Dal 1960, quando molti paesi in via di sviluppo hanno cominciato a recuperare terreno in termini di crescita, poche economie sono passate da un livello di reddito medio a uno alto. Tra loro Corea del Sud, Singapore, Israele e Irlanda. Alcuni nel 1960 avevano già un reddito alto, e ce l’hanno ancora, per esempio la Danimarca e il Giappone. Altri, come la Birmania e la Corea del Nord, sono rimasti poveri. Molti, invece, sono stati per decenni nella fascia del reddito medio.

Un fattore cruciale che potrebbe spiegare percorsi di sviluppo così diversi è l’istruzione. Secondo l’Ocse, nel 2015 i paesi passati da un reddito medio a uno alto avevano in media il 72 per cento di lavoratori (la popolazione tra i 18 e i 65 anni) con un’istruzione secondaria. Nei paesi rimasti a reddito medio la quota è in media il 36 per cento.

Avere molti lavoratori istruiti a disposizione serve a soddisfare e ad alimentare la domanda di servizi di alto valore, sostenendo così la crescita. Quando troppi di quelli non qualificati sono espulsi nel processo di modernizzazione dell’industria i loro salari stagnano, ridimensionando la domanda e ostacolando la crescita. Questo determina gravi problemi sociali, come tassi di disoccupazione e di criminalità più alti.

Come si colloca la Cina rispetto agli altri paesi fermi nella fascia di reddito medio? I dati sui livelli d’istruzione sono utili a svelare il potenziale di sviluppo e la traiettoria di crescita del paese asiatico. Nella forza lavoro cinese la percentuale di lavoratori non istruiti è più grande rispetto a quella di quasi tutti i paesi a reddito medio. Secondo il censimento del 2010, in Cina circa cinquecento milioni di persone tra i 18 e i 65 anni (il 74 per cento della forza lavoro) non sono diplomati. Non è stato un problema quando il paese è passato dal reddito basso al medio. I salari dei lavoratori non qualificati erano bassi e l’industria e l’edilizia a buon mercato crescevano. Con l’aumento della ricchezza, però, il modello di crescita cinese sta cambiando.

I salari dei lavoratori non istruiti sono saliti ma la disponibilità di forza lavoro straniera a basso costo e la grande spinta verso l’automazione stanno togliendo spazio a chi ha poche qualifiche. Con il diminuire degli investimenti nelle infrastrutture, i posti nell’edilizia sono calati. L’unica destinazione della manodopera non qualificata è il settore informale, che secondo i dati del 2018 è quello che sta crescendo più rapidamente, dal 33 per cento nel 2004 al 56 per cento nel 2017.

Mentre la grande disponibilità di lavoratori ha determinato una stagnazione dei salari per chi non ha qualifiche, la forte domanda di lavoro qualificato fa salire quelli di chi è istruito. Consapevole di quanto sia cruciale l’istruzione secondaria, il governo cinese ha facilitato l’accesso alle scuole superiori in tutto il paese. Tra i lavoratori più giovani l’80 per cento è diplomato, ma centinaia di milioni di persone meno istruite resteranno nella forza lavoro ancora per trent’anni. Il governo dovrà affrontare sfide enormi per riqualificarli o fornirgli una rete di sicurezza.

Scuole di scarso livello

Inoltre, non ci sono certezze sulla qualità dell’istruzione resa più accessibile. Quasi tutti i lavoratori poco qualificati vengono da aree rurali in cui il sistema scolastico e quello sanitario sono poco finanziati. Molti dei nuovi diplomati hanno frequentato scuole professionali di scarso livello. Anche i deficit strutturali dell’educazione nella prima infanzia e della sanità nelle zone rurali possono impedire a molti ragazzi di acquisire competenze più complesse una volta diventati adulti. Il 45 per cento dei bambini nelle scuole rurali cinesi ha un ritardo nello sviluppo cognitivo prima dei cinque anni.

Le conseguenze di una Cina stagnante potrebbero superare i suoi confini. Dato che nel paese vive un quinto della popolazione mondiale, quello che succede lì avrà enormi implicazioni per il commercio con l’estero, le filiere globali, i mercati finanziari e la crescita. E non mancheranno i rischi sul piano politico. In una Cina economicamente in difficoltà chi governa potrebbe alimentare il nazionalismo per rafforzare la propria legittimità. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati