Non ci vuole molto per far tornare indietro le lancette dell’orologio e dimenticare ciò che abbiamo imparato. Neanche ciò che si ama è al riparo dal disamoramento. Durante la pandemia anche gli italiani hanno imparato ad amare il lavoro da casa, lo smart working, un’espressione che ha una chiara connotazione positiva. E infatti piaceva sia ai lavoratori del settore pubblico sia a quelli del privato – in totale più di cinque milioni di persone – che hanno svolto da casa almeno parte delle proprie mansioni.

Nel nord Europa c’era chi considerava l’Italia il paese ideale per fare smart working: cosa c’è di meglio che lavorare da remoto e poi la sera andarsi a fare un aperitivo in piazza? È il meglio dei due mondi. L’approccio degli italiani era invece un po’ più pragmatico: secondo una ricerca dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), per il 72 per cento di loro il lavoro a distanza ha consentito di conciliare meglio impegni e famiglia, mentre il 66 per cento dei dirigenti sostiene che ha fatto aumentare la produttività e il 90 per cento degli interessati dichiara di trascorrere molto meno tempo nel traffico.

Quest’ultimo è un elemento fondamentale di tutta la faccenda: nelle città italiane capita spesso di perdere ore bloccati in coda, anche tutti i giorni. Meno spostamenti significano anche più possibilità di risparmio – per ogni persona in media circa mille euro all’anno – e ovviamente minori conseguenze per l’ambiente.

Senza buoni pasto

Fino a qui le gioie del progresso in tempi difficili, che anche per l’Italia sono state una mezza rivoluzione. Però ora comincia l’ondata restauratrice. Da quando sono saliti i prezzi dell’energia, tanti non hanno più voglia di lavorare da casa. Ora che le bollette di gas ed elettricità hanno subìto forti rialzi, lavorare al computer in uno di quei vecchi appartamenti italiani con gli infissi che non isolano non conviene più. Soprattutto visto che per il momento né la pubblica amministrazione né la maggior parte delle aziende private è disposta a indennizzare chi lavora da casa per le spese aggiuntive che deve sostenere: aria condizionata, luce e presto anche riscaldamento. Tanti tra quelli che fino a poco tempo fa erano grandi sostenitori dello smart working ora vogliono tornare in ufficio.

Il fatto è che nessuno ha intenzione di rimetterci. In molti considerano lo smart working un lusso, quattro persone su cinque. Ma evitando di fare avanti e indietro tra il lavoro e l’abitazione è probabile che si risparmi comunque, almeno per il momento. In realtà all’arrivo dell’inverno ormai non manca molto. Come spesso succede, però, ci sono anche altri fattori da tenere in considerazione. In certi ministeri italiani, per esempio quello dell’interno e quello dell’istruzione, che hanno decine di migliaia di dipendenti, chi lavora da casa non riceve i buoni pasto, e questo è un danno economico.

I sindacati chiedono ai ministeri di essere più concilianti, senza però ottenere grandi risultati. Lo stato non vuole concedere contributi per le bollette di gas e luce neanche a chi ha una disabilità. Per queste persone lo smart working costituisce un miglioramento della vita quotidiana ancor più rilevante. Le piccole e medie imprese si comportano in modo simile e quindi manca poco per cancellare i progressi fatti.

A non tornare sui propri passi sono solo le grandi aziende, soprattutto del nord. Anche in questo caso il divario tra il nord e il sud del paese è gigantesco: sempre secondo lo studio del politecnico di Milano, durante i picchi della pandemia circa il 70 per cento dei datori di lavoro del nordest aveva introdotto una qualche forma di smart working, mentre nel sud si arrivava appena al 30 per cento.

Ora si spera che le grandi aziende agiscano ancora una volta da avanguardia culturale, come è spesso successo nella storia italiana, per esempio rispetto alla parità (relativa) di genere. Magari, con il loro esempio, aiuteranno il lavoro ibrido, cioè in parte a distanza e in parte in sede, ad affermarsi. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati