29 aprile 2016 11:39

Devo prenotare un biglietto per Lesbo, il mio caporedattore dice che non c’è tempo da perdere. È l’aprile del 2015 e una barca partita dall’isola di Lesbo con quattrocento migranti a bordo è arrivata al porto del Pireo. Devo andare subito a verificare se la situazione è tragica come dice uno dei miei colleghi già sul posto. Sono due anni che segue da vicino la crisi dei rifugiati e dice che non ha mai visto tante persone. “Qualcosa sta cambiando sull’isola, qualcosa sta cambiando in Grecia”, mi dice. Vado quindi a dare un’occhiata.

Arrivo la mattina presto, prima che il sole sorga su questa splendida isola dell’Egeo. Decine di persone stanno dormendo nel porto, all’aperto. Un gruppetto di migranti afgani è condotto nel porto, dove la guardia costiera greca controlla i documenti. Sono bagnati fradici e tremano. La guardia costiera fornisce loro delle coperte d’emergenza.

Un brivido mi attraversa la schiena. Tra di loro ci sono dei bambini. A casa ne ho uno di sei anni e uno di quattro. Non posso fare a meno di pensare a loro quando guardo queste persone con i loro bambini. E chi sono queste persone, peraltro? Migranti illegali, migranti irregolari o rifugiati? Le persone che vedo sono persone, come voi o me. Mi chiedo cosa succederà d’estate quando il clima sarà migliore.

Devo prenotare un biglietto per Lesbo: è estate e ci sono decine di gommoni che attraccano ogni giorno, portando centinaia e centinaia di persone sulle coste settentrionali dell’isola.

Volontari delle ong, cittadini comuni e giornalisti sono i primi a dare una mano, sulla spiaggia. Disorientati, i migranti chiedono verso quale direzione cominciare a camminare. Chiedono qual è la strada più rapida per la città dove verranno registrati. Mi si spezza il cuore a dir loro che dovranno camminare sessanta chilometri per raggiungere la città principale, Mytilini.

Una donna cade in acqua con suo figlio durante lo sbarco da un gommone a Lesbo, il 2 ottobre 2015. (Aris Messinis, Afp)

Magari, mi dico, potrei aiutare due o tre di loro. Ma i loro vestiti bagnati lasceranno macchie di sale sui sedili dell’auto e non sarò in grado di spiegarlo all’agenzia di autonoleggio. Inoltre, rischio di essere arrestato: una vecchia legge greca prevede l’accusa di traffico di esseri umani per chi aiuta i migranti irregolari. Al diavolo tutti quanti, riempirò quella cavolo di auto fino al colmo. Batterò ogni record del Guinness dei primati per aver portato il massimo numero di persone in una Fiat Panda. Come è possibile che un bambino, un anziano, una donna incinta percorrano una simile distanza a piedi? Alla fine riesco a far salire a bordo otto persone.

Ci sono i corpi di quattro persone: non sappiamo chi siano, come si chiamino, da dove vengano

Devo prenotare un biglietto per Lesbo: è il 1 ottobre e oggi seppelliranno quattro migranti annegati mentre cercavano di raggiungere l’isola. Avvolti in un lenzuolo bianco i corpi di quattro persone giacciono sul terreno sabbioso di un cimitero di Mytilini.

Non sappiamo chi sono, come si chiamino, da dove vengano. Tra loro c’è una bambina che, secondo il medico legale, poteva avere sette anni. Vedere il suo corpo avvolto di bianco in quel freddo pomeriggio fa correre un brivido lungo la schiena. Nel cimitero non c’è abbastanza spazio e quindi i bulldozer scavano solo tre buche.

Che cosa crudele. Mi chiedo dove sia la madre della bambina. Spero che sia annegata anche lei, anche se non posso credere che sto pensando davvero una cosa del genere. Il pensiero di una madre ancora viva che cerca il suo piccolo angelo in Turchia o in Grecia, mentre la bambina viene sepolta in una fossa accanto a un perfetto sconosciuto, è una cosa che non riesco a sopportare.

Devo prenotare un biglietto per Lesbo: è il 6 ottobre e il primo ministro greco Alexis Tsipras visiterà l’isola per la prima volta. È una visita senz’anima, glaciale. Visita alcuni campi nell’isola, che sono stati preparati in previsione del suo passaggio. Non è qui che si svolge il dramma, ma nelle coste settentrionali, dove arrivano i rifugiati. Perché gli stanno mostrando solo i campi dove tutto è organizzato e immacolato? Sono molto deluso per il fatto che non vedrà la realtà.

Il Moria hot spot, dove vivono i migranti che arrivano a Lesbo, il 12 novembre 2015. (Aris Messinis, Afp)

Devo prenotare un biglietto per Lesbo: è l’ultimo giorno d’ottobre, il tempo è peggiorato e temo il peggio.

Uno, due, tre, quattro, cinque!.. Ventotto, ventinove, trenta!… Due respiri. Avanti, forza, non morire proprio di fronte al mio obiettivo. C’è un vero dottore che ti sta facendo una rianimazione cardiopolmonare, tutto andrà bene.

Tutto deve andare bene. L’uomo non avrà più di vent’anni, ha tutta la vita davanti. Ma perché il dottore sta rinunciando? Ha fatto tutto il possibile? Perché si allontana? Che cazzo è successo?

È una situazione surreale. Non posso abbandonarmi ai miei pensieri, devo montare il filmato, rivivere tutto e spedirlo in redazione. Quando i filmati vengono pubblicati, mi infurio: i redattori hanno tagliato tutte le immagini del massaggio cardiaco, ritenendo che fossero troppo dure per i nostri clienti.

Ho fatto del mio meglio per filmare da lontano o con inquadrature iper ravvicinate, in modo che i volti non risultassero nitidi. Non vorrei mai che una madre riconoscesse suo figlio su uno schermo in quelle condizioni, non me lo perdonerei mai. Ma dire che sono troppo dure? Che stronzata. Siamo giornalisti, il nostro lavoro è mostrare cosa succede e questo è quel accade davvero a Lesbo. Non solo oggi. Tutti i giorni. Perché il mondo non dovrebbe vederlo?

Sì, vi voglio scioccare, ma solo per farvi capire cosa sta succedendo qui. Qualcosa di sinistro. Qualcosa di orribile. Se riuscirò a scioccarvi, magari queste cose non accadranno più.

Una coppia di migranti appena arrivati a Lesbo, il 2 ottobre 2015. (Aris Messinis, Afp)

Sono arrabbiatissimo. E sono così arrabbiato, anche il giorno dopo, che devo fare una passeggiata in spiaggia per cercare di farmela passare. Mi guardo intorno mentre cammino e riesco solo a pensare all’estate scorsa, quando questa era solo una perfetta spiaggia da cartolina. Adesso è invasa da centinaia di giubbotti di salvataggio.

Qualcosa cattura la mia attenzione. Che cos’è? Un corpo, possibile? Mi avvicino. Proprio così. E, poco distate, ce n’è un altro. Un bambino. Non può avere più di otto anni. Mi fermo. È la prima volta che vedo davvero un cadavere sulla spiaggia. Non c’è nessuno in giro. Un corpo così piccolo. Cammino. Gli giro intorno. Penso ai miei bambini. Poco più avanti, vedo il cadavere di un uomo anziano.

Arrivano alcuni colleghi. Dove sono le autorità? Non possiamo mica lasciarli così, stesi sulla spiaggia. Risaliamo la strada. Troviamo un impresario funebre, che si offre di recuperare i corpi. Ma non può trasportarli tutti da solo. È solo un uomo con un camioncino rosso. Finisce che siamo noi giornalisti a trasportare i corpi verso di lui, fino alla strada.

Sono a pezzi. Questa spiaggia si trova su un’isola di un paese che non è in guerra. Questo non dovrebbe accadere. È una cosa malvagia. Perché sta succedendo? Perché a un bambino piccolo? Qualche giorno dopo, riguardo le immagini della rianimazione. I redattori avevano ragione. Erano immagini troppo dure per essere mostrate ai clienti dell’agenzia. Molto più che dure.

Devo prenotare un biglietto per Lesbo: è l’inizio di aprile 2016 e stanno per cominciare i primi rimpatri dei profughi verso la Turchia.

Questa crisi dei rifugiati è la più grande che l’Europa abbia conosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale e i rimpatri fanno parte di un accordo estremamente controverso tra l’Unione europea e la Turchia. La Turchia ha accettato di riprendersi tutti i migranti irregolari arrivati in Grecia dopo il 20 marzo. In cambio, Bruxelles ha promesso che, per ogni siriano rimandato indietro dalla Grecia alla Turchia, un altro sia accolto all’interno dell’Unione.

Le persone che vengono espulse hanno il volto triste. Sono uomini senza bambini e senza mogli. Nessuno urla. In un certo senso, sono persone che ne avevano abbastanza, che volevano comunque andarsene. Per me era come se si chiudesse un cerchio. Li ho visti arrivare, ora li vedo partire. Quello che gli è successo in mezzo è stata abbastanza orrendo.

Una barca e giubbotti di salvataggio usati dai migranti per attraversare l’Egeo fino a Lesbo, l’8 ottobre 2015. (Aris Messinis, Afp)

Vederli su una nave provoca una strana sensazione. Una nave come si deve, diversa dai gommoni sgangherati con cui sono arrivati sull’isola. Viene da pensare a tutti quelli che sono morti, 366 persone solo quest’anno. All’ingiustizia. Molte di queste persone hanno passato la loro vita a risparmiare denaro, arrivando qui con grandi speranze, grandi sogni. Vorrei che avessero potuto avere un futuro migliore.

Questa vicenda dei rifugiati ti spinge a farti domande su te stesso. Ero e sono molto filoeuropeo. Ma non è questa l’Europa che voglio. Questa non è un’Europa solidale. Quel bambino di otto anni di cui ho visto il cadavere sulla spiaggia, era un bambino di otto anni. Punto. Non può essere cattivo. Non mi avrebbe mai fatto del male. Non dovrebbe trovarsi steso per terra, morto, su una spiaggia.

Non sarei mai stato in grado di raccontare le loro storie mantenendo la distanza

Devo prenotare un biglietto per Lesbo: siamo a metà aprile del 2016 e il papa ha in programma una visita.

La speranza si diffonde nell’isola in previsione del suo arrivo. Sia i rifugiati sia gli abitanti di Lesbo appaiono molto eccitati. Grazie al suo viaggio, la gente tornerà a parlare di Lesbo, dicono, e forse le frontiere riapriranno. Il papa appare molto gentile e sincero, ma non condivido quest’entusiasmo. Sono molto scettico.

Devo prenotare un biglietto per Lesbo… Dall’aprile del 2015 all’aprile del 2016, sono stato inviato a Lesbo tredici volte. Per non parlare delle decine di altri posti, isole o campi, dove sono andato per raccontare la crisi dei rifugiati. È una storia che ti entra dentro. Continuo a dirmi che devo essere professionale. Ma quando vedi un bambino morto per terra non puoi fare a meno di essere coinvolto.

Una volta ho visto un bambino piccolo sbucare da una barca. Stava congelando, ed era a piedi nudi. Gli ho dato i miei calzini. Un’altra volta ero in un campo profughi con una coppia di cui ero diventato amico e la donna mi ha confessato che moriva dalla voglia di una pizza. Siamo saltati sulla mia auto e siamo andati in città a mangiare una pizza.

Penso a Behnam, Reshan, Media, Noura, Wissam, e alle decine di altre persone dalle quali non mi sono tenuto a distanza. Non sarei mai stato in grado di raccontare le loro storie altrimenti. E le loro storie dovevano essere raccontate.

Ogni giorno ricevo tre o quattro messaggi su WhatsApp da varie persone che ho incontrato. Rimango in contatto con loro via Facebook. E poi ci sono le immagini e i suoni che so che rimarranno con me a lungo. La voce del dottore che contava durante la rianimazione. I profughi che nuotano in mare aperto dopo il naufragio della loro imbarcazione. O la bambina senza nome sepolta in una fossa con un perfetto sconosciuto.

Questa è una vicenda che ti cambia. Adesso abbraccio molto di più i miei figli. Una volta ho portato come me mia moglie e i miei figli in un campo profughi e loro hanno passato un po’ di tempo a passeggiare al suo interno. Volevo che mia moglie vedesse quello che vedo ogni giorno. E volevo che i miei figli vedessero che ci sono altri bambini, al mondo, che da questo stesso mondo non hanno avuto tanto. Penso che gli farà bene.

Devo prenotare un biglietto per Lesbo. È il giorno in cui esce questo blog e nell’isola è previsto l’arrivo della regina Rania di Giordania.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul blog Correspondent dell’Agence France-Presse. Nel blog, giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro

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