Un divano, due telecamere e tre microfoni. Si può cominciare. Alla fine di marzo, in un appartamento nel centro di Nairobi, in Kenya, Ben Cyco e Wanjiru Njiru si preparano a registrare il cinquantesimo episodio del loro podcast, The JoyRide. Oggi sono insieme a una psicologa perché la puntata è dedicata alla salute mentale. Per un’ora simuleranno una terapia di coppia di fronte a microfoni e telecamere.

I due, che sono sposati, si sono lanciata nel settore dei podcast da un anno, facendone la loro attività principale e mettendo da parte le loro carriere nella musica e nella moda. L’idea ha funzionato subito: ogni episodio, in video e audio, è ascoltato o visto tra le sessanta e le centomila volte. In generale affrontano temi come le relazioni sentimentali, i progetti di lavoro, gli investimenti, il matrimonio, la virilità e così via. Tutti argomenti molto seguiti dai giovani ascoltatori di Nairobi. “Si tratta di un spazio personale, libero. È proprio in questo che si riconoscono oggi i keniani”, osserva Cyco.

Novità e tradizione

In Kenya The JoyRide è uno dei programmi più noti e un modello per i circa cinquecento autori di podcast del paese. “In Africa i podcast non sono una novità, esistono già da molto tempo”, afferma Melissa Mbugua, condirettrice di Africa PodFest, un’azienda con sede a Nairobi specializzata nella ricerca e nella produzione di podcast. Il 7 marzo, a Las Vegas, una produzione sudafricana, I will not grow old here, ha rappresentato per la prima volta il continente alla cerimonia degli Ambies, i premi più importanti del settore a livello mondiale.

Dopo essere stata un’attività di nicchia per diversi anni, in Kenya la produzione di podcast è esplosa durante la pandemia di covid-19.

“Funziona molto bene perché i podcast sono prima di tutto una necessaria alternativa ai mezzi di comunicazione dominanti e perché riprendono la tradizione africana dello storytelling”, continua Melissa Mbugua.

Tanto nella forma, audio o video, quanto nei contenuti, affrontando temi spesso tabù in Africa, come i diritti delle minoranze lgbt+, il podcast ha creato uno spazio di libertà indirizzato soprattutto ai giovani. E grazie ai costi di produzione piuttosto bassi – bastano un computer e un registratore – è alla portata anche degli studenti.

Il 2022 ha segnato una svolta in un ambiente in cerca di un salto di qualità. Infatti il gigante dello streaming musicale Spotify ha investito centomila dollari su tredici autori africani. È il primo grande investimento internazionale sui podcast africani. Quattro dei beneficiari sono keniani, ma anche il Sudafrica e la Nigeria, le altre locomotive africane del podcast, sono ben rappresentate.

Ben Cyco e Wanjiru Njiru (Apple podcast)

Per ora sono pochi quelli che riescono a vivere di questo lavoro. “Siamo fortunati, abbiamo abbastanza ascoltatori per poterci permettere di trasformare il podcast in un’attività redditizia”, assicura Wanjiru Njiru di The JoyRide. “Le aziende vengono a bussare alla nostra porta per farsi pubblicità”. La coppia vuole comunque avere il controllo degli argomenti che affronta. “Per esempio qualche settimana fa abbiamo pubblicizzato un’azienda che produce coppette mestruali di cui abbiamo parlato durante un episodio, ma è stato solo un modo pratico per affrontare il tema delle mestruazioni”, conclude la donna.

In Kenya la maggior parte dei creatori di podcast sono donne o queer. Sottorappresentate nei mezzi d’informazione tradizionali, queste persone hanno trovato nel nuovo formato una sorta di strumento liberatorio. Il primo grande successo keniano, The spread, lanciato nel 2017 da Karen Kaz, vuole decolonizzare il modo in cui gli africani parlano di sessualità e identità di genere. In passato il consiglio di classificazione dei film, una sorta di autorità garante delle comunicazioni, aveva cercato di vietarlo, definendolo “offensivo”.

In Kenya le relazioni omosessuali sono punite dalla legge e il presidente della repubblica William Ruto a marzo diceva che “non è possibile autorizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Una cosa simile si potrà fare in altri paesi, ma non in Kenya”. Tuttavia Kevin Mwachiro, famoso autore di podcast apertamente queer, non si lascia facilmente intimidire da queste dichiarazioni: “Il podcast ci permette di essere liberi e trasgressivi”.

Vivere del proprio lavoro

Mwachiro continua per la sua strada alla guida di Nipe story, una serie di racconti panafricani che anima dal 2017, ed è “orgoglioso” di offrire una piattaforma alle storie omosessuali e lesbiche. “Sia nella forma sia nel contenuto, il podcast ha fatto tabula rasa di molte delle regole comunemente accettate”, assicura l’ex giornalista. “È un peccato che sulle radio nazionali non ci siano trasmissioni in cui si parla di sessualità o di virilità, o magari rivolti alle minoranze lgbt+”.

Ma nonostante il sostegno finanziario di Spotify Africa, di cui è uno dei beneficiari, Mwachiro continua a realizzare il suo podcast “per passione”, e per arrivare alla fine del mese deve lavorare come ghost writer e consulente.

Per Adelle Onyango il percorso è stato invece del tutto diverso. Quando nel 2018 ha lasciato la famosa radio KissFm, questa donna di 34 anni non pensava di diventare l’autrice di podcast più famosa del Kenya. La sua trasmissione Legally clueless è arrivata all’episodio numero 211 e ha raggiunto quasi cinque milioni di ascolti.

Le sue interviste e i suoi incontri su argomenti come l’alcolismo, l’infertilità o i disturbi comportamentali hanno contribuito al suo successo. “La salute mentale è il più grande tabù africano, soprattutto tra gli uomini”, afferma Adelle Onyango, il cui programma è trasmesso anche alla radio.

Non solo l’autrice riesce a vivere grazie al podcast, ma Legally clueless le ha aperto numerose prospettive. E oggi interviene attraverso la sua fondazione in diversi progetti di terapia di gruppo e di sostegno alle vittime di violenza di genere negli slum di Nairobi. Nel 2022 Onyango ha scritto un libro sull’argomento intitolato Our broken silence (Il nostro silenzio spezzato).

Popolare tra i ragazzi delle grandi città, il podcast “fa fatica a sedurre il mondo imprenditoriale e ad attirare fondi”, osserva Onyango. E anche se qualche incubatore aziendale esiste, i loro mezzi di produzione sono ancora limitati. Nel frattempo i mezzi d’informazione tradizionali sembrano voler recuperare il tempo perduto, e dal 2022 The Nation e The Standard, i due grandi gruppi editoriali keniani, trasmettono on demand i loro programmi, a pagamento. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati