Sbadigliamo una decina di volte al giorno, ognuna delle quali dura in media sei secondi. In totale ammonterebbe a un minuto di sbadigli al giorno, ma di solito succede solo quando siamo stanchi o annoiati. Cominciamo a farlo già nel grembo materno, come ha dimostrato uno studio olandese.

Lo sbadiglio si può suddividere in tre fasi, dice Ulrich Gößler, otorinolaringoiatra e medico del sonno: “Una lunga fase di inspirazione, un breve momento apicale e una corta fase espiratoria”. Per riflesso spalanchiamo la bocca e inspiriamo profondamente, e nel frattempo tendiamo la muscolatura facciale. Gli occhi possono lacrimare, e a causa della chiusura delle trombe di Eustachio, che collegano l’orecchio medio alla rinofaringe, il nostro udito peggiora per un attimo. Dal punto di vista evoluzionistico lo sbadiglio sembra svantaggioso, dato che tra l’altro risulta poco attraente. Allora perché lo facciamo?

Nell’antica Grecia, Ippocrate suppose che sbadigliando i polmoni espellono “l’aria cattiva” (cioè l’anidride carbonica). Dal punto di vista fisiologico è vero. Ma la tesi secondo cui lo scopo dello sbadiglio sia aumentare la quantità di ossigeno nel sangue è stata confutata dal neuropsicologo Robert Provine nel 1987. Provine fece respirare a un campione di persone aria con un alto tasso di anidride carbonica e aria normale, confrontando poi la frequenza degli sbadigli. Risultò che i soggetti respiravano più velocemente, ma non sbadigliavano più spesso.

Secondo un’altra teoria sbadigliare ci aiuterebbe a rimanere vigili. Adrian Guggisberg, neurologo dell’Inselspital di Berna, in Svizzera, l’ha messa alla prova misurando i flussi cerebrali di alcune persone che sedevano in una stanza buia. “Più i soggetti erano stanchi, più onde delta apparivano nei loro encefalogrammi – e più frequentemente sbadigliavano. Ma le onde delta rimanevano costanti anche dopo gli sbadigli”, dice. Cosa succede esattamente nel cervello quando sbadigliamo è ancora oggi poco chiaro.

“È una complessa interazione tra diverse regioni del cervello”, dice Guggisberg. “Si ritiene che l’esecuzione motoria dello sbadiglio sia diretta dal tronco encefalico”. Ma sarebbero coinvolte anche l’ipofisi e l’ipotalamo. Quest’ultimo produce l’ossitocina, l’ormone associato all’affettività, che viene immagazzinata nell’ipofisi e che come la dopamina ha scatenato degli sbadigli negli esperimenti con i ratti. Quindi lo sbadiglio ha una funzione sociale?

Probabilmente sì, dice Guggisberg: per questo è contagioso. “Quando vediamo qualcuno sbadigliare, i lobi frontali e temporali del nostro cervello si attivano. Sono le stesse aree responsabili dell’empatia”. Gli studi hanno dimostrato che le persone più empatiche sono contagiate più facilmente dagli sbadigli degli altri. I pazienti autistici e schizofrenici, invece, lo sono meno.

Aria fresca

Forse la teoria più sorprendente viene da Andrew Gallup, professore di psicobiologia alla State university di New York: “Abbiamo scoperto che sbadigliare abbassa la temperatura del cervello, e che più l’ambiente circostante è caldo, più spesso sbadigliamo”. Gallup ha studiato la durata dello sbadiglio di più di cento specie di mammiferi e uccelli. “C’è una correlazione molto evidente tra la durata dello sbadiglio di un animale e le dimensioni e la complessità del suo cervello”. Gli animali con cervelli più grandi devono sbadigliare più a lungo per rinfrescare il loro cervello, ipotizza lo scienziato.

Non è ancora stata detta l’ultima parola sugli sbadigli. Ma se Gallup ha ragione, allora con il cambiamento climatico e le ondate di calore dovremmo anche sbadigliare di più. E succederà soprattutto ai capodogli. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 103. Compra questo numero | Abbonati