Frédéric Ouattara è un grande sognatore. Quando nel 2019 ha annunciato ai suoi collaboratori di voler mandare il Burkina Faso nello spazio, le prime reazioni sono state scettiche, anche se la sua serietà come astrofisico è fuori discussione. Ouattara sta portando avanti un impegnativo programma di lavoro che dovrebbe concretizzarsi con la messa in orbita “entro la fine dell’anno” del primo satellite burkinabé. La stazione a terra Burkina-Sat1 è già operativa e la costruzione del satellite è arrivata alle fasi finali.

Con questo progetto Ouattara sogna di fare di Koudougou, cento chilometri a ovest della capitale Ouagadougou, la “città spaziale del Burkina”, una specie di Cape Canaveral burkinabé. C’è chi considera il progetto una follia e chi una perdita di tempo, soprattutto perché il paese è alle prese con una grave crisi umanitaria. Ma per l’uomo nominato “miglior astrofisico africano” nel 2018, la conquista dello spazio servirà a lottare contro la fame, i danni causati dai cambiamenti climatici e alcune malattie.

Il satellite d’osservazione scientifica di Ouattara misurerà l’estensione della vegetazione, le precipitazioni e i livelli delle falde sotterranee. Il suo obiettivo è valutare l’avanzata del deserto in questo paese del Sahel senza sbocchi sul mare, dove le terre s’impoveriscono e le risorse naturali sono limitate. “Potremo anticipare i periodi di pioggia e di siccità, dire ai contadini qual è il periodo buono per seminare, ma anche prevenire alcune malattie respiratorie controllando l’inquinamento atmosferico”, spiega il ricercatore. Nelle zone isolate il satellite potrebbe ovviare alla carenza di centri sanitari favorendo la telemedicina.

Il problema principale del programma di Ouattara è il costo, stimato in centinaia di milioni di franchi Cfa (centinaia di migliaia di euro). Il satellite infatti, non disponendo di una base di lancio in Burkina Faso, dovrà essere lanciato dal Giappone. Ma Ouattara, che ha il sostegno del governo, è fiducioso e osserva che “oggi si possono costruire satelliti a costi relativamente bassi”, e che poi “tutto dipenderà dal materiale che si mette a bordo”.

I perché dell’universo

Da bambino Ouattara, che oggi ha 54 anni, ha imparato la geografia del cielo notturno in un villaggio senza elettricità. “Allora tutti i fenomeni dell’universo mi venivano spiegati con l’intervento di Dio, ma non mi bastava. Volevo capire”, dice lo scienziato. Così è andato a studiare fisica e matematica all’università di Ouagadougou. A 29 anni, dopo la laurea in geofisica, ha assistito “per caso” a una conferenza ad Abidjan sul tempo nello spazio: per lui è stata una rivelazione. Ha scritto una seconda tesi sull’impatto del campo magnetico solare sulla ionosfera. Ma faticava a trovare i mezzi per finanziarla. Negli anni duemila l’unica ionosonda del paese, usata negli anni sessanta dai militari francesi, era stata smontata perché non interessava più a nessuno. Per le sue misurazioni Ouattara ha dovuto fare tutto da solo: ha installato due stazioni gps sul tetto dell’università di Koudougou e ha creato un laboratorio di ricerca sull’energia e la meteorologia spaziale. All’epoca in Burkina Faso “gli studenti non conoscevano questa scienza, e abbiamo dovuto cominciare da zero”, ricorda Ouattara.

In pochi anni è riuscito a formare una prima generazione di astrofisici. Nel laboratorio di Ouattara, Alphonse Sandwidi, 29 anni, non nasconde il suo orgoglio. “Lo spazio è il futuro, tutti i paesi si lanciano in questa avventura, perché non dovremmo farlo noi?”, si chiede. Ouattara vuole costruire un planetario per “far sognare i piccoli e avvicinarli all’universo”. E perché no, mandare un giorno il primo astronauta burkinabé nello spazio. “Tutto ciò che nasce dall’immaginazione degli esseri umani può essere realizzato”, dice citando l’ex presidente rivoluzionario Thomas Sankara. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1366 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati