Maggie Nelson
Bluets
Nottetempo, 108 pagine, 14 euro

Duecentoquaranta frammenti che inseguono un’ossessione. Questo libro di Maggie Nelson, in Italia nella traduzione di Alessandra Castellazzi, comincia con una domanda: “E se vi dicessi che mi sono innamorata di un colore?”. Il colore è più precisamente il blu, che s’incunea in ogni aspetto della vita, dalla fine di una relazione, al lutto di un’amica paralizzata, all’accumulo compulsivo di oggetti di colore blu. È il famous blue raincoat di Leonard Cohen, il Blue della canzone di Joni Mitchell: “One thing they don’t tell you ’bout the blues when you got ’em, you keep on fallin” canta invece Emmylou Harris. Il blu del sesso, della depressione, del lutto, della sacralità. Le storie dei blu di Nelson coprono un ventaglio che va dalla natura, alla letteratura, alla scienza – tutte collegate nella disposizione che l’autrice sceglie per le sue proposizioni che però non realizzano una morale, un finale. Bluets è un racconto intimo e personale, eppure allo stesso tempo capace di accendere gli stessi sentimenti complessi in chi legge. Del resto, è un altro tentativo dell’autrice di negoziare i confini del genere memoir, sfumando l’esperienza personale nella critica, muovendosi tra poesia in prosa e saggistica. Bluets è un libro esile, strano, indefinibile e proprio per questo capace di esercitare un fascino irrazionale, ossessivo in chiunque lo legga.

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Questo articolo è uscito sul numero 1544 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati