Abdullah Öcalan, il fondatore e leader storico del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il 27 febbraio ha annunciato la fine del movimento armato. “Tutti i gruppi devono deporre le armi e il Pkk deve sciogliersi”, ha ordinato in una dichiarazione letta dai deputati del partito di sinistra filocurdo Dem di fronte ad alcuni giornalisti riuniti in un albergo di Istanbul, in Turchia. All’inizio della giornata una delegazione aveva incontrato Öcalan per tre ore nella prigione sull’isola turca di Imrali, dov’è detenuto da 26 anni, per mettere a punto gli ultimi dettagli prima della dichiarazione. Una foto che circola sui social network mostra il leader del Pkk circondato dai rappresentanti della comunità curda della Turchia.

Un sostegno importante

L’annuncio di Öcalan, soprannominato Apo (zio, in curdo), ha ricevuto una duplice accoglienza. Mentre nella città curda di Qamishli, nel nordest della Siria, sono cominciati i festeggiamenti, altre voci hanno subito gridato al tradimento. Schermi giganti sono stati installati anche nel nord della Siria e dell’Iraq, dov’è presente un’ampia minoranza curda. Se la decisione avrà conseguenze di vasta portata per la regione, il leader curdo ha dichiarato di “assumersi la responsabilità storica di questa dichiarazione”, arrivata dopo diverse settimane di negoziati tra il governo di Ankara e il partito Dem. Il presidente del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, ha accolto con favore la dichiarazione di Öcalan e ha esortato il Pkk a deporre le armi.

“Questa è una grande vittoria per Recep Tayyip Erdoğan”, afferma Bayram Balci, ricercatore all’istituto di studi internazionali (Ceri) di Parigi, in Francia. “Il presidente turco potrà passare alla storia come colui che ha ridimensionato o addirittura pacificato e completamente disarmato il Pkk. E questo gli darà molto credito”. Con la scadenza dell’ultimo mandato costituzionalmente consentito nel 2028, il riavvicinamento del governo di Erdoğan con i deputati del Dem, che hanno agito come principali intermediari nei cicli di negoziati con il leader del Pkk, potrebbe dargli quella spinta di popolarità fondamentale per prolungare il suo regno. Se il presidente vuole ottenere un altro mandato, avrà bisogno degli elettori curdi, e il Dem è la terza forza politica del paese. “Erdoğan potrebbe cercare il sostegno del Dem per convocare elezioni anticipate, poiché la legge gli consentirebbe di candidarsi per un altro mandato se il parlamento si sciogliesse prima della fine di quello attuale”, commenta Soner Cagaptay in un’analisi del Washington institute.

In cambio, i curdi della Turchia dovrebbero aspettarsi un maggiore riconoscimento dei loro diritti civili, culturali e in particolare linguistici. “Erdoğan probabilmente accetterebbe di reintegrare i sindaci eletti dal partito Dem nelle città a maggioranza curda, dopo aver spinto i tribunali a rimuoverli dal giugno 2024”, continua Cagaptay. Uno scenario che tuttavia potrebbe costargli i voti degli elettori più nazionalisti, contrari a concedere qualsiasi diritto ai curdi.

In ogni caso la richiesta del leader del Pkk di deporre le armi segna una svolta, dopo quarant’anni di conflitto aperto tra Ankara e i combattenti curdi. In una recente intervista Cemil Bayik, uno dei comandanti più anziani del Pkk, ha dichiarato che Öcalan vuole portare la questione curda fuori dalla “dimensione del conflitto e dentro quella della democratizzazione”.

“In cambio, Ankara probabilmente darà più spazio all’insegnamento del curdo e ai mezzi d’informazione curdi, e rilascerà gli attivisti detenuti”, afferma Balci. Oggi in Turchia esistono solo corsi di curdo facoltativi in alcune scuole del sudest del paese e qualche trasmissione in dialetto curdo sulle reti statali. “La totale negazione della realtà curda e le restrizioni ai diritti e alle libertà fondamentali – in particolare quella di espressione – hanno avuto un ruolo importante nella nascita e nello sviluppo della resistenza curda”, ha sottolineato Öcalan nella sua dichiarazione del 27 febbraio.

La popolazione curda della Turchia, stimata tra i 16 e i 20 milioni di persone, è la più numerosa del mondo. Per Ankara era imperativo lo scioglimento ufficiale del gruppo, oltre alla deposizione delle armi. I recenti successi dell’esercito turco, con una serie di operazioni terrestri e aeree contro le basi del Pkk, avevano spinto il movimento nell’angolo. “Da un punto di vista militare il gruppo è molto indebolito. I suoi vertici hanno accettato l’accordo anche perché negli ultimi dieci anni la Turchia ha fatto notevoli sforzi, in termini di nuove tecnologie, droni e armi, per indebolirlo militarmente”, spiega Balci.

Incertezza sul futuro

Dall’altra parte del confine, in Siria, l’appello di Apo ha avuto una risonanza particolare. I tempi sembrano maturi perché il nuovo governo di Damasco includa tutte le forze armate del paese in un dialogo nazionale. Reagendo alla dichiarazione di Öcalan in una conferenza stampa da Wash­ington, Mazloum Abdi, comandante delle Forze democratiche siriane (Fds), dominate dalla milizia curda Ypg, ha accolto con favore l’appello “storico” del ­leader del Pkk, ma ha ribadito che le sue truppe non sono coinvolte: “Non vogliamo sciogliere le Fds, al contrario, crediamo che rafforzeranno il nuovo esercito siriano”.

Decise a mantenere le distanze dal Pkk, le Fds continuano a opporsi al nuovo presidente ad interim, Ahmed al Sharaa, il quale vorrebbe che le forze curde siriane fossero integrate nel nuovo esercito nazionale e che il controllo delle numerose riserve di idrocarburi nella regione in mano alle forze curde fosse trasferito a Damasco.

Poiché il ministro degli esteri turco Hakan Fidan ha ripetutamente invitato le nuove autorità di Damasco, alleate di Ankara, a espellere i combattenti non siriani dalle Fds, ci si chiede se lo scioglimento del Pkk possa accelerare lo smantellamento delle forze curde sul lato siriano. “Penso che ci siano buone possibilità che alla fine cedano, ma per il momento stanno esitando, perché è un modo per alzare la posta e per ottenere maggiori garanzie per la questione curda in Siria”, dice Bayram Balci, che a proposito del governo di transizione siriano osserva: “La Turchia potrebbe fare concessioni e dialogare con Damasco in modo che i curdi in Siria abbiano se non proprio un’autonomia territoriale, almeno l’integrazione e il riconoscimento della loro presenza in Siria”.

La carta vincente di Ankara

Oltre alle forze curde siriane, il messaggio di Abdullah Öcalan potrebbe essere contestato dai rappresentanti del Pkk che vivono sulle montagne irachene di Qandil. C’è il rischio concreto che alcuni combattenti del Pkk non si adeguino alle richieste di Öcalan e rifiutino di deporre le armi, perfino scegliendo di unirsi al ramo iraniano del Pkk, il Pejak.

“Alcuni leader curdi iracheni potrebbero temere che la Turchia non gli faccia concessioni paragonabili a quelle offerte a Öcalan. Quindi potrebbero opporsi allo scioglimento totale o immediato del Pkk senza aver raggiunto nessuno dei suoi obiettivi iniziali”, afferma Cagaptay.

“Le cellule dormienti del Pkk in Turchia, sempre meno numerose, non sono più in grado di reagire”, sostiene Balci. “I pochi attacchi realizzati negli ultimi anni sono stati soprattutto attentati suicidi, senza nessun reale vantaggio politico. Da un punto di vista militare il Pkk ora è obbligato a negoziare con la Turchia”, aggiunge.

Tanto più che Ankara ha a disposizione un’importante carta vincente per fare pressione sul Pkk e impedire che prosegua operazioni militari. La ripresa delle attività del gasdotto Erbil-Baghdad – la principale fonte di finanziamento dei curdi in Iraq, che dovrebbe ricominciare a pompare nei prossimi giorni – può avvenire solo con l’approvazione del governo di Ankara. ◆ adg

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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati