28 aprile 2020 13:49

In tutto il mondo i volti della risposta alla pandemia non sono stati solo quelli di medici, infermiere e scienziate, ma anche soldati. Gli eserciti hanno costruito ospedali, fatto rispettare i lockdown e si sono uniti alla ricerca di un vaccino. Non sono attività abituali per un militare, ma le forze armate devono giustificare i generosi contributi che ricevono.

Nel 2019 sono stati consacrati alle spesi militari globali più di 1.900 miliardi di dollari, la cifra più alta, al netto dell’inflazione, degli ultimi tre decenni, secondo un rapporto pubblicato il 27 aprile dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri). Ma di fronte al rallentamento dell’economia mondiale e all’accumularsi del debito, i cannoni potrebbero cedere il passo al burro.

Le spese militari globali sono calate dopo la fine della guerra fredda, toccando un minimo di poco più di mille miliardi di dollari alla fine degli anni novanta (in dollari del 2018). Poi sono risalite negli anni duemila, quando gli Stati Uniti si preparavano alla loro “guerra al terrore” e l’economia cinese spiccava il volo. Dopo un breve calo, le spese sono cresciute ogni anno a partire dal 2015, spinte dalla concorrenza tra la Cina e gli Stati Uniti, dalle paure europee di un’aggressione russa e dalle folli spese in armamenti di alcuni paesi arabi. Ma la classifica dei principali acquirenti è cambiata più volte nel corso degli anni.

Chi spende di più in armi
Gli Stati Uniti rimangono tranquillamente in vetta, nonostante qualche anno di magra. Le spese militari totali, compresi i costi delle operazioni nel resto del mondo, sono calate costantemente, di oltre un quinto, tra il 2010 e il 2017, e rimangono del 15 per cento inferiori al suo picco, registrato nel 2010. Ma un peso massimo a dieta è comunque in grado di colpire duro, e i numeri sono da capogiro. Nel 2019 la spesa militare degli Stati Uniti è aumentata del 5,3 per cento, toccando i 732 miliardi di dollari, circa due quinti del totale mondiale, e più della somma delle spese dei dieci paesi che la seguono in classifica. Solo il suo aumento annuale equivale all’intero bilancio annuale della Germania, secondo il Sipri.

La spesa militare dei paesi in rapporto al loro prodotto interno lordo. (Sipri)

Gli Stati Uniti, inoltre, hanno allargato il divario con il paese secondo in classifica, la Cina, che ha aumentato le spese del 5,1 per cento, toccando i 261 miliardi di dollari, pari a solo poco più di un terzo del totale americano. Tuttavia alcuni esperti sostengono che il sistema opaco di bilancio militare della Cina fa sì che le sue spese siano costantemente sottostimate, e che l’uso dei tassi di scambio di mercato scelto come parametro di analisi da Sipri non tenga conto degli stipendi più bassi e i prezzi più economici di cui dispongono i paesi a reddito più basso.

Prendendo in considerazione tutti questi fattori, il bilancio per la difesa cinese potrebbe in realtà aver raggiunto circa l’87 per cento di quello statunitense, secondo Frederico Bartels, del centro studi Heritage foundation. Le spese lorde non chiariscono inoltre i progressi tecnologici. “La Cina sembra in testa nella competizione tecnico-militare in aree cruciali come scienza quantica, biotecnologia, armi ipersoniche, e missili balistici e di crociera”, avverte Robert Work, ex sottosegretario alla difesa degli Stati Uniti.

Fatto degno di nota, non c’è alcun paese europeo tra i cinque che spendono di più in armamenti

Tutti gli altri paesi impallidiscono al confronto. L’India, salita dal nono posto nel 2010 al terzo nel 2019, ha speso la cifra relativamente modesta di 71,1 miliardi di dollari, mentre la Russia, dove il boom di spesa di lunga data in carri armati, missili e navi da guerra si avvia alla conclusione, ha investito 65,1 miliardi di dollari (anche se, come nel caso della Cina, adattando i tassi di cambio al potere d’acquisto emerge una cifra due o tre volte più alta). Le spese dell’Arabia Saudita sono calate del 16 per cento ma, attestandosi sui 61,9 miliardi di dollari, rimangono notevoli.

Fatto degno di nota, non c’è alcun paese europeo tra i cinque che spendono di più. Il Regno Unito e la Francia, un tempo stabilmente nelle prime posizioni, e la Germania, che comunque si sta gradualmente riarmando, hanno investito circa cinquanta miliardi di dollari a testa.

Ma più vicino ai confini con la Russia, i bilanci militari sono in crescita. Le spese in Europa centrale sono salite del 14 per cento, sostenute in buona parte da quelle, generose, della Polonia. Nonostante le varie difficoltà diplomatiche della Nato – l’alleanza atlantica è stata criticata sia da Donald Trump sia da Emmanuel Macron – i suoi stati membri, Stati Uniti esclusi, hanno speso nel 2019 303 miliardi di dollari, una cifra superiore anche alle stime più generose del bilancio della Russia in materia.

I prossimi ostacoli
Che così tanti paesi spendano così tanto per scopi bellici non è una sorpresa. Le tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina si sono aggravate in questi ultimi anni, e la pandemia ha aumentato la diffidenza. La velocità folle con cui procede la corsa agli armamenti della Cina ha fatto crescere gli investimenti in tutta l’Asia, dal Vietnam all’Australia. Al contempo i regimi di controllo delle armi si stanno sgretolando, e lo scorso anno il golfo Persico è stato attraversato da lanci di missili in entrambi i sensi. Ma nonostante tutto questo, le spese militari nel medio periodo dovranno fare i conti con alcuni ostacoli di peso.

Il prezzo del petrolio è sceso ai suoi minimi in vari decenni, e al contempo è crollata la domanda globale. Anche se un accordo tra produttori, negoziato dall’Arabia Saudita e volto a tagliare la produzione, dovesse tenere, è probabile che il crollo colpisca duramente gli stati petroliferi che hanno accumulato armamenti negli anni delle casse piene. Si stima che la Russia perderà circa 165 miliardi d’introiti provenienti dall’esportazione di petrolio e gas nel 2020 (considerando un prezzo medio di trenta dollari al barile di petrolio), circa un terzo delle sue esportazioni totali, rileva Tatiana Evdokimova, capo economista presso la banca Nordea. Si prevede inoltre che l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, tutti importanti acquirenti di armamenti negli ultimi anni, riducano le spese governative.

Ma le democrazie hanno poco di cui rallegrarsi, perché le conseguenze economiche più ampie della pandemia di covid-19 saranno ancora più dure. Il Fondo monetario internazionale prevede che l’economia mondiale si ridurrà del 3 per cento quest’anno, la peggiore contrazione dai tempi della grande depressione del 1929. Si stima che Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia, Germania e Italia – i sei paesi della Nato che spendono di più – saranno tra quelli più duramente colpiti. Le spese d’emergenza per attutire il colpo della crisi si aggirano già intorno agli otto trilioni di dollari su scala globale, pari al 9,5 per cento della produzione mondiale, e lasceranno una montagna di debiti.

Potrebbe essere la fine dell’obiettivo della Nato di far investire i paesi membri il 2 per cento del pil nella difesa

In queste circostanze è probabile che sui leader politici si farà pressione affinché spendano di più per sanità e reti di protezione sociale, e meno per le armi. “Vediamo segni del fatto che i governi potrebbero rinviare importanti acquisizioni”, sostiene Michael Formosa della ditta di consulenza Renaissance strategic advisors, il che priverebbe di liquidità le aziende più piccole. “Esiste la concreta possibilità che parti cruciali della catena produttiva si trovino in sofferenza o in pericolo di sopravvivenza a brevissimo termine”.

La Corea del Sud ha dichiarato che ridurrà il bilancio della difesa del prossimo anno del 2 per cento (738 milioni di dollari) e la Thailandia dell’8 per cento (557 milioni). Tale denaro sarà destinato, rispettivamente, a un fondo per le emergenze e a un pacchetto di stimolo economico. I tagli dei paesi europei potrebbero segnare la fine dell’obiettivo della Nato di far investire il 2 per cento del pil dei suoi alleati nella difesa, sostengono Christopher Skaluba e Ian Brzezinski del centro studi Atlantic council. “La cosa potrebbe riaccendere un dibattito sulla condivisione degli oneri, che danneggerebbe la solidarietà transatlantica e, di conseguenza, la volontà degli Stati Uniti di mantenere la sua presenza militare in Europa”.

Ma anche gli Stati Uniti non ne usciranno indenni. La Rand corporation, un altro centro studi, ritiene che anche se le spese militari di Washington rimanessero stabili al 3,2 per cento del pil, il Pentagono potrebbe ricevere tra i 350 e i seicento miliardi di dollari in meno rispetto a quanto previsto, secondo i programmi correnti, nel prossimo decennio: circa la stessa somma (cinquecento miliardi di dollari) prevista da un consistente taglio di bilancio avviato nel 2011. Si tratta probabilmente di una stima prudente secondo Rand, perché è probabile che i prezzi di produzione delle armi statunitensi aumentino dopo la pandemia, quando la produzione si sposterà lontano dalla Cina.

Le priorità nazionali “tenderanno in primo luogo verso un aumento del reddito e della sicurezza sanitaria, oltre che a un miglioramento della resilienza e delle infrastrutture”, sostiene Frank Hoffman della National defence university di Washington. Nella peggiore delle ipotesi, afferma, le spese militari potrebbero scendere fino a circa 610 miliardi di dollari, “un livello che imporrebbe una riduzione degli effettivi militari, delle basi e delle esercitazioni statunitensi all’estero, e un taglio ai progetti di ammodernamento”. Se quella al covid-19 è una guerra contro il virus allora i dividendi della pace, come sarebbe giusto, andranno ai civili.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale The Economist.

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