Una nave per il soccorso dei migranti finanziata dall’artista britannico Banksy è stata sottoposta a fermo amministrativo dalle autorità italiane dopo che l’equipaggio aveva risposto a una richiesta di aiuto nel Mediterraneo. L’imbarcazione si chiama Louise Michel, in onore di un’anarchica femminista francese. Il provvedimento è stato deciso il 26 marzo e ora la nave è nel porto di Lampedusa, in Sicilia. L’equipaggio è accusato di aver violato le nuove norme stabilite dal governo italiano sulle operazioni di soccorso in mare fatte dalle ong.

“Sappiamo di decine di imbarcazioni in pericolo proprio di fronte all’isola in questo momento, eppure ci viene impedito di assisterle. È inaccettabile!”, ha scritto l’equipaggio in un tweet il 25 marzo. Lo stesso giorno 29 persone provenienti dall’Africa subsahariana sono morte cercando di raggiungere l’Italia: le due imbarcazioni su cui si trovavano sono affondate al largo delle coste tunisine.

Secondo la guardia costiera italiana, nei due giorni precedenti le autorità italiane avevano intimato alla nave umanitaria di fare rotta verso il porto di Trapani dopo che aveva compiuto un primo salvataggio. Ma viste le tante richieste d’aiuto, la squadra aveva fatto un’altra operazione di soccorso, violando le norme introdotte con un decreto dal governo di estrema destra.

“Un’imbarcazione si era ribaltata”, ha riferito il 25 marzo l’equipaggio della Louise Michel su Twitter. “Trentaquattro persone sono state salvate durante la notte. Una madre e il suo bambino privo di sensi sono stati soccorsi, insieme a un’altra persona in pericolo di vita. Una nave della guardia costiera italiana era presente sul posto, ma ha ignorato le ripetute richieste di assistenza per 37 minuti, prima di collaborare alle operazioni. Tutto questo mentre i migranti erano in acqua proprio davanti a loro. Anche dopo aver ricevuto diverse segnalazioni sulle barche in difficoltà, il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo ha ordinato ripetutamente all’equipaggio di non agire ma di fare rotta verso nord senza effettuare un altro salvataggio”.

La guardia costiera italiana ha accusato la Louise Michel di aver tenuto “un comportamento che complicava il delicato lavoro di coordinamento dei soccorsi”, in un weekend in cui decine d’imbarcazioni cariche di migranti sono arrivate a Lampedusa. L’incidente segue di poche settimane quello che ha coinvolto un caicco con più di cento migranti affondato a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria. Finora sono stati recuperati novanta corpi, tra cui quelli di decine di bambini, provenienti da Afghanistan, Siria, Iran, Pakistan e Iraq.

Lotta antifascista

“Le autorità europee sono perfettamente consapevoli della presenza di persone che hanno bisogno d’aiuto nella loro zona Sar (la zona di ricerca e soccorso)”, ha replicato l’ong. “Eppure hanno deciso d’impedire alla Louise Michel di uscire in mare. Ieri diverse persone hanno perso la vita a causa di due naufragi. Queste morti non sono un’incidente né una tragedia. Sono morti volute”. La Louise Michel, sulla cui carena Banksy ha realizzato un’immagine di una bambina con un giubbotto di salvataggio e un salvagente a forma di cuore, batte bandiera tedesca. Il coinvolgimento dell’artista nelle missioni di salvataggio risale al dicembre 2019, quando ha inviato un’email a Pia Klemp, capitana di diverse navi umanitarie che negli ultimi anni hanno salvato migliaia di vite. “Ciao Pia, ho letto la tua storia sui giornali. Sono un artista britannico e ho fatto alcune opere sulla crisi dei migranti. Non posso tenermi i soldi ricevuti. Potresti usarli per comprare una nuova barca?”.

Klemp ha pensato a uno scherzo, ma poi ha capito di essere stata scelta da Bank­sy per il suo impegno politico. “Non penso che il soccorso in mare sia un’attività umanitaria. Per me fa parte di una lotta antifascista”, ha dichiarato Klemp.

Con una velocità massima di 27 nodi, la Louise Michel è in grado di “battere sul tempo le navi della guardia costiera libica prima che raggiungano le imbarcazioni dei migranti per riportarli nei campi di detenzione”, spiega Klemp. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati