16 agosto 2016 13:45

Un tunnel costruito in mezzo alla giungla amazzonica conduce a Fruta del Norte, uno dei giacimenti minerari su cui l’Ecuador punta per compensare il crollo del prezzo del petrolio, tra le proteste degli ecologisti e degli indigeni.

Il paese sudamericano possiede un sottosuolo ricco di oro, argento e rame, come la Colombia, il Perù e il Cile. Contrariamente a questi paesi, però, il più piccolo dei membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) ha sempre preferito concentrarsi sulle risorse petrolifere, trascurando l’attività mineraria, rimasta fino a oggi a un livello artigianale o, in molti casi, clandestino.

Adesso deve cambiare atteggiamento: la prolungata fase di discesa dei prezzi del greggio ha fatto sprofondare l’Ecuador nella recessione e il governo del presidente Rafael Correa ha deciso di trasformare l’estrazione di metalli su vasta scala in un settore strategico per il futuro economico del paese.

Le critiche degli indigeni e degli ambientalisti

“Il settore minerario ci permetterà di avere un’altra fonte di ricchezza e nel medio periodo sarà una delle principali fonti di reddito e uno dei più importanti settori di esportazione per il paese”, ha dichiarato il ministro coordinatore dei settori strategici, Rafael Poveda.

Nel sud del paese sono previsti cinque grandi progetti: tre di questi, Mirador (rame, della cinese Ecuacorriente), Rio Blanco (oro, della cinese Junefield) e Fruta del Norte (oro, della canadese Lundin Gold) cominceranno a produrre tra il 2018 e il 2020. Gli altri due, Loma Larga (oro, della canadese Inv Minerals) e San Carlos Panantza (rame, del gruppo China Explorcobres) sono ancora in fase di esplorazione.

“L’Ecuador viveva bene con gli introiti petroliferi, perciò in un modo o nell’altro la questione mineraria è sempre stata messa da parte. Adesso è il momento buono per sviluppare il settore, le aree da esplorare sono ancora molte”, spiega Diósgrafo Chamba, dell’Observatorio minero, uno studio di consulenza specializzato in questioni minerarie.

Scommettendo sui posti di lavoro e i ricavi futuri, il governo ha lanciato da qualche mese una gara d’appalto per assegnare le concessioni minerarie di medie e grandi dimensioni.

Questa nuova direzione però non piace a tutti: come in altri paesi dell’America Latina, i progetti minerari dell’Ecuador ricevono le forti critiche degli ambientalisti e delle comunità indigene.

I primi ricordano che il rispetto della natura è incluso nella costituzione ecuadoriana, e i secondi temono i trasferimenti forzati delle popolazioni che vivono sulle terre date in concessione. Tutti sono preoccupati delpossibile inquinamento delle fonti d’acqua e delle foreste.

In Ecuador nessuno ha dimenticato i danni provocati dalla statunitense Texaco, attiva tra il 1964 e il 1990 e comprata nel 2001 da Chevron

Le autorità assicurano che l’impatto sarà minimo grazie all’uso di tecnologie moderne e a regole molto rigide, che per esempio vietano di fare ricorso al mercurio ed esigono dalle imprese la chiusura corretta della miniera al termine del contratto.
“Chi ci garantisce che questo non danneggerà le nostre terre e la nostra acqua, e che andrà a vantaggio dell’Ecuador e delle nostre comunità?”, ribatte il prefetto della provincia di Zamora Chinchipe e leader indigeno Salvador Quishpe.

Nella sua provincia, spiega, i progetti minerari di Mirador e di Fruta del Norte minacciano l’ambiente e lo stile di vita del popolo shuar, che pratica una forma artigianale di estrazione mineraria.

In Ecuador nessuno ha dimenticato i danni provocati alla foresta amazzonica dallo sfruttamento petrolifero della compagnia statunitense Texaco, attiva tra il 1964 e il 1990 e acquistata nel 2001 dalla Chevron.

Gli abitanti ricordano anche gravi episodi di inquinamento da mercurio legati a progetti minerari. “In Ecuador non siamo ancora in una fase di sfruttamento intensivo, ma le esperienze del passato e quelle di tutta la regione non fanno pensare che l’attività mineraria avrà un impatto ambientale contenuto”, sottolinea Ricardo Buitron, dell’ong Acción ecológica. Secondo lui, pensare che questo settore “salverà” l’economia ecuadoriana è una follia.

“Usciamo dal più grande boom petrolifero della storia del paese e siamo in crisi”, ammette, ma “i costi ambientali e sociali non giustificano un tale cambiamento di rotta”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it