06 gennaio 2020 10:24

Un uomo corre lungo un sentiero ghiacciato per tornare dai suoi cari. Una famiglia si riunisce in casa per sfuggire al gelo. Un interprete di canti natalizi sfida il freddo per regalare agli altri un po’ di calore festivo. Chiunque abbia visto La taverna dell’allegria (1942), La vita è meravigliosa (1946), Bianco Natale (1954), Mamma ho perso l’aereo (1990) o L’amore non va in vacanza (2006) sa benissimo che la neve è parte integrante dei film natalizi. Ma a Los Angeles, dove vengono girati ancora molti film, la neve non cade dal 1962. Creare banchi di neve, ghiaccioli che scendono dalle grondaie e fiocchi di neve è da sempre una sfida per i registi. Ma la necessità è la madre delle invenzioni.

Agli albori di Hollywood gli artisti degli effetti speciali creavano la neve da materiali comuni. Palle di ovatta venivano gonfiate per creare morbidi cumuli, aumentando vertiginosamente il rischio di incendi a causa della loro infiammabilità e dell’effetto delle luci cinematografiche. Le pastiglie contro l’indigestione venivano tritate in polvere e soffiate da grandi ventilatori per simulare le tempeste, ma presto gli attori che respiravano quella polvere hanno cominciato a lamentare disturbi di salute. Altre volte i fiocchi di mais venivano dipinti di bianco: l’effetto sullo schermo era convincente, ma con l’avvento del sonoro sono cominciati i problemi, perché quando gli attori li schiacciavano sotto le scarpe il suono rendeva inutilizzabili i dialoghiinutilizzabili i dialoghi e bisognava doppiare il film.

Dall’amianto a Snowcel
Un rischio molto più serio fu quello legato al sostituto della neve utilizzato nel Mago di Oz (1939). Nel film Dorothy si sveglia in un campo di papaveri innevato, ma quella neve era in realtà crisolito industriale, comunemente noto come amianto, una sostanza altamente cancerogena. Venduto con il nome di “puro bianco”, l’amianto è stato usato nell’industria cinematografica fino a dopo la seconda guerra mondiale, oltre a essere commercializzato come decorazione natalizia. Sul set del Medico di campagna (1936) furono utilizzate circa mille libbre (450 chili) di amianto per riprodurre la natura selvaggia del Québec.

Girare in luoghi dove è presente la vera neve è sempre una possibilità, ma comporta grandi problemi economici e di imprevedibilità

Frank Capra era contrario a questi metodi, non perché si preoccupasse della salute dei suoi collaboratori ma perché erano troppo rumorosi ed era determinato a registrare in presa diretta i dialoghi per La vita è meravigliosa. E così Russell Shearman, supervisore degli effetti speciali per il film, si fece venire un’idea: usare la schiuma antincendio degli estintori. Dopo averla mescolata con l’acqua, lo zucchero e il sapone, Shearman spruzzò 22mila litri della nuova sostanza davanti ai giganteschi ventilatori, ricoprendo il set. L’effetto sembrò particolarmente realistico, e soprattutto si poteva camminare senza fare rumore (quell’anno Shearman vinse l’Oscar per i risultati tecnici ottenuti).

Nel 1964, adattando il Dottor Zivago per il grande schermo, David Lean si trovò a dover raccontare una storia d’amore che porta due amanti fino alle gelide pianure della Russia. Lean non poteva girare nella steppa descritta da Boris Pasternak, perché il romanzo era stato bandito in Unione Sovietica, dunque gran parte del film fu girato nella campagna nei pressi di Madrid (alcune sequenze sono state girate in Finlandia), dove per dare l’impressione del ghiaccio e della neve profonda fu utilizzato un mix di cera d’api congelata e marmo granulato.

Le comodità dello studio
Girare in luoghi dove è presente la vera neve è sempre una possibilità, ma comporta grandi problemi economici e di imprevedibilità climatica. La scena d’apertura di La febbre dell’oro di Charlie Chaplin (1925) mostra immagini spettacolari della Sierra Nevada, in California (che rappresentava il Chilkoot Pass in Alaska), ma le condizioni glaciali non erano certo favorevoli alla commedia. Quasi subito Chaplin tornò alle comodità dello studio, dove ricorrendo a sale e farina fu allestito un paesaggio innevato. Anni dopo Stanley Kubrick, considerata la sua rinomata meticolosità, non prese nemmeno in considerazione l’idea di girare con la neve reale, che si sarebbe sicuramente sciolta prima che la prima, perfetta scena fosse completata. L’orrore glaciale di Shining (1980) fu ricreato in uno studio britannico usando sale e polistirolo. Più recentemente, Alejandro Iñárritu ha voluto girare The revenant (2015) in esterna e con luce naturale. Il piano era di lavorare esclusivamente in Canada, ma un clima imprevedibilmente caldo ha costretto la produzione a spostarsi in Argentina per girare le ultime scene.

Oggi la carta riciclata conosciuta come Snowcel è tra le soluzioni più comuni, ed è stata utilizzata in film come The day after tomorrow (2004) e Il gladiatore (2000). L’unico inconveniente dello Snowcel è la sua tendenza a sfidare la gravità e fluttuare verso l’altro. Di questi tempi, sempre più spesso, le sostanze alternative sono sostituite dalla grafica computerizzata (Cgi) o dagli effetti visivi, anche nei film con attori reali.

La neve, come il fuoco e il pelo, è particolarmente difficile da riprodurre al computer, ma nel 2013 sono state sviluppate nuove tecniche per il film Frozen. Gli animatori hanno adottato il “Material point method”, che utilizza un algoritmo per registrare e ricreare le proprietà dei fiocchi, riuscendo a simulare tipi diversi di neve. Chi ha bisogno di sognare un bianco Natale se è possibile farlo apparire con una tastiera?

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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