03 novembre 2016 17:31

“Ho detto che non volevo dare le mie impronte digitali, ma mi hanno costretto, mi hanno preso a schiaffi sulla faccia, non so quante volte”, racconta Asladain, 19 anni, un profugo oromo arrivato in Italia il 27 luglio 2016 dopo un viaggio lungo e difficile dall’Etiopia, attraverso il Sudan e la Libia.

La sua denuncia è una delle 176 testimonianze raccolte dall’organizzazione per i diritti umani Amnesty international che in un rapporto di 65 pagine, intitolato Hotspot Italy, accusa la polizia italiana di aver picchiato e torturato i migranti e i profughi arrivati nel paese nell’ultimo anno per costringerli alla registrazione delle impronte digitali all’interno dei cosiddetti hotspot, i centri di identificazione istituiti dall’Agenda europea sull’immigrazione, nel maggio del 2015.

“La riaffermazione di vecchi princìpi con modalità più aggressive sta portando a un aumento delle violazioni dei diritti umani, per le quali le autorità italiane hanno una responsabilità diretta, ma i leader dell’Unione europea hanno una responsabilità politica”, è scritto nel rapporto.

L’approccio hotspot ha spinto le autorità italiane oltre i limiti di ciò che è ammissibile

Violazioni dei diritti umani e violenze per prendere le impronte digitali da una parte e rimpatri illegali dall’altra, sono le principali conseguenze di quello che Amnesty international chiama “l’approccio hotspot” da parte delle autorità europee. “Nel cercare di raggiungere ‘un tasso d’identificazione del cento per cento’, l’approccio hotspot ha spinto le autorità italiane ai limiti, e oltre, di ciò che è ammissibile secondo il diritto internazionale dei diritti umani”, è scritto nel rapporto.

Le conseguenze degli hotspot. Il regolamento di Dublino, la legislazione europea sul diritto all’asilo, stabilisce che i migranti devono chiedere asilo nel primo paese d’ingresso nell’Unione europea. Ma nel maggio del 2015, con l’introduzione del sistema di ricollocamento per quote dei migranti nei diversi paesi europei, l’Unione europea ha imposto all’Italia e alla Grecia l’identificazione forzata dei richiedenti asilo e l’istituzione di centri dedicati alla registrazione chiamati hotspot.

Mentre l’Italia accusa gli altri paesi dell’Unione europea di non aver fatto partire il ricollocamento dei richiedenti asilo (solo 1.200 richiedenti asilo sono stati ricollocati dall’Italia rispetto ai 40mila previsti), il rapporto Hotspot Italy denuncia abusi e torture compiute dalle autorità italiane. La maggior parte dei migranti racconta di essere stato trattato in maniera umana dalle autorità italiane, tuttavia alcuni dicono di essere stati vittima di violenze, umiliazioni sessuali, abusi ed elettroshock.

Alcuni agenti hanno fatto uso eccessivo della forza e hanno fatto ricorso a trattamenti crudeli, disumani o degradanti

“Nonostante non ci siano dubbi che la maggior parte degli agenti di polizia abbia continuato a fare il proprio lavoro in modo impeccabile, testimonianze coerenti raccolte da Amnesty international indicano che alcuni hanno fatto uso eccessivo della forza e hanno fatto ricorso a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o addirittura alla tortura”, è scritto nel rapporto. Il ministero dell’interno non ha commentato le denunce raccolte da Amnesty international.

Un ragazzo sudanese racconta di essere stato sottoposto all’elettroshock: “Mi hanno trasmesso l’elettricità con un bastone, molte volte, ero troppo debole e non riuscivo a resistere”. “Mi hanno preso entrambi le mani e me le hanno messe sulla macchina”, ha detto Djoka, 16 anni.

Matteo De Bellis, il ricercatore di Amnesty international che si è occupato della stesura del rapporto, ha commentato: “L’approccio hotspot, ideato a Bruxelles e messo in pratica in Italia, ha incrementato la pressione sugli stati di frontiera, non l’ha diminuita. Il risultato è l’aumento delle violazioni dei diritti delle persone più vulnerabili. Queste violazioni sono di responsabilità concreta dell’Italia, ma i leader europei hanno la responsabilità politica”.

Rimpatri illegali. Un ragazzo originario del Darfur ha raccontato ad Amnesty international di essere stato rimpatriato insieme ad altri connazionali, anche se aveva espresso la volontà di fare richiesta d’asilo in Italia. L’Italia, sotto pressione da parte delle autorità europee, ha stretto accordi bilaterali con diversi paesi africani per il rimpatrio dei migranti irregolari. Ad agosto la polizia italiana ha firmato un accordo di cooperazione con la polizia sudanese e in seguito a questo accordo il 24 agosto 2016 una quarantina di sudanesi, tra cui due persone del Darfur, sono stati rimpatriati da Ventimiglia senza che gli fosse permesso di chiedere asilo.

“L’approccio hotspot ha anche richiesto l’introduzione di uno screening anticipato e rapido dello status di tutte le persone sbarcate nei porti italiani, per separare quelle considerate richiedenti asilo, da quelle ritenute migranti irregolari”, afferma il rapporto di Amnesty. “Un processo di screening non fondato su alcuna legislazione e fatto con troppa fretta – quando le persone sono ancora troppo stanche o traumatizzate dal viaggio per poter prendere parte in modo consapevole a questo processo, e prima che abbiano avuto la possibilità di ricevere informazioni adeguate sui loro diritti e sulle conseguenze legali delle loro dichiarazioni – rischia di negare a coloro che fuggono da conflitti e persecuzioni l’accesso alla protezione alla quale hanno diritto”. A preoccupare le organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani sono soprattutto gli accordi stipulati con paesi guidati da dittatori e da governi tutt’altro che democratici come il Sudan.

“Negli ultimi anni l’Italia è già stata ritenuta responsabile per aver rimpatriato forzatamente persone potenzialmente bisognose di protezione internazionale e averle così esposte al rischio di essere sottoposte a maltrattamenti in un altro paese. Nel più recente di questi casi, la Corte europea dei diritti umani ha rilevato che alcuni migranti tunisini sono stati oggetto di un’espulsione collettiva (tra le altre violazioni), in quanto l’ordine di rimpatrio verso la Tunisia non faceva riferimento alla loro situazione personale”, è scritto nel rapporto. A un anno di distanza da quella sentenza la situazione sembra essere peggiorata.

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