Tutte le strade portano a Roma, anche quando sono a traffico limitato. Nel 45 aC, stanco del caos generato dagli ingorghi nelle strette strade della città eterna, Giulio Cesare vietò a carri e cavalli di circolare all’interno dell’urbe dall’alba al tramonto. La legge di Cesare fu anticipatrice delle recenti misure adottate contro il traffico e l’inquinamento nelle città, e in particolare delle zone a traffico limitato (ztl), che hanno sedotto diverse città tedesche, svizzere, belghe e cominciano a vedersi anche in Francia. Per capire come funzionano le ztl, quali vantaggi e inconvenienti hanno, l’Italia è un territorio privilegiato. La maggior parte delle città della penisola ha infatti un’area di questo tipo. A Milano c’è la più grande d’Europa: il 72 per cento del comune, cioè più di 128 chilometri quadrati, è all’interno di una ztl. A differenza della zona pedonale, la ztl copre un settore piuttosto grande. La circolazione è autorizzata solo ad alcuni veicoli o persone: mezzi pubblici, taxi, residenti, chi ha una disabilità, servizi di emergenza e chi fa consegne. Lo sviluppo di questo sistema è legato alla ricchezza del patrimonio artistico italiano: c’erano siti archeologici anneriti dai gas di scarico e statue corrose dall’inquinamento. Le ztl nascono per proteggere i centri storici.

“La prima è stata fatta in Toscana, a Siena, in piazza del Campo, nel 1962”, ricorda Luca Tamini, che insegna urbanistica al politecnico di Milano. Poi un po’ alla volta le ztl si sono diffuse, in particolare in Lombardia, che ha i livelli di inquinamento più alti d’Europa. “L’arrivo delle zone a traffico limitato a Milano nel 2012 si spiega prima di tutto con la volontà di lottare contro l’inquinamento atmosferico della città”, osserva Arianna Censi, assessora alla mobilità e ai trasporti del comune.

“Il giorno in cui entrarono in vigore le ztl sembrava che fosse arrivata la fine del mondo. I residenti del centro erano quasi venuti alle mani con Pierfrancesco Maran, all’epoca assessore alla mobilità del comune”, racconta Federico Parolotto, fondatore dello studio di consulenza Mobility in Chain. I commercianti temevano una riduzione del fatturato, ma hanno cambiato idea: “Nelle ztl la percentuale di locali al piano strada sfitti è minore rispetto alle altre zone. Significa che le attività commerciali durano più a lungo nelle zone a traffico limitato. Oggi i grandi marchi che arrivano a Milano chiedono di essere all’interno di queste zone”, dice Tamini.

Nel 2018, dopo che la Commissione europea aveva portato davanti alla Corte di giustizia europea l’Italia per le ripetute infrazioni in materia di inquinamento dell’aria, Milano ha deciso di fare di più. Dal 25 febbraio 2019 ha una ztl chiamata “Area B” che vieta la circolazione in quasi tutta la città ai veicoli più inquinanti. Sei mesi dopo la frequenza di questo tipo di mezzi è diminuita del 13 per cento, con 12mila veicoli in meno ogni giorno. “Abbiamo sbloccato tre milioni di euro per finanziare l’acquisto di mezzi di trasporto ibridi o elettrici”, sottolinea Censi.

Mobilità alternativa

“Le ztl hanno migliorato la situazione nei centri urbani, ma in periferia si continua a litigare per i parcheggi. Lo spazio pubblico rimane colonizzato dalle lamiere e quando si va a piedi bisogna farsi strada tra le auto parcheggiate”, si rammarica Paolo Pileri, che come Tamini insegna urbanistica al politecnico.

“Se vogliamo ridurre il traffico non bastano i divieti. Ci vuole una mobilità alternativa”, osserva Stefano Boeri. L’architetto e urbanista sta lavorando su un concetto, la città arcipelago: “Allargare le ztl a partire dal centro significa escludere gli abitanti delle periferie. Ci vuole un sistema più inclusivo, con un patchwork di isole pedonali. Queste isole saranno distribuite in tutta la metropoli e si potrà prendere l’auto, la bicicletta o i mezzi pubblici per andare da un’isola all’altra”. ◆adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1440 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati