02 luglio 2019 17:10

A prima vista, il complesso industriale vicino all’aeroporto di Maastricht, poco fuori della città, non sembra incarnare il futuro dell’aviazione civile. Ma è la sede del Centro di controllo aereo di Maastricht (Muac), dove fino a cento persone lavorano contemporaneamente per garantire che gli aerei che volano alti nei cieli di Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania nordoccidentale non si scontrino. Responsabili di uno degli spazi aerei più trafficati d’Europa, ogni giorno questi controllori aiutano 1.200 aerei ad attraversare uno spazio di 16 chilometri tra due zone militari al di sopra delle quali non si può volare in Belgio, evitando qualsiasi situazione di pericolo.

Fondato nel 1972 dall’agenzia intergovernativa Eurocontrol, il Muac è stato il primo tentativo al mondo di far lavorare insieme controllori di diversi paesi. Oggi è ancora l’unica iniziativa del genere, oltre che uno dei centri più all’avanguardia ed efficienti in termini di costi in Europa. E questo, in parte, è dovuto alla tecnologia. I piloti e i controllori del Muac, ad esempio, comunicano attraverso sistemi digitali, molto più rapidi rispetto a quelli bidirezionali. “È il futuro”, s’illumina John Santurbano, direttore del Muac. Ma è un futuro che pochi paesi stanno adottando, nonostante l’intensificarsi del traffico aereo stia rendendo la cancellazione e i ritardi sempre più frequenti.

Il centro di controllo del Muac, purtroppo, è un’eccezione. La maggior parte dei controllori si affida ancora a tecnologie utilizzate durante la seconda guerra mondiale. Gli aerei sono localizzati attraverso i radar, nonostante i satelliti di posizionamento globale (gps) siano più economici e più precisi. Le informazioni sono scambiate tramite radio invece che con sistemi di trasmissioni di dati. E, difficile a credersi nell’era digitale, negli Stati Uniti i controllori continuano a passarsi a vicenda dei foglietti di carta per tracciare il movimento degli aerei. Nel frattempo piccoli droni, invisibili ai radar e indifferenti ai messaggi vocali, proliferano e volano sempre più alti.

Negli Stati Uniti il numero dei ritardi causati da problemi di controllo del traffico aereo è aumentato del 69 per cento tra il 2012 e il 2017. In Cina il ritardo medio per ogni volo domestico si è impennato del cinquanta per cento nel 2017 e rimane, in media, di 15 minuti per volo. In Europa le cose stanno peggiorando più velocemente che in qualsiasi altro luogo. Lo scorso anno, secondo Eurocontrol, la durata dei ritardi è cresciuta del 105 per cento. Più del 60 per cento di questi ritardi è stato causato dalla mancanza di strumentazione o di personale, il 25 per cento da problemi meteorologici e il 14 per cento da scioperi dei controllori di volo o di altro personale. Eamonn Brennan, direttore di Eurocontrol, prevede che le cose andranno allo stesso modo, se non peggio, quest’anno.

I costi
Il prezzo pagato per questa situazione è enorme. Secondo Eurocontrol le cancellazioni e i ritardi sono costati all’economia europea 17,6 miliardi di euro lo scorso anno, un aumento del 28 per cento rispetto al 2017. Mantenere gli aerei in volo provoca uno spreco di carburante. Un controllo del traffico più efficiente potrebbe portare a risparmi di carburante compresi tra il cinque e il dieci per cento per ogni volo, secondo Graham Spinardi dell’università di Edimburgo. Per non parlare della fiducia dei cittadini, scossa da vari mancati incidenti. Nel 2017 un aereo di Air Canada che trasportava 140 persone ha interpretato male le istruzioni dei controllori, finendo quasi per atterrare su una pista di rullaggio dove erano parcheggiati altri quattro velivoli. Nel 2016 un volo di Eva Air proveniente da Los Angeles è andato pericolosamente vicino alla vetta di una montagna, perché il pilota aveva ricevuto istruzioni dove erano state confuse destra e sinistra.

È esattamente il genere di errori che il controllo del traffico aereo dovrebbe evitare. L’attuale sistema si è sviluppato negli anni cinquanta dopo una serie di collisioni mortali tra aerei in volo. Nel 1956 due aeroplani si sono scontrati sopra il Grand Canyon, uccidendo tutte le 128 persone a bordo. Poco dopo, nel 1958, gli Stati Uniti hanno attribuito all’Amministrazione federale dell’aviazione (Faa) il potere di gestire il traffico sul suo territorio. Altri paesi poco dopo hanno creato i propri sistemi di controllo.

Il mercato dei servizi per il traffico aereo vale più di quattordici miliardi di dollari, secondo la società di ricerche Markets and Markets. Ma al contrario delle compagnie aeree e degli aeroporti, il controllo di questo settore è, con alcune eccezioni, ancora gestito dai governi. Nell’Unione europea solo in Gran Bretagna e Italia ci sono degli azionisti privati negli enti che si occupano del traffico aereo.

Passeggeri in attesa all’aeroporto di Heathrow a causa di voli cancellati, il 27 maggio 2017. (Daniel Leal-Olivas, Afp)

I problemi erano chiari anche negli anni cinquanta. Nel 1960 Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo hanno creato Eurocontrol per gestire insieme gli spazi aerei. Nel 2001 creare un “cielo unico europeo” era un obiettivo ufficiale dell’Ue. La speranza era che questo avrebbe aumentato l’efficienza, e che le economie di scala avrebbero permesso di risparmiare denaro.

Ma, a parte la piccola area coperta dal Muac, dal 1960 non sono praticamente stati fatti progressi. Un motivo è che Gran Bretagna e Francia vogliono conservare la sovranità sui rispettivi cieli per motivi militari. Anche i controllori sono stati spesso critici verso i nuovi progetti. Lo scorso ottobre il Coordinamento sindacale dei controllori del traffico aereo (Atceuc) – una sigla che riunisce vari sindacati del settore in Europa – ha attaccato l’idea di affidare tutto a una sola autorità definendola uno “spreco di tempo ed energie”. I sindacati temono che il passo successivo sia l’introduzione di nuove tecnologie, che ridurrebbero i costi per le compagnie aeree e i passeggeri, e minaccerebbero i posti di lavoro dei controllori. Secondo l’Atceuc “gli esseri umani devono restare al cuore della gestione del traffico aereo”. Inoltre, sindacati e politici nazionali hanno paura che posti di lavoro ben pagati siano spostati in zone dell’Europa orientale dove la manodopera costa meno.

Razvan Bucuroiu – capo della strategia di rete di Eurocontrol – dice che, nell’impossibilità di integrare pienamente i sistemi nazionali, l’organizzazione sta cercando di ridurre i ritardi, incoraggiando le compagnie aeree e i gestori nazionali a spostare i voli su rotte meno trafficate, anche più lontane da quelle percorse abitualmente.

Un approccio diverso
Ma queste misure potranno solo “fermare l’emorragia per un’estate”, spiega Thomas Reynaert di Airlines for Europe, un’organizzazione che promuove gli interessi delle compagnie aeree, con sede a Bruxelles. Gli sforzi saranno assorbiti dalla domanda crescente dei passeggeri. E l’aumento dei chilometri percorsi sulle nuove rotte provocherà lo spreco di maggiori quantità di carburante.

L’Unione sta quindi cambiando approccio e ha diffuso un rapporto, lo scorso aprile, che invita alla creazione di un “Cielo digitale europeo”. Invece della fusione dei gestori del traffico, l’obiettivo diventa la riduzione dei costi attraverso, per esempio, la creazione di uno standard comune per la digitalizzazione, così da permettere a ogni paese di investire in sistemi compatibili.

Questa svolta nasce dalla comprensione, da parte di Bruxelles, del fatto che incorporare i servizi di controllo in un unico ente non sarebbe una panacea a tutti i mali. Dopo tutto Stati Uniti e Cina, paesi grandi quanto continenti e dotati ciascuno di un’unica autorità di controllo, continuano ad avere problemi di congestione sempre più gravi.

In molti casi le alternative sono limitate perché tanti spazi aerei sono chiusi per scopi militari. In Cina quattro quinti dello spazio aereo sono riservati ad attività militari, secondo il Centre for Asia Pacific Aviation, un’azienda che fa consulenza nel settore. E quindi i pochi spazi disponibili per gli aerei civili sono congestionati. La Gran Bretagna chiude lo spazio aereo solo durante le esercitazioni dell’aeronautica invece che a tempo pieno, come invece accade nel resto d’Europa e, appunto, in Cina.

Il fatto che gli stati gestiscano direttamente i sistemi di controllo del traffico aereo aumenta i problemi. Negli Stati Uniti, ad esempio, la Federal aviation administration (Faa), un ente governativo, è soggetta ai tagli di bilancio del congresso e non può prendere denaro in prestito per investire in nuove tecnologie che aumentino la produttività. Il risultato è che nel 2017 ogni ora di volo in Canada – dove c’è un’azienda privata a gestire il traffico aereo, libera di contrarre prestiti – è costata quasi un terzo in meno rispetto agli Stati Uniti. La Nav Canada ha sostituito i fogli di carta con dei sistemi digitali e vende la sua tecnologia ad altri sistemi di controllo in tutto il mondo.

La proprietà pubblica è inoltre forse all’origine delle eccessive domande di remunerazione da parte dei sindacati. Nel 2010 il governo spagnolo ha rilevato che almeno dieci controllori erano pagati più di 810mila euro all’anno. Oggi un controllore di volo spagnolo guadagna in media più di 200mila euro all’anno, oltre sette volte più del salario medio del paese e più di quanto siano pagati i piloti. I combattivi controllori del traffico aereo francesi hanno scioperato per circa nove mesi tra il 2004 e il 2016 perlopiù in solidarietà ad altri lavoratori del settore pubblico.

Il ruolo della politica
Tuttavia, le compagnie aeree sostengono che la privatizzazione, da sola, non sia la risposta. Tutte le agenzie di controllo del traffico aereo possono imporre prezzi esorbitanti, rimanendo sotto controllo sia pubblico sia privato, afferma Kenny Jacobs di Ryanair, la principale azienda lowcost europea. Il Muac, per esempio, ha avuto un margine di profitto del 70 per cento nel 2017. I servizi di controllo dovrebbero competere l’uno con l’altro per fare in modo che i costi si abbassino, sostiene Andrew Charlton di Aviation advocacy, un’azienda di consulenza con sede in Svizzera. Se diverse aziende private potessero operare su più aree potrebbero offrire alle compagnie prezzi e servizi competitivi, in grado di attirare più voli. E i paesi potrebbero incoraggiare la competizione organizzando aste per questi contratti ogni cinque o dieci anni.

Finora nessuno lo ha fatto. Ma alcuni paesi subappaltano già la gestione del traffico aereo. Da tempo Australia, Figi e Nuova Zelanda gestiscono lo spazio aereo sopra le isole dell’oceano Pacifico. L’ungherese HungaroControl fa lo stesso per il Kosovo dal 2014.

Una vera riforma in grado di evitare che ritardi e cancellazioni rovinino milioni di vacanze ogni estate è improbabile senza una volontà politica più grande, sostiene David McMillan di Atm policy institute, un centro studi di Ginevra. I funzionari dell’Unione europea in privato ammettono di aver rinunciato, a breve termine, a unificare i servizi che riguardano la gestione del traffico aereo, così come avevano immaginato di fare all’inizio con Eurocontrol.

Analogamente, negli Stati Uniti, una bozza di proposta per sottrarre questi servizi alla Faa, scorporandola e creando una nuova entità, è stata affossata lo scorso anno dal congresso. Anche se grandi compagnie aeree, aeroporti e sindacati dei controllori di volo sostenevano la proposta, la lobby dell’aviazione privata si è opposta, preoccupata che i jet potessero essere costretti, un giorno, a pagare per i servizi che oggi ottengono gratuitamente, grazie ai contribuenti statunitensi.

Per questo, tornando al Muac di Maastricht, Santurbano dice ironicamente che, se dovesse consigliare a un giovane come trovare un lavoro ben pagato con poche probabilità di essere trasformato dall’automazione nei prossimi decenni, suggerirebbe quello di controllore del traffico aereo: “Questo per dire quanto stiano procedendo spedite le riforme nel nostro settore”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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