In Siria è nata una nuova forza d’opposizione, il Movimento 10 agosto, che punta sulla resistenza pacifica e non confessionale contro il regime di Bashar al Assad. Il gruppo afferma di avere migliaia di sostenitori nelle aree controllate dal regime e di promuovere un nuovo tipo d’opposizione, avendo pagato le conseguenze della repressione seguita alla rivoluzione del 2011. È decentralizzato, online e guidato soprattutto da ragazzi. Il suo obiettivo è “dare voce a chi non ce l’ha”, dice Youssef Wannous, un militante che chiede di usare uno pseudonimo.

Il movimento è partito da Latakia, una città fedele al regime, e si è diffuso in tutta la Siria. Il regime non ha riconosciuto pubblicamente l’esistenza del gruppo, ma i servizi di sicurezza sono nervosi. Il giornale d’opposizione Enab Baladi ha raccontato di un’ondata di arresti. Il movimento è uscito allo scoperto all’inizio di agosto, quando ha pubblicato una lista di rivendicazioni che vanno dall’aumento del salario minimo alla liberazione di 136mila detenuti. Al centro c’è l’appello per una vita dignitosa e una soluzione alla crisi economica. Lo slogan è: “No all’umiliazione, alle armi, al sangue, all’estremismo, alle divisioni”.

Secondo l’Onu, almeno il 90 per cento dei siriani vive in povertà, e più del 60 per cento della popolazione nelle zone controllate dal regime fatica a soddisfare il fabbisogno alimentare quotidiano. Anche se l’economia è in peggioramento dal 2019, la rabbia è esplosa ad agosto, dopo che la lira siriana è scesa al minimo storico rispetto al dollaro. Nello stesso momento il governo ha tagliato i sussidi per i prodotti di prima necessità e ha aumentato il prezzo del carburante. Nell’irrequieto sud la frustrazione latente è sfociata nelle proteste più lunghe e intense degli ultimi anni. Nella provincia a maggioranza drusa di Al Suwayda i manifestanti hanno dato fuoco alle immagini di Assad e assaltato le sedi locali del partito Baath al potere.

Il Movimento 10 agosto sapeva che lo scontro aperto con il regime non avrebbe funzionato, così ha scelto una forma più raffinata di resistenza, cercando di lanciare su internet un dibattito tra gli abitanti di un paese frammentato da anni di guerra civile. Gli attivisti sostengono che il regime ha strumentalizzato le divisioni etniche, confessionali e geografiche per schiacciare l’opposizione nata dalla rivoluzione del 2011. Secondo Wannous, il primo passo è sanare queste divisioni e creare un terreno comune tra i siriani.

Oltre la paura

Il movimento è ancora agli inizi e Wannous riconosce che alcuni obiettivi “potrebbero non essere realistici”. Eppure ha ricevuto il sostegno di alcuni esponenti dell’esercito e dei servizi di sicurezza frustrati dalla situazione economica e politica, che offrono informazioni e consigli per sfuggire alle pattuglie o per riunirsi in modo sicuro. Wannous spera che in questo modo si eviterà lo spargimento di sangue che ha accompagnato la rivolta del 2011.

Per ora però i servizi di sicurezza sono sulle tracce degli attivisti, che comunicano soprattutto usando chat criptate. Forse una sfida maggiore sarà superare la cultura della paura che circonda la vita politica del paese. I siriani sono regolarmente arrestati per post o commenti sui social network. Per questo è difficile misurare la diffusione del movimento. Secondo Wannous, il gruppo riceve “migliaia” di messaggi al giorno. Alcuni sono critici, altri esprimono sostegno o la volontà di partecipare al dibattito. Da qui può cominciare il lavoro, dice Wannous: “Avviare delle conversazioni, invitare le persone a discutere, finora è stata una tattica utile”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati