08 febbraio 2022 11:30

Per decenni il problema della neve ha fatto venire i brividi agli organizzatori delle Olimpiadi invernali. Nel 1960, a Squaw Valley, in California, la neve arrivò solo un giorno prima dell’inizio dei giochi. Sedici anni dopo, a Innsbruck, in Austria, furono i militari a portare camion carichi di neve. Le cose cambiarono per i giochi del 1980 a Lake Placid, nello stato di New York, che gli organizzatori definirono Olimpiadi “a prova di meteo”. Furono le prime a integrare la neve naturale con i fiocchi creati dall’uomo.

Yanqing, a nordovest di Pechino, dove si svolgono i giochi di quest’anno, riceve in media solo 21 centimetri di neve all’anno, il che significa che saranno le prime Olimpiadi ad affidarsi interamente alla neve artificiale. Un fatto che ha scatenato polemiche sullo spreco. Eppure quasi ogni stazione sciistica ricorre a una soluzione simile. Cos’è la neve artificiale e come viene creata?

Piste innevate
In natura, quando il vapore acqueo nell’atmosfera diventa abbastanza freddo, si condensa e cade a terra: un processo favorito dai nucleatori, piccole impurità come il sale o i batteri intorno ai quali si forma il ghiaccio. Senza di loro l’acqua pura richiederebbe una temperatura di 39 gradi centigradi sotto zero per congelarsi.

La maggior parte della neve artificiale è fatta usando cannoni da neve, che spruzzano acqua davanti a un getto d’aria compressa. Mano a mano che la capacità di raffreddamento dell’aria diminuisce, diminuisce anche la quantità di acqua che può essere pompata attraverso la macchina. A 4 gradi sotto zero un cannone da neve può funzionare con circa l’80 per cento d’umidità. Ma se la temperatura esterna è di 1 grado sotto zero, questa deve essere portata a un’umidità di circa il 30 per cento, il che richiede più energia per produrre la stessa quantità di neve. A Yanqing, dove gli inverni tendono a essere freddi ma secchi, ci sono circa duecento cannoni che soffiano la neve sulle piste.

Molti paesi, tra cui Austria e Francia, proibiscono l’uso di additivi per creare la neve a causa dei loro effetti potenzialmente dannosi per le piante

Altre macchine, conosciute come lance da neve, usano lo stesso principio dei cannoni da neve, ma poggiandosi in alto su pali piantati a terra, il che dà all’acqua più tempo per congelarsi e ricadere come fine polvere nevosa. Alcune località turistiche aggiungono dei nucleatori all’acqua per favorire la formazione di ghiaccio, il che permette di produrre neve a temperature più elevate. Ma molti paesi, tra cui Austria e Francia, proibiscono questo tipo di additivi a causa dei loro effetti potenzialmente dannosi sulla crescita delle piante.

Il problema di questi metodi è che consumano grandi quantità di acqua ed energia. La produzione di neve per i giochi di Pechino potrebbe richiedere circa due milioni di metri cubi di acqua, abbastanza per riempire ottocento piscine olimpioniche.

Alcuni scienziati in Austria stanno sperimentando un metodo meno dispendioso. Neuschnee, una startup il cui nome significa “nuova neve” in tedesco, ha sviluppato una macchina che ricrea le condizioni naturali di formazione della neve. Gocce d’acqua fine vengono spruzzate in una stanza, creando una nuvola. Vengono poi aggiunte piccole particelle di ghiaccio, che si legano alle molecole d’acqua gassosa e formano cristalli più grandi, che cadono come neve sul fondo della stanza. Il metodo è promettente, ma ha degli svantaggi rispetto ai cannoni. Ha bisogno di temperature più fredde. E la neve che produce è troppo simile a quella naturale.

Potrebbe sembrare una buona cosa, ma è un problema per gli atleti olimpici. La neve che esce da un cannone è più densa di quella naturale: circa 450 chilogrammi per metro cubo invece di 250. Per questo motivo si scioglie più lentamente e fornisce una superficie più dura e ghiacciata su cui scivolare; prospettiva inquietante per un principiante, che spera di cadere in un ammasso di neve morbida, ma perfetto per gli atleti in cerca di velocità. La prima olimpiade a utilizzare piste interamente artificiali non sarà probabilmente l’ultima.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

Leggi anche:

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it