03 dicembre 2018 13:10

La democrazia in America Latina è in difficoltà. È questo il messaggio del sondaggio d’opinione effettuato quest’anno in 18 paesi da Latinobarómetro, una società di sondaggi con sede a Santiago del Cile. La proporzione di persone insoddisfatte del modo in cui funziona la democrazia è salita dal 51 per cento del 2009 al 71 per cento. La quota di persone soddisfatte è scesa dal 44 al 24 per cento, il livello più basso da quando è stato effettuato il primo sondaggio del genere, più di vent’anni fa.

Questo non significa che i latinoamericani siano pronti a rinunciare alla democrazia, diventata la norma nel continente solo negli anni ottanta. Più della metà sostiene che essa sia migliore di qualsiasi altro sistema, anche se la percentuale di quanti lo sostengono è scesa del 13 per cento negli ultimi otto anni. I democratici disillusi tendono verso l’indifferenza. La quota di persone neutrali è salita dal 16 per cento del 2010 al 28 per cento odierno, mentre il sostegno ai governi autoritari è stabile al 15 per cento circa. “Le persone non amano la democrazia in cui stanno vivendo”, sostiene Marta Lagos, direttrice di Latinobarómetro.

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Nei due più grandi paesi latinoamericani, il Brasile e il Messico, questo sentimento ha portato nel 2018 all’elezione di due presidenti che fino a poco tempo fa sarebbero stati generalmente considerati troppo radicali per guidare i loro paesi. Se la disillusione si rafforzerà ancora, le future elezioni potrebbero portare al potere presidenti che metteranno a dura prova le norme democratiche della regione.

Dallo scorso novembre nove paesi hanno scelto nuovi presidenti o rieletto quelli in carica. Queste elezioni per la maggior parte sono state libere e regolari ma ci sono state importanti eccezioni. Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, a maggio ha ottenuto la riconferma del mandato grazie a un voto truccato. La rielezione di Juan Orlando Hernández in Honduras, nel novembre 2017, è stata considerata da molti come irregolare. Cuba ha semplicemente trasferito il potere da un dittatore a un altro in aprile. La maggior parte dei latinoamericani, tuttavia, vive in paesi dove i loro voti vengono conteggiati regolarmente. Questo non significa che siano felici, come emerge chiaramente dalle ventimila interviste condotte da Latinobarómetro tra metà giugno e inizio agosto di quest’anno.

Le ragioni dello scontento
Gli elettori hanno molte ragioni per lamentarsi. La crescita del pil pro capite è decisamente scesa dopo la crisi finanziaria globale del 2009. L’economia del Venezuela è implosa, mentre tra il 2014 e il 2016 il Brasile ha vissuto la sua peggiore recessione di sempre. La percezione che il reddito sia distribuito in maniera equa è scesa dal 25 per cento del 2013 al 16 per cento odierno. Questa convinzione potrebbe essere sbagliata. Il coefficiente di Gini, che misura la disuguaglianza, è sceso nei paesi più grandi. Ma, al livello individuale, la percezione di diseguaglianza di una persona è tra i principali indizi della sua insoddisfazione nei confronti della democrazia.

Le incertezze economiche sono in cima alle preoccupazioni dei cittadini nella maggior parte dei paesi. In Venezuela più della metà delle persone sostiene di non avere abbastanza da mangiare. La media regionale, tuttavia, è ancora un impressionante 27 per cento. La criminalità è la seconda principale preoccupazione, ed è in cima alla lista anche in paesi relativamente sicuri, come Cile e Uruguay.

Solo le forze armate e la chiesa, già potenti prima dell’avvento della democrazia, continuano a suscitare un grande rispetto

La corruzione è un’altra grande fonte di lamentele. Diciotto ex presidenti e vicepresidenti sono stati coinvolti in scandali di corruzione, in paesi come l’Argentina, il Brasile, l’Ecuador e il Perù.

I latinoamericani che pensano che il proprio paese stia andando nella direzione sbagliata sono l’8 per cento in più di quelli che pensano che stia progredendo, il divario negativo più alto dal 1995 a oggi.

Tutto questo ha indebolito la credibilità delle istituzioni. Solo le forze armate e la chiesa, già potenti prima dell’avvento della democrazia, continuano a suscitare un grande rispetto. Metà dei latinoamericani ritiene che tutti o quasi tutti i presidenti e parlamentari siano coinvolti in attività di corruzione. In nessun paese la quota di persone che ritiene che le élite governino per i propri interessi è inferiore al 60 per cento e negli ultimi anni è aumentata costantemente. Sempre più spesso gli elettori si allontanano dalla politica. Per il terzo anno consecutivo, il numero di chi dice che si asterrà è superiore a quello di chi afferma che andrà a votare.

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I poveri si allontanano dalla politica più dei ricchi o della classe media. Per quanto riguarda il livello di sostegno alla democrazia, quello delle persone in difficoltà è del 10 per cento inferiore a quello delle persone senza problemi economici. I giovani sono più scettici degli anziani, il che non promette nulla di buono per il futuro della democrazia.

Le vulnerabilità
Circa duecento milioni di latinoamericani dotati di livelli d’istruzione più bassi, quasi il 30 per cento della popolazione totale, sono gli elettori più propensi ad abbandonare politici e leader tradizionali e a scegliere leader che promettono di risolvere i problemi con una “bacchetta magica”, scrive Latinobarómetro. Il sondaggio, che ha un margine d’errore del 3 per cento, è pubblicato in esclusiva da The Economist.

In Brasile, dove la soddisfazione nei confronti della democrazia è la più bassa tra i 18 paesi, la disillusione ha spianato la strada a Jair Bolsonaro, un ex paracadutista che ha esaltato la dittatura degli anni tra il 1964 e il 1985 per vincere la presidenza a ottobre, ottenuta grazie anche a un forte sostegno di elettori istruiti.

Nei paesi dove i leader stanno smantellando la democrazia, i cittadini l’apprezzano di più

A luglio il Messico ha eletto Andrés Manuel López Obrador, un populista di sinistra il cui partito, Morena, ha partecipato per la prima volta a un’elezione nel 2015. Senza essere un sostenitore della dittatura, propone di cambiare il funzionamento della democrazia delegando un maggior numero di decisioni agli elettori tramite referendum.

Marta Lagos, la direttrice di Latinobarómetro, teme che la democrazia in Argentina sia vulnerabile. La sua economia si avvia verso la recessione e la percentuale delle persone che si definiscono di classe media è scesa del 14 per centro dal 2013 al 2018, il principale calo in questa categoria tra tutti i paesi della regione.

Nei paesi dove i leader stanno smantellando la democrazia, i cittadini l’apprezzano di più. Anche se solo il 12 per cento dei venezuelani sono felici del modo in cui la loro “democrazia” funziona, il 75 per cento preferisce la democrazia a qualsiasi altro sistema. In Nicaragua, dove il regime sempre più dittatoriale di Daniel Ortega sta reprimendo le proteste da aprile, la soddisfazione nei confronti della democrazia è scesa dal 52 per cento dello scorso anno al 20 per cento, ma più della metà della popolazione continua a sostenere questo tipo di sistema. In maniera incoraggiante, anche il buon governo alimenta il sostegno alla democrazia. Paesi prosperi come l’Uruguay, la Costa Rica e il Cile, dove lo stato di diritto è relativamente ben consolidato, sono i paesi più soddisfatti del modo in cui funziona la democrazia.

Il miglior modo per aiutarla sta nei dirigenti politici che non pretendono di avere la bacchetta magica. Molti di loro sono appena saliti al potere. Tra questi ci sono Lenin Moreno in Ecuador e Martín Vizcarra in Perù, che hanno lanciato delle campagne contro la corruzione. Sebastián Piñera, il presidente di centrodestra del Cile da marzo, sta cercando di riformare l’economia e i programmi sociali. Il presidente di centrosinistra della Costa Rica, Carlos Alvarado, ha sconfitto un fondamentalista cristiano e sta cercando di riformare il sistema fiscale. Iván Duque, il presidente conservatore colombiano, ha appena cominciato il suo mandato. Se questi leader avranno successo rafforzeranno i tassi d’approvazione della democrazia, oltre che i loro personali tassi di gradimento.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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