09 dicembre 2016 12:31

Versarsi una tazza fumante di caffè. Dare un’occhiata ai giornali. Controllare la concentrazione di polveri sottili nell’aria. Nelle ultime settimane il mio rituale mattutino si è adattato agli alti livelli di inquinamento. Dalla fine di ottobre una nebbia grigia e opaca avvolge New Delhi, la capitale indiana. Certe mattine il fumo è così denso che sembra di poterlo toccare. Gli edifici scompaiono, le macchine sbucano all’improvviso da strade invisibili. Il fumo entra nelle case da sotto le porte e dalle fessure delle finestre. L’ossigeno sembra rarefatto e ci costringe a respirare profondamente. All’esterno l’odore di bruciato prende alla gola. Il mal di testa è continuo. Gli occhi bruciano.

Eppure al mio arrivo la stagione era cominciata bene. In questa regione il periodo di Diwali, la grande festa indù delle luci, è uno dei più gradevoli. Le temperature offrono un po’ di sollievo, una pausa tra i mesi caldissimi dell’estate e il freddo pungente dell’inverno dell’India settentrionale. In tutto il paese si avverte un’atmosfera allegra. I palazzi e le case sono decorati con ghirlande luminose colorate. Le bancarelle si riempione di dolci. Gli indiani vanno a trovare i loro parenti. La sera della festa vengono accese delle candele davanti alle finestre delle case, e di notte il loro fioco scintillare illumina le facciate dei palazzi.

Un contadino brucia sterpaglie in un campo della periferia di New Delhi, il 25 ottobre 2016. (Shammi Mehra, Afp)

Ma Diwali non significa solo luci. Durante la festa vengono fatti esplodere anche milioni di petardi e fuochi d’artificio. In mezzo alla strada i bambini saltellano per l’eccitazione intorno a fontane pirotecniche. Sui tetti delle case i padri di famiglia fanno esplodere delle piccole bombe – chiamate curiosamente “nazi” – che fanno un rumore assordante. Le detonazioni scuotono la città. Ovunque si sentono esplosioni a raffica e il cielo è attraversato da lampi di fuoco. Chiudendo gli occhi si ha l’impressione di trovarsi in un paese in guerra. Con il passare delle ore l’aria diventa più densa e una fitta cappa di fumo avvolge la città. Sostanze inquinanti e particelle di metalli pesanti si diffondono nell’aria. I fari delle auto tagliano la nebbia con fasci luminosi. I cani randagi abbaiano per la paura. Respirare diventa faticoso.

Il vocabolario dell’inquinamento
Ogni autunno a New Delhi torna il problema dell’inquinamento. E ogni anno è più grave, senza che venga fatto nulla per risolverlo. Vari elementi congiurano contro questa megalopoli di oltre 17 milioni di abitanti. La temperatura in città, che sorge in mezzo alle enormi pianure del subcontinente, scende bruscamente da Diwali in poi. E con l’arrivo del freddo le sostanze inquinanti rimangono imprigionate al suolo. In pochi giorni la città soffoca tra la polvere dei petardi, i gas di scarico di milioni di auto, le emissioni delle fabbriche di periferia e il fumo delle stoppie bruciate nei campi. Un cocktail tossico che alcuni politici locali paragonano a una “camera a gas”.

Lavorare a New Delhi, come nel mio caso da settembre, non significa solo districarsi in questa megalopoli tentacolare, affrontare un’amministrazione pignola fino al grottesco o assaggiare il delizioso curry di cervello del ristorante Karim’s. Significa anche scoprire e usare un vocabolario scientifico nuovo, sigle come pm10, pm2,5 o unità di misura come μg/m³ (microgrammo per metro cubo). Il particolato (pm) è l’indicatore più utilizzato per l’inquinamento atmosferico: sostanze microscopiche del diametro di pochi micron, particolarmente nocive per la salute. Le polveri più sottili, di 2,5 micron o meno (pm2,5), sono particolarmente insidiose: per le loro dimensioni – circa un trentesimo del diametro di un capello umano – finiscono direttamente nei polmoni. Per limitare l’impatto sul corpo umano l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di non superare la media giornaliera di 25 μg/m³ di pm2,5. Ma nelle ultime due settimane a New Delhi è stata superata più volte la soglia dei 1.000 μg/m³. In realtà ha superato i 999, perché oltre quel numero i sensori delle centraline si bloccano. Nei giorni “buoni” si alza il vento e i livelli scendono intorno ai 300-400 μg/m³. Per avere un termine di paragone a Parigi l’allarme rosso scatta quando la concentrazione di pm10 supera gli 80 μg/m³. Non fa differenza essere giovani, bambini o anziani: respirare l’aria viziata di New Delhi equivale a fumare due pacchetti di sigarette al giorno.

La situazione è talmente grave che gli stessi indiani, la cui capacità di relativizzare i problemi è leggendaria, cominciano a preoccuparsi. L’argomento è sulla bocca di tutti. I mezzi d’informazione parlano di “airpocalypse”. Per la prima volta ho visto la gente per strada indossare delle mascherine contro l’inquinamento. Quando emergono dalla nebbia queste figure indistinte somigliano in modo inquietante ad Hannibal Lecter nel Silenzio degli innocenti. I pochi negozi che le vendono sono presi d’assalto. Nelle farmacie sono andate a ruba anche le semplici mascherine chirurgiche, che non sono molto utili in queste circostanze.

New Delhi, il 3 novembre 2016. (Dominique Faget, Afp)

Di fronte all’inquinamento non sono tutti uguali. Coloro che fanno i lavori più umili, il cuore pulsante della città, i conduttori di risciò, i venditori ambulanti e gli operai non hanno i mezzi per proteggersi e cercano espedienti spesso inutili. Così il portiere di un palazzo, con l’aria preoccupata, si mette uno straccio sulla bocca scrutando un cielo di cui non ricorda più il colore. In una stazione della metropolitana sono state messe delle piante nella vana speranza di ossigenare i tunnel pieni di fumo.

Chi può resta chiuso in casa e fa andare a pieno regime i costosi purificatori d’aria. Dall’inverno scorso sono stati installati anche negli uffici dell’Afp. Si prova una specie di gioia infantile nel ricevere a casa uno di questi macchinari: ci si siede vicino con un buon libro in mano, come accanto al caminetto, e si ascolta il suo ronzio, per poi sorprendersi a consultare ogni cinque minuti il contatore di pm2,5 e a rallegrarsi quando le particelle nocive scendono a livelli più ragionevoli per la salute.

La miopia dei politici
Come spesso succede in India – un paese tanto appassionante quanto frustrante – il problema è sotto gli occhi di tutti, ma non si fa nulla per trovare una soluzione. Ogni anno è sempre lo stesso discorso. I politici sembrano cadere dalle nuvole quando scoprono che la capitale è inquinata. Sono dovuti passare otto giorni di smog e di proteste prima che le autorità si decidessero a chiudere le scuole. A causa della complessa struttura burocratica dell’amministrazione cittadina, ogni dirigente scarica la responsabilità su un altro con il risultato che alla fine nessuno fa nulla e la città soffoca. Le prime misure annunciate sembravano uscite da un romanzo di Kafka: subito prima di Diwali il governo locale ha tenuto una conferenza stampa per annunciare l’intenzione di installare cinque purificatori d’aria. Cinque purificatori d’aria in tutta la città. All’aperto, come se fossero dei nebulizzatori: era come versare una bottiglia d’acqua potabile nel mare per renderlo meno salato.

New Delhi, l’8 novembre 2016. (Harish Tyagi, Epa/Ansa)

I più diffidenti insinuano che i purificatori d’aria saranno sistemati vicino alle centraline che misurano l’inquinamento. Abbiamo anche visto i dipendenti comunali innaffiare un viale per abbattere le polveri sottili. E sentito il “don’t get panic” (sic) del governo locale, che raccomanda tra le altre cose di fare regolarmente dei risciacqui con acqua calda se si ha la gola irritata, e di mangiare arance. All’inquinamento ci si abitua. Lo si nasconde poco a poco. Ci si lascia sopraffare dall’amnesia collettiva. Ma non si può smettere di vivere. Ed è esasperante assistere al lento suicidio di una delle più grandi metropoli del mondo. “Se continua così, la città non sarà più vivibile”, ha detto a un collega dell’Afp un conduttore di risciò che, preoccupato per la salute dei suoi figli, li ha mandati nel villaggio d’origine.

Di fronte alla passività delle autorità, anche la corte suprema ha perso la pazienza. In un’udienza sulla questione il presidente del tribunale di più alto grado del paese ha rivolto un duro rimprovero al governo di New Delhi: “Voi restate seduti ad aspettare mentre la gente muore”. La corte ha dato due giorni al governo federale per presentare un piano di lotta all’inquinamento. I due giorni sono passati, ma del piano neanche l’ombra.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Questo articolo è stato pubblicato sul blog Making-of dell’Agence France-presse. Nel blog, giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro.

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