20 maggio 2016 16:33

Da Andrea Pinchera, direttore comunicazione di Greenpeace Italia, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Leggo su Internazionale 1154 l’editoriale dedicato al film Cowspiracy e agli allevamenti animali, che tira in ballo anche Greenpeace. Cowspiracy è un documentario ben fatto tecnicamente, ma costruito su tesi discutibili. La scienza, infatti, arriva a conclusioni differenti rispetto a quanto sostenuto dai suoi autori. Basta leggere i rapporti dell’Ipcc, il comitato di scienziati coordinati dall’Onu che da anni analizza e sintetizza tutta la ricerca sui cambiamenti climatici e rappresenta la fonte più autorevole sul tema. La base, per intenderci, degli accordi internazionali come quelli siglati a Parigi nel dicembre 2015.

Il rapporto Ipcc dedicato alla ricerca sul clima (“The Physical Science Basis”, 2013) è composto da 1.552 pagine dettagliate, ma il contributo delle attività umane al riscaldamento globale viene sinteticamente espresso in un grafico a pagina 736. Che molto chiaramente indica come in un’ottica di cento anni (sui quali si fanno i conti ufficiali) l’impatto dell’allevamento sia marginale, enormemente inferiore a quello di energia, trasporti e industria. È su questi settori che dobbiamo concentrarci per evitare alle generazioni future catastrofici cambiamenti climatici.

Ciò non toglie che gli allevamenti intensivi siano un grande problema. Oltre a contribuire al riscaldamento globale e alla deforestazione, come denunciamo da anni, producono deiezioni che inquinano terra e acqua, necessitano di enormi quantità di acqua e mangime, sottraggono terreni alle popolazioni indigene, e suscitano questioni etiche. Qui Cowspiracy è scorretto, sottolineando il rifiuto di Greenpeace Usa di rispondere alle domande ma omettendo che l’ufficio americano è uno dei 26 (in 55 paesi) e che le posizioni globali sono espresse da Greenpeace International sul sito greenpeace.org, in inglese (che i due autori dovrebbero parlare).

Stupisce che il documentario nasconda gli appelli di Greenpeace a ridurre il consumo di carne (espliciti nel recente documento “Agricoltura sostenibile: sette principi per un nuovo modello”) e ignori il rapporto Ecological livestock, insieme al blog che lo accompagna, dal titolo “Nutrire gli animali o nutrire noi stessi?”. Con logica simile, Cowspiracy “cancella” le campagne condotte da Greenpeace in Amazzonia (come in Africa e Indonesia) con enormi rischi per gli attivisti: i nostri colleghi di Manaus, ad esempio, vivono sotto scorta dopo avere denunciato le lobby, inclusa quella degli allevamenti, che distruggono la foresta. È anche per loro che vogliamo ristabilire la verità.

Andrea Pinchera
Direttore comunicazione Greenpeace Italia

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