02 febbraio 2016 12:28

La Cina è così vasta da diventare velocemente il principale mercato di qualunque prodotto. Questo vale anche per l’acqua in bottiglia. I cinesi ne bevono quaranta miliardi di litri all’anno, quasi tredici volte più che nel 1998. E potrebbero aumentare ancora se la Cina dovesse raggiungere i livelli di consumo pro capite del Messico.

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Ma trovare riserve pulite è difficile: in Cina fiumi, laghi e anche le falde acquifere spesso sono inquinati. Da questo deriva l’enorme domanda nei confronti dei ghiacciai del Tibet, una fonte apparentemente inesauribile d’acqua pura facile da estrarre, vendere a caro prezzo e trasportare in città grazie ai massicci investimenti infrastrutturali.

Il Tibet già vende l’acqua Qomolangma, il nome tibetano del monte Everest. L’anno scorso la Sinopec, un gruppo petrolifero e petrolchimico di proprietà del governo cinese, ha messo in vendita nelle sue stazioni di benzina un nuovo marchio: Tibet 5100, un’acqua imbottigliata a 5.100 metri d’altezza, sulla catena montuosa di Nyenchen Tanglha.

L’amministrazione del Tibet ha concesso le autorizzazioni ad altre 28 aziende per aumentare di cinquanta volte la capacità d’imbottigliamento della provincia entro il 2020.

Ipotizzando che non intacchino direttamente il ghiacciaio, le aziende imbottiglieranno solo l’acqua che d’estate si scioglie dai ghiacciai. È vero che i ghiacciai dell’Himalaya si sono ritirati di circa il 15 per cento negli ultimi anni, ma a causa dei cambiamenti climatici, e l’imbottigliamento dell’acqua non accelererà ulteriormente la loro perdita di massa.

Il processo d’imbottigliamento dell’acqua consuma il triplo dell’acqua che alla fine è venduta

Allo stesso modo l’industria dell’acqua in bottiglia non avrà un grande impatto sul volume d’acqua proveniente dal Tibet, che rappresenta una sorgente fondamentale per i paesi vicini oltre che per la Cina.

Circa un miliardo di persone dipendono dagli immensi fiumi – Huang He, Brahmaputra, Indo, Gange, Chang Jiang, Mekong e Nu Jiang – che nascono in Himalaya, una regione dotata delle più ampie riserve d’acqua pulita dopo il polo nord e il polo sud.

È vero che il processo d’imbottigliamento dell’acqua consuma il triplo dell’acqua che alla fine è venduta. Eppure anche l’aumento della produzione d’acqua in bottiglia in Tibet rappresenterebbe solo una minima parte di tutto il consumo idrico della regione.

La cosa più preoccupante, però, è il possibile impatto ambientale che quest’industria avrebbe in Tibet. La Cina, finora, ha maltrattato le sue aree naturali. Liu Hongqiao della ong China water risk afferma che nessuna azienda idrica ha mai pubblicato uno studio sull’impatto ambientale in Tibet.

L’industria dell’acqua imbottigliata potrebbe portare sull’altopiano tibetano altre aziende, molto più inquinanti, per la produzione di plastica e bottiglie.

L’amministrazione della regione del Tibet sta letteralmente corrompendo gli imbottigliatori con sgravi fiscali, esenzioni fiscali temporanee e prestiti a basso costo. Fa pagare alle aziende solo tre yuan (cinquanta centesimi) per l’estrazione di un metro cubo d’acqua, rispetto ai cinquanta richiesti altrove.

Ma il governo a Pechino potrebbe avere idee diverse. Preoccupato dalla penuria d’acqua, vuole ridurre lo sfruttamento delle falde. Sta progettando d’introdurre un tetto valido per tutto il paese nel 2020 e vuole che tutte le province, anche quelle ricche d’acqua come il Tibet, stabiliscano delle quote per il consumo idrico.

Questo potrebbe rendere le politiche del Tibet insostenibili (il che potrebbe non essere una cattiva notizia). Nella provincia nordorientale di Jilin, il governo locale aveva dei progetti per l’aumento della produzione d’acqua minerale ancor più ambiziosi di quelli del Tibet. Ma è stato obbligato a ridurli della metà a causa dell’imposizione di quote. Le bollicine, a quanto pare, sono parte integrante del mercato dell’acqua in bottiglia cinese.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale britannico The Economist.

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