14 luglio 2020 13:21

I presidenti in carica spesso fanno di tutto per essere rieletti. Nel caso del presidente polacco Andrzej Duda, del partito al governo Diritto e giustizia (Pis, a cui Duda non è più iscritto da quando è diventato capo di stato nel 2015, come prevede la legge polacca), questo include cavalcare la retorica omofoba, lanciare attacchi alla stampa indipendente e accusare la Germania d’intromettersi nella politica nazionale. Evidentemente la strategia ha funzionato: Duda ha vinto il ballottaggio del 12 luglio, sconfiggendo per un soffio Rafał Trzaskowski, il sindaco liberale di Varsavia, con circa il 51,2 per cento delle preferenze, contro il 48,8 per cento del rivale. In teoria la presidenza è un incarico soprattutto cerimoniale, dotato di scarso potere esecutivo nonostante goda del diritto, potenzialmente decisivo, di veto sull’approvazione delle leggi. In pratica la vittoria di Duda determina un’ulteriore avanzata del populismo conservatore in Polonia.

Duda e Trzaskowski sono della stessa generazione. Entrambi sono nati nel 1972, hanno insegnato all’università e sono stati parlamentari europei. Eppure politicamente si posizionano agli estremi opposti nello scontro politico che ha segnato la vita pubblica polacca dalla metà degli anni duemila, quello tra i conservatori e nazionalisti del Pis e i centristi-liberali di Piattaforma civica (Po). Trzaskowski è entrato nella competizione presidenziale all’ultimo minuto, dopo il rinvio del voto, inizialmente previsto per il 10 maggio, a causa della pandemia di covid-19. Al primo turno, il 28 giugno, nessun candidato aveva ricevuto più del cinquanta per cento. Così tutto si è deciso al ballottaggio.

La questione lgbt
Duda ha convinto gli elettori conservatori ergendosi a difensore della famiglia tradizionale. I diritti lgbt sono un’“ideologia più distruttiva del comunismo”, ha detto in un comizio il 13 giugno. Le sue parole sono state un attacco diretto a Trzaskowski, che da sindaco di Varsavia aveva firmato una dichiarazione in favore dei diritti lgbt. Tuttavia va detto che anche Trzaskowski è stato molto attento a non sbilanciarsi troppo: in campagna elettorale ha spiegato che avrebbe sostenuto le unioni civili, ma ha evitato di prendere impegni per la legalizzazione del matrimonio omosessuale. La campagna elettorale di Duda è stata fortemente sostenuta – in modo assai poco corretto – dalla Tvp, la televisione pubblica polacca, di cui Pis ha assunto il controllo poco dopo aver vinto le elezioni nel 2015. “Trzaskowski soddisferà le richieste degli ebrei?”, recitava un titolo in sovraimpressione durante l’edizione del 9 luglio del principale telegiornale nazionale. A questi attacchi Trzaskowski ha risposto mettendo le virtù dell’apertura e del dialogo al centro della sua campagna, facendo appello a una Polonia “dove una mano tesa sia più forte di un pugno chiuso”.

L’affluenza elettorale è stata del 68 per cento, una delle più alte dalla caduta del comunismo nel 1989. Trzaskowski è risultato decisamente in testa nelle regioni occidentali del paese, più industrializzate e meglio integrate con altri paesi dell’Unione europea. Duda ha vinto nel sud e nell’est del paese, aree che confinano con l’Ucraina e la Bielorussia, più rurali e socialmente conservatrici. Trzaskowski ha ottenuto risultati eccellenti tra i giovani, ricevendo – secondo un exit poll pubblicato subito dopo la chiusura dei seggi – quasi due terzi dei voti degli elettori con meno di trent’anni. Tra le persone con più di sessant’anni l’esito è stato opposto: più del sessanta per cento ha sostenuto Duda.

Con il risultato ormai definito, l’opposizione sta valutando di presentare ricorsi per il modo in cui sono state condotte le votazioni. Il comportamento della televisione di stato è già stato fortemente criticato. Ma sembra improbabile che la vittoria di Duda possa essere invalidata. I progressisti temono che il tono della sua campagna sia un assaggio di quello che aspetta il paese. La sera delle elezioni, dopo la diffusione degli exit poll, Duda ha dichiarato davanti a un gruppo di giornalisti di non pentirsi nemmeno di una parola pronunciata in campagna elettorale. Con la sua rielezione del presidente, e senza altri appuntamenti elettorali fino al 2022, il rischio è che il Pis possa concentrarsi sulla realizzazione del suo programma illiberale. Se il partito fosse più saggio, tuttavia, potrebbe riflettere sull’esiguità del margine della sua vittoria e pensare a riconquistare gli elettori di centro.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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