Cecily ha 27 anni e ha sempre combattuto con un disturbo ossessivo compulsivo “debilitante”. “È come se avessi costantemente bisogno di sapere che non sto morendo”, dice. Lotta con queste sensazioni da quando, a quindici anni, le è stata diagnosticata una patologia cronica, ma è convinta che la crescente ossessione della società per il “benessere” abbia peggiorato le sue ansie.

A un certo punto era ossessionata dai dati sulla salute disponibili sul suo Apple watch. “Controllavo in continuazione il mio battito cardiaco”, ricorda, raccontando che una volta è andata al pronto soccorso perché la sua frequenza cardiaca era arrivata alle stelle. “Alla fine mi hanno detto che stavo benissimo, ero solo molto ansiosa”.

Una spirale pericolosa

Da Cicerone a George Byron fino a Charles Darwin, le persone si sono sempre preoccupate per la propria salute. Nel libro A body made of glass: a history of hypochondria (“Un corpo di vetro: storia dell’ipocondria”, Granta 2024) l’autrice Caroline Crampton indaga la storia culturale dell’ansia per la salute, cioè l’ipocondria: la costante e spesso ingiustificata paura di soffrire di malattie gravi. “Negli ultimi duemilacinquecento anni non abbiamo mai smesso di interrogarci su questa condizione”, spiega Crampton. Il medico greco Ippocrate coniò il termine hypocondria supponendo che il disturbo provenisse da un’area dell’addome chiamata “ipocondrio”. Poi, gli sviluppi scientifici del diciassettesimo e diciottesimo secolo soppiantarono la teoria umorale. “All’inizio dell’ottocento, l’ipocondria era diventata una condizione più mentale che fisica”, continua Crampton. “Ancora oggi rimane l’idea che sia un disturbo mentale”.

Anche se l’ipocondria non è una condizione “nuova”, come sottolinea Crampton, è probabile che un interesse crescente per il benessere abbia contribuito alla sua diffusione. In particolare, uno studio del 2020 pubblicato sul Journal of Anxiety Disorders ha rilevato che la percentuale di studenti universitari negli Stati Uniti che riferivano di sentirsi in ansia per la salute è aumentata dall’8,67 per cento del 1985 al 15,22 per cento del 2017. “La cultura del benessere incoraggia le persone a considerare la salute come un costante ‘lavoro in corso’ e a monitorare tutto il tempo come si sentono: due atteggiamenti che possono aumentare l’ansia e la preoccupazione per le malattie”, spiega. “Siamo costantemente incoraggiati a ottenere di più, a migliorarci, invece che ad apprezzare semplicemente la salute e le capacità di cui disponiamo”.

È così anche per Helena, ventitré anni. Come Cecily, anche lei soffre di un disturbo ossessivo compulsivo e in particolare ha pensieri ossessivi sulla salute. “Ho sempre avuto una predisposizione all’ansia per la mia salute”, afferma. Ma i social media l’hanno aggravata. “Ero convinta di prendermi cura di me, ma in realtà stavo solo buttando soldi e sprecando tempo online, invece di dedicarmi a cose che mi facessero davvero sentire bene”.

Mentre il settore continua a prosperare, diventa chiaro che l’ossessione per lo “stare bene” potrebbe farci sviluppare preoccupazioni patologiche. Siamo spinti a osservarci di continuo, con le nuove tecnologie che ci consentono di monitorare quanti passi facciamo, quante calorie bruciamo, quante ore dormiamo e quanto veloce batte il nostro cuore. “A un certo punto prendevo un sacco di integratori ogni mattina, ascoltavo tantissimi podcast sull’alimentazione e guardavo in continuazione video sulla dieta quotidiana di personal trainer che facevano anche le modelle”, ricorda Helena.

Non è irrazionale preoccuparsi per la salute, soprattutto alla luce dei tagli ai finanziamenti alla sanità pubblica che nel Regno Unito hanno reso il sistema sanitario nazionale meno affidabile e solido di quanto dovrebbe essere. Ma è bene sapere che l’industria del benessere è sempre più determinata ad alimentare l’ansia nei consumatori per vendergli elisir di lunga vita. “Gli integratori, le diete e i comportamenti promossi oggi somigliano a volte alla medicina dei ciarlatani del passato”, afferma Crampton. Molti prodotti e servizi pubblicizzati dall’industria del benessere sono accessibili solo ai più ricchi, dato il prezzo.

Malattia da ricchi

In un episodio del reality televisivo The Kardashians, Kris, la matriarca della famiglia, si è sottoposta a una risonanza magnetica “preventiva” su tutto il corpo per individuare potenziali problemi di salute, una procedura che le è costata 2.499 dollari (circa 2.300 euro). “Di sicuro oggi molte aziende fanno affari sfruttando l’ansia per la salute delle persone che hanno molti soldi da spendere”, afferma Crampton, sottolineando la continuità con la concezione storica dell’ipocondria, per lo più considerata una malattia da ricchi.

Crampton, che soffre a sua volta di ipocondria, ricorda che ci sono trattamenti accessibili e accorgimenti che le persone possono adottare per uscire dalla spirale dell’ansia: “Personalmente, so che devo essere molto prudente con i profili che seguo sui social media e con quello che leggo, perché se guardo troppi contenuti su salute e benessere posso ricadere nei pensieri ossessivi da cui mi sono liberata con grande fatica”, afferma. “Il semplice fatto di avere a disposizione tante informazioni sulla salute, spesso senza nessun fondamento scientifico, può spingerci ad analizzare aspetti del nostro corpo a cui altrimenti non daremmo molto peso”.

Anche Cecily dice di aver rivalutato il suo rapporto con il lato estremo del benessere. “Ora so quali sono i miei limiti”, afferma, aggiungendo di aver smesso di indossare il suo Apple watch. Helena sta cercando di allentare la pressione e non si preoccupa più di “ottimizzare” la sua vita: “Sto tentando di considerare il benessere come qualcosa di diverso, come una specie di soddisfazione per la mia vita alle mie condizioni: molte ore di riposo, serate fuori e gelati, invece di sessioni in palestra e diete salutari, perché anche quelle sono cose che mi fanno sentire bene, equilibrata, felice. Dopotutto come possiamo chiamare benessere qualcosa che fa stare male tante persone?”. ◆ nv

Alcune delle persone citate in questo articolo hanno chiesto di usare uno pseudonimo.

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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 115. Compra questo numero | Abbonati