08 maggio 2020 09:58

Domenica 10 maggio i polacchi avrebbero dovuto eleggere il loro presidente, ma lo scrutinio è stato annullato all’ultimo minuto e rimandato a quest’estate. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, si tratta di una buona notizia per la democrazia.

Mi spiego: il tentativo di organizzare comunque il voto in piena pandemia di covid-19 aveva sollevato una forte opposizione in Polonia. Il Pis, formazione di destra alla guida del governo di Varsavia, voleva approfittare della campagna elettorale limitata per favorire il suo candidato, il presidente uscente Andrzej Duda.

Davanti alle critiche il governo ha tentato di imporre il voto a distanza per 30 milioni di elettori, ma i postini si sono ribellati (se non altro per il rischio sanitario) e hanno minacciato di scioperare, sostenuti da circa l’80 per cento della popolazione.

Braccio di ferro sulla giustizia
La presidente della corte suprema Małgorzata Gersdorf ha definito “una farsa” il voto organizzato in queste condizioni. Tuttavia Gersdorf è giunta alla fine del suo mandato, e nel frattempo la corte suprema polacca è finita al centro di un intenso braccio di ferro tra Varsavia e l’Europa. Il mese scorso, infatti, la corte di giustizia dell’Unione europea ha bocciato la riforma del sistema giudiziario avviata dal governo polacco, che rischia pesanti sanzioni.

Dunque all’ultimo momento Varsavia ha rinunciato a forzare la mano. È stato un sollievo per tutti: per i democratici polacchi ma anche per l’Europa.

Le presidenziali polacche avrebbero dovuto essere il primo appuntamento elettorale importante dopo l’avvento della pandemia che ha stravolto il continente. A tal proposito non dimentichiamo che i francesi hanno pagato a caro prezzo la decisione di confermare il primo turno delle amministrative lo scorso 15 marzo, per poi essere costretti ad annullare il secondo turno a causa della pandemia. La decisione del governo polacco dimostra che è impossibile organizzare uno scrutinio in un contesto come quello attuale. La vicenda alimenta interrogativi cruciali.

Se il rischio pandemico sarà la “nuova normalità” bisognerà fare uno sforzo d’immaginazione

Come si può mantenere un sistema democratico durante l’emergenza sanitaria? Dappertutto in Europa vediamo parlamenti che si riuniscono in presenza di una manciata di deputati, governi che agiscono per decreto e partiti politici emarginati e condannati a interventi televisivi in diretta dal salotto di casa dei propri dirigenti.

Se si trattasse di poche settimane non sarebbe grave, ma se invece il rischio pandemico sarà la “nuova normalità”, come sembra ormai possibile, bisognerà fare uno sforzo d’immaginazione. Di sicuro le riunioni pubbliche saranno quasi impossibili. E chi accetterà mai un volantino dalle mani di un attivista che indossa una mascherina?

Il rischio più grande, ovviamente, è quello di una deriva autoritaria come quella in corso in Ungheria, dove Viktor Orbán si è attribuito pieni poteri senza alcun limite temporale. In un rapporto pubblicato in settimana, la fondazione statunitense Freedom House ha dichiarato che l’Ungheria “non è più una democrazia”.

Più in generale una pandemia duratura crea seri rischi per la democrazia, non solo per via delle ambizioni personali dei leader ma anche perché rimette in discussione i codici, i rituali e le manifestazioni democratiche. A cominciare dal voto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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