Bbc. Il colloquio, durato tre ore e mezza, è stato il più significativo tra i due da quando Biden è arrivato alla Casa Bianca lo scorso gennaio ed è stato amichevole, anche se ha toccato molti temi al centro dei dissidi tra Cina e Stati Uniti.

Tra le questioni discusse dai due presidenti, quella di Taiwan è stata la più delicata. Xi Jinping ha avvisato Biden che sostenere l’indipendenza dell’isola, che Pechino considera una sua provincia ma che di fatto è un paese a sé (anche se riconosciuto ufficialmente solo da 14 nazioni), equivale a “giocare con il fuoco”. Le libertà a Hong Kong e i diritti umani degli uiguri nello Xinjiang sono altri due temi cari a Washington e sollevati da Biden durante il colloquio, mentre Xi Jinping ha chiesto agli Stati Uniti di non usare la sicurezza nazionale come scusa per imporre restrizioni alle aziende cinesi. Le posizioni dei due paesi non sono cambiate ma lo scopo dichiarato da entrambi i leader era allentare le tensioni, che nelle ultime settimane erano cresciute pericolosamente.

I progressi si sono visti il giorno dopo il summit, quando è stato raggiunto un accordo sull’allentamento delle restrizioni ai visti per i giornalisti, uno dei motivi di scontro nell’ultimo anno e, scrive la Xinhua, al centro di un lungo negoziato tra Washington e Pechino. A febbraio gli Stati Uniti avevano classificato le testate giornalistiche di stato cinesi come missioni diplomatiche, sottoposte quindi a controlli speciali. La misura aveva provocato la reazione di Pechino, che il mese dopo aveva espulso dalla Cina tredici giornalisti statunitensi. Non è chiaro se i corrispondenti espulsi potranno tornare nel paese, ma le due parti hanno deciso di portare l’attuale durata dei visti per la stampa da tre mesi a un anno, e di facilitare i viaggi dei reporter nei rispettivi paesi. ◆


Non solo si è allargato il campo dei temi considerati tabù, dice Jeffrey Wasserstrom, storico della Cina moderna all’università della California a Irvine. Si è intensificato anche il controllo su questi temi. La battaglia per la memoria è solo un aspetto della spinta del partito a uniformare vari aspetti dell’identità cinese, come la religione, la lingua e la cultura.

Se le due risoluzioni passate includevano riflessioni sugli errori ammessi dal partito – quella del 1945, per esempio, esaminava i passi falsi dei primi 34 anni di rivoluzione, mentre quella del 1981 si occupava dei disordini della rivoluzione culturale –, quella nuova dovrebbe concentrarsi solo sui successi del Pcc. E di Xi.

Per Jennifer Altehenger, che insegna storia cinese all’università di Oxford, la risoluzione non è sorprendente, visto che a luglio c’è stato il centenario del Pcc. “Non la vedo come un tentativo di maggior controllo di Xi, ma come il prossimo passo nel pensiero del partito, il tentativo di trovare un’idea condivisa”, spiega. “Anche i documenti che esaminavano gli ‘errori’ del Pcc servivano a creare un percorso”.

Dagli Stati Uniti, dove ora vive, Sun paragona il regime di Xi a quello di altri sistemi autoritari. Dopo aver lasciato la Cina, ha insegnato per un anno a Sciences-Po, l’istituto di studi politici di Parigi, e di recente è passata alla Cornell university, dove intende continuare le sue ricerche sulla rivoluzione culturale. “I dittatori possono sentirsi sicuri per il fatto che tutto è controllato secondo le loro regole, perché hanno prodotto un’ideologia autoritaria per giustificare il loro potere assoluto e fare il lavaggio del cervello ai cittadini. Ma la caduta del muro di Berlino è arrivata in maniera inaspettata”, commenta Sun. “Naturalmente l’autoritarismo digitale cinese è più potente di qualsiasi regime dell’umanità. Ma è per questo che il mondo deve avere più consapevolezza di queste sfide”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1436 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati