28 febbraio 2022 18:47

“C’erano bombe giorno e notte, carri armati per strada”. Ha il viso segnato dalla stanchezza, ancora fatica a parlare quando ripensa alle sirene e alle urla che l’hanno svegliata la mattina che Kiev, la sua città, è stata bombardata. Ha detto ai genitori che non poteva più sopportare quella paura: è un’ossessione che ancora la immobilizza, anche adesso che è in salvo.

È scappata il 26 febbraio, portando con sé qualche vestito, delle fotografie e la sua gatta, Musa. Nataliia Lyha ha 26 anni, lavorava in un call center, viveva con sua madre e suo padre nella capitale ucraina e ora è sulla banchina della stazione ferroviaria di Przemyśl, in Polonia. Ci è arrivata prendendo tre treni che hanno percorso i cinquecento chilometri che separano la capitale ucraina dal confine polacco.

“Erano pieni di persone, di bambini, di famiglie. Sono scioccata”, racconta. Il suo fidanzato è in Crimea e sta cercando di raggiungerla, vorrebbero andare insieme in Germania per trovare un po’ di pace. Ha una sciarpa al collo e uno scaldaorecchie per ripararsi dal freddo, mentre le temperature stanno scendendo sotto lo zero e al valico di confine sono caduti i primi fiocchi di neve. Sono quasi tutte donne le passeggere scese dal treno che collega Leopoli a Cracovia, alcune arrivano da Kiev e sono in viaggio da giorni, sono accalcate sulla banchina: c’è un via vai di volontari polacchi, coordinati dai vigili del fuoco e dall’esercito che distribuiscono cibo, bevande calde, vestiti, organizzano l’accoglienza e gli spostamenti.

Solidarietà europea
Gli aiuti arrivano da tutta la Polonia. Una donna ha un cartello in mano, con una scritta in ucraino: “Offro ospitalità a otto persone a casa mia”. Nataliia Lyha le si avvicina, le chiede aiuto. Si chiama Ludmilla Kolosowa, è ucraina, ma vive a Katowice, a quattro ore di macchina dal confine. È venuta per dare ospitalità ai profughi: “Ho un figlio che sta combattendo a Odessa, ho paura per lui, sono qui per dare una mano, offrire da dormire è l’unica cosa che posso fare”. Lyha con la sua gatta saranno ospitate da Ludmilla Kolosowa. “Per un paio di giorni potrò riposare, poi vedremo cosa fare”, afferma Lyha.

Anche Maria Dmytryshyn, 16 anni, e sua madre dormiranno a casa della donna ucraina che vive in Polonia. Sono scappate da Leopoli e ci hanno messo un giorno per percorrere una tratta ferroviaria che di solito si fa in due ore. Dmytryshyn è una studentessa, ha portato con sé dei libri e delle foto. “Ho dovuto lasciare quasi tutto a casa, siamo andate vie di corsa”, spiega. Suo padre è rimasto a Leopoli, perché dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel paese è in vigore la legge marziale e tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni non possono andarsene, così molti di loro portano la famiglia in salvo nei paesi limitrofi e poi tornano indietro a combattere. Maria Dmytryshyn vuole andare a Varsavia e poi provare a studiare o a lavorare. “Non potevamo rimanere a casa, era troppo pericoloso”, racconta. Ha lasciato suo padre, sua nonna e il suo cane che si chiama Conchiglia. “Torneremo a prenderli appena ci sistemiamo”.

Ci sono file di ore ai valichi di frontiera con la Polonia. Una volta attraversato il confine i profughi trovano ad aspettarli amici o semplici conoscenti, ma anche sconosciuti che sono pronti ad accoglierli nelle loro case. C’è una pagina Facebook in polacco e ucraino in cui si offrono posti letto, passaggi in auto private, aiuti di ogni tipo per i profughi che sono al confine.

Stanno arrivando organizzazioni umanitarie e volontari da tutta Europa in Polonia per gestire quella che è già una nuova emergenza umanitaria. Necip Arslann è arrivato da Norimberga in macchina. Insieme a sua moglie ha fatto un gruppo whatsapp per raccogliere beni di prima necessità da portare in Polonia: “Abbiamo caricato la macchina più che potevamo e sono venuto qui, ma intendo tornare con la macchina piena di persone”, afferma, mentre al parcheggio degli autobus sventola un cartello con scritto “Germany”.

La Caritas Polonia ha allestito delle tende nel parcheggio degli autobus. “C’è tanta di quella gente, arrivano a tutte le ore, le persone stanno dormendo nelle scuole, qui distribuiamo bevande e cibo”, racconta Caroline Samp, un’operatrice della Caritas locale. “Ma abbiamo anche tante persone che arrivano qui per portarci cose per i profughi, spuntano persone dovunque ad aiutarci, è incredibile questa solidarietà”.

Solo qualche mese fa, i profughi iracheni e siriani che arrivavano al confine tra Polonia e Bielorussia erano respinti con violenza dalle guardie di frontiera polacche, invece il 27 febbraio il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha annunciato che Varsavia è pronta ad accogliere i profughi ucraini a braccia aperte.

Un permesso di soggiorno per tutti
Il 28 febbraio l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) Filippo Grandi ha annunciato che cinquecentomila ucraini hanno lasciato il loro paese e sono entrati in Polonia e negli altri paesi limitrofi come Romania, Ungheria, Moldova e Slovacchia. Ma i numeri potrebbero continuare a crescere nelle prossime ore. Secondo le stime, potrebbero lasciare il paese quattro milioni di persone: sarebbe l’arrivo più intenso di profughi in Europa nella storia recente, superiore anche alla cosiddetta crisi dei rifugiati quando un milione di siriani sono arrivati in Europa attraverso la rotta balcanica.

Ma questa volta l’atteggiamento dei paesi dell’Unione europea, soprattutto di quelli dell’Europa orientale, sembra essere cambiato: Polonia, ma anche Ungheria e Romania hanno detto che chi scappa dalla guerra in Ucraina sarà accolto senza problemi. Ma molti criticano il doppio standard dell’accoglienza applicato in base alla provenienza delle persone. Alcuni studenti africani che stavano scappando dall’Ucraina insieme a migliaia di cittadini ucraini hanno denunciato di essere stati respinti e picchiati dalla polizia di frontiera polacca.

Vitriana Liana è tra quelli che nutre dei dubbi sull’equità di questo sistema: è originaria di Luanda, in Angola, ha vissuto per otto anni a Kiev dove ha studiato e dove è nata sua figlia. Quando sono cominciate a cadere le bombe sulla capitale ucraina è scappata: “Credevo di morire, non ho portato via niente. Volevo solo andare via il prima possibile”. Ora dorme nella palestra della scuola primaria 14 di Przemyśl, allestita con le brande da campo per i profughi. È con sua figlia di cinque anni e suo marito. Ha paura che non le sarà riconosciuta nessuna forma di protezione. “Ci tratteranno come gli altri? Temo che ci rimandino in Angola, ma la mia vita è qui, mia figlia è nata qui”.

Ma l’annuncio più eclatante è venuto dalle autorità europee: il 27 febbraio al termine di una riunione dei ministri dell’interno dell’Unione è stato annunciato che Bruxelles potrebbe attivare una direttiva (55/2001) che non è mai stata usata prima per garantire una protezione temporanea ai profughi ucraini per tre anni: in questo modo non sarebbe necessario per loro chiedere l’asilo, ma potrebbero muoversi e lavorare senza problemi all’interno dell’Europa. La decisione deve essere presa dal consiglio europeo del 3 marzo. Un’azione che, se estesa a tutti i profughi senza distinzioni, potrebbe imprimere una svolta alle politiche migratorie europee.

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