L’appello a deporre le armi del leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) Abdullah Öcalan ha suscitato aspettative, preoccupazione e incertezza, sia tra la popolazione curda e le forze democratiche sia nel governo turco. Le delusioni del passato fanno sì che buona parte della popolazione e dei militanti del Pkk affrontino il nuovo processo di pace con cautela. Ankara invece lo riduce al cessate il fuoco e allo scioglimento del Pkk, dato che le sue preoccupazioni riguardano la forza aggressiva di Israele nel ridisegnare la regione e il rischio di un restringimento dello spazio di azione della Turchia.

Insomma, il governo turco non ha interesse a risolvere la questione curda, vuole solo prevenire i possibili rischi che potrebbero nascere dalla presenza del Pkk, dell’Amministrazione autonoma della Siria del nordest (Rojava) in Siria e delle Forze democratiche siriane. Un approccio simile presenta il rischio che anche questo tentativo di pacificazione vada sprecato. Questa preoccupazione non è infondata: mentre aspettava l’appello di Öcalan, il governo continuava a commissariare i comuni in mano ai partiti curdi e prendeva di mira ampi segmenti democratici e professionali, dai giornalisti ai sindacati, dai partiti alle organizzazioni civili.

I risultati dell’appello di Öcalan non saranno determinati solo da Ankara: Stati Uniti, Israele, i paesi del Golfo, Russia, Iran e Iraq avranno un ruolo importante. Il fatto che tutti abbiano un approccio strumentale alla questione curda getta il processo nell’incertezza.

Si schiude comunque una porta per lo sviluppo di uno spazio politico democratico. Ma perché questa porta possa spalancarsi serve un’ampia unità, per trasformare le aspettative in possibilità, la preoccupazione in speranza e l’incertezza in volontà di pace e soluzione democratica. ◆ ga

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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati