La prolungata crisi politica dell’Iraq e l’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari di base hanno offuscato il Ramadan di quest’anno, smorzando lo spirito di festa per molti iracheni. Il mese sacro in cui i musulmani osservanti digiunano dall’alba al tramonto è cominciato il 2 aprile per i sunniti e il giorno dopo per gli sciiti (nel calendario islamico i mesi cominciano al primo avvistamento della luna crescente, ma molti sciiti preferiscono l’osservazione a occhio nudo, mentre i sunniti spesso usano i telescopi oppure si adeguano all’Arabia Saudita).

“Come possiamo sentire la gioia e la felicità del Ramadan mentre subiamo un’ingiustizia senza precedenti?”, si rammarica Youssif Haider, che vende souvenir davanti a un santuario sciita a Baghdad. “Abbiamo le risorse e il potenziale economico che altre nazioni ci invidiano, ma subiamo ogni tragedia”.

Nelle settimane che hanno preceduto il Ramadan, i prezzi di molti prodotti alimentari e materiali edili importati sono aumentati tra il 20 e il 50 per cento a causa della campagna militare russa in Ucraina, cominciata il 24 febbraio. Questo ha peggiorato l’effetto della svalutazione monetaria, una politica attuata dal governo iracheno alla fine del 2020 dopo un significativo calo delle entrate petrolifere, che ha portato il paese devastato dalla guerra al deficit di bilancio.

Youssif Haider ha perso l’uso delle gambe quando i terroristi di Al Qaeda l’hanno crivellato di proiettili nel 2006, l’anno peggiore del caos confessionale che ha inghiottito il paese dopo l’invasione guidata dagli Stati Uniti nel 2003. Da allora Haider, che ha 52 anni e un figlio, è in sedia a rotelle. “L’Iraq guadagna miliardi di dollari ogni mese, ma non abbiamo né un governo né veri politici che lavorano per noi. Sono tutti al servizio di altri paesi”, dice dietro la bancarella dove espone rosari, tappetini per la preghiera e altri souvenir religiosi.

Sono passati quasi sei mesi dalle elezioni legislative, ma l’Iraq non ha ancora un governo a causa delle dispute politiche per stabilire chi assumerà i ruoli di presidente e premier e chi guiderà i ministeri. Lo stallo è soprattutto all’interno della maggioranza sciita. Il religioso populista sciita Moqtada al Sadr, che con il suo Blocco sadrista ha vinto le elezioni di ottobre con 73 seggi, ha impedito ad alcuni rivali sciiti sostenuti dall’Iran di entrare a far parte del nuovo governo. Per reazione questi politici, anche se erano usciti sconfitti dal voto, hanno unito le forze e hanno ostacolato gli sforzi di Al Sadr per eleggere un nuovo presidente.

Boicottando le votazioni che si sono succedute in parlamento per nominare il presidente, questa unione sta bloccando un passaggio cruciale nella formazione del governo: una volta che il presidente si è insediato, spetta a lui nominare la coalizione vincente che poi forma il governo. La crisi politica ha preso una nuova piega il 31 marzo, quando Al Sadr ha annunciato di voler fare un passo indietro, lasciando ai suoi rivali del Quadro di coordinamento l’opportunità di formare il governo. Gli ha dato quaranta giorni di tempo.

Decorazioni e sconti

“Il Ramadan non è per noi ma per i politici”, dice Haider Ali Qassim, 46 anni, proprietario di un negozio che vende borse e scarpe da donna nel quartiere commerciale di Karrada, a Baghdad. “Molte persone non hanno da mangiare, e loro litigano sul governo da mesi”. Nonostante l’atmosfera cupa, molte famiglie hanno decorato le case con luci, mezzelune e con le tradizionali lanterne del Ramadan, note in arabo come fanus. Dai minareti e dalle moschee pendono addobbi di luci colorate, accanto a striscioni che celebrano il profeta Maometto e il mese sacro.

Alcuni commercianti hanno promosso iniziative per vendere da mangiare a prezzi più economici. Tra loro c’è Khalil Ibrahim Hashim, che offre generi alimentari essenziali al prezzo di costo e un pacco con sette prodotti a 10mila dinari (poco più di 6 euro). “Sono i poveri che contribuiscono allo spirito di festa”, dice. “Il governo deve intervenire per aiutarli. Noi non possiamo offrire tutto quello di cui hanno bisogno”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1455 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati