20 dicembre 2019 13:10

Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2017 sul numero 1215 di Internazionale. Era stato pubblicato sulla rivista Mel Magazine con il titolo Scenes from a bearded Santa pleasure cruise.

Sono in piedi sul ponte Promenade di una nave da crociera Carnival diretta a Ensenada, una città costiera della Baja California, in Messico. È una riunione di benvenuto a cui partecipa buona parte dei passeggeri, e sto cercando di farmi venire in mente qualche frase di circostanza per rompere il ghiaccio. Sapendo che qui arriva gente da ogni parte del mondo, opto per: “Da dove vieni?”. La domanda, però, suscita sempre varianti della stessa risposta, amichevole ma confusa: “Mmm… dal polo nord?”.

Tutto sommato non mi sorprende. È l’ultimo sabato di gennaio e sto per partecipare al 23° raduno annuale del Fraternal order of real bearded Santas (Forbs, Ordine fraterno dei Babbi Natale dalla barba vera), un’associazione di sosia di Babbo Natale nata con lo scopo di promuovere un’immagine positiva del personaggio. Il Forbs ha iscritti in tutti gli Stati Uniti che si riuniscono una volta al mese nelle loro città per cene e seminari in ristoranti del posto: gli aderenti al Forbs di San Diego, per esempio, s’incontrano il primo mercoledì del mese in una bisteccheria.

Oltre ad avere la fedina penale pulita, tutti gli iscritti devono avere barbe vere . Quelli che semplicemente si mascherano da Babbo Natale, indossando la parrucca e una barba finta, sono chiamati ironicamente “Babbi Natale tradizionali” dalla comunità dei professionisti. Curare quelle barbe – mantenerle di un bianco candido, nascondere la ricrescita, piegare i baffi ad arte – non è solo un motivo d’orgoglio, è anche un prerequisito per essere scritturati nei posti da Babbo Natale migliori. Anche per questo le tecniche di decolorazione sono un frequente argomento di conversazione. “Se sei un vero Babbo Natale possiedi più prodotti per capelli di tua moglie”, afferma Babbo Ron Breach del polo nord di Orange, in California.

L’organizzazione ha cambiato nome diverse volte e nella sua storia ci sono luci e ombre, ma il raduno annuale è sempre stato un punto fermo

Ogni gruppo, convention o scuola per Babbi Natale del mondo partecipa a questo incontro annuale. L’organizzazione ha cambiato nome diverse volte nel corso degli anni e nella sua storia ci sono luci e ombre, ma il raduno annuale è sempre stato un punto fermo.

Si tiene sempre l’ultimo fine settimana di gennaio, subito dopo la stagione più frenetica: l’unica in cui si lavora, in realtà. Qui, i fuoriclasse del Natale vengono a riprendere fiato e a rilassarsi in mezzo ai loro compagni in guanti bianchi e barba vera. “Durante le feste siamo travolti dal lavoro. Poi c’è un momento di grosso vuoto, e abbiamo bisogno di tirarci su”.

Tutto cominciò nel 1994, quando l’azienda tedesca di vendite per corrispondenza Otto Versand scritturò un po’ di Babbi Natale per l’edizione autunnale del suo catalogo. Il tema era: “Non basta un Babbo Natale per portare tutte le cose meravigliose del nostro catalogo!”. In copertina dovevano esserci dieci Babbi Natale che andavano a sbattere gli uni contro gli altri mentre cercavano di consegnare quantità enormi di regali incartati. L’agenzia che doveva preparare la pubblicità si rivolse alle società di casting di tutta la California del sud, specificando che i candidati dovevano avere barbe vere e il loro costume da Babbo Natale. Tra un ciak e l’altro delle 12 ore di riprese, i Babbi si scambiarono aneddoti sui loro lavori più memorabili – oltre a impersonare Babbo Natale durante le feste, molti di loro erano aspiranti attori – e alla fine presero accordi per pranzare insieme alla fine della stagione natalizia ormai alle porte.

Qualcuno pensò che il club aveva bisogno di un nome, e il compianto Babbo Tom Hartsfield prese in prestito una frase dell’annuncio del casting proponendo Amalgamated order of real bearded Santas (Aorbs, Ordine riunito dei Babbi Natale con barba vera). L’Aorbs si riunì l’ultima domenica di gennaio del 1995 al North Woods inn vicino a Pasadena e continuò a farlo per anni, aumentando il numero degli iscritti finché non diventarono troppi per il locale.

Di solito, il raduno si tiene sulla terraferma con la partecipazione di circa trecento Babbi Natale che prendono d’assalto un albergo della California del sud: nel 2015 è toccato allo Sheraton di San Diego. Nel 2017, però, il raduno è a bordo della nave da crociera Imagine della Carnival, dove una sessantina di Babbi Natale, insieme alle mogli e a una manciata di elfi provenienti da tutto il paese, sono salpati verso Catalina Island e poi verso Ensenada per un fine settimana di mangiate, bevute, karaoke, ukulele e canti natalizi.

Dopo la riunione di benvenuto, faccio un giretto sull’Imagine, che con i suoi 333 metri di lunghezza sembra più un centro commerciale degli anni novanta che una nave. A bordo c’è gente di ogni tipo: sposi in viaggio di nozze; genitori con lattanti in braccio, che cercano di godersi il regalo di Natale per la famiglia; persone anziane che viaggiano con persone ancora più anziane, probabilmente i genitori; e 57 Babbi Natale che, per stazza, si confondono facilmente con gli altri 1.500 passeggeri, americani giganteschi esaltati per la loro vacanza in nave.

“È sempre meglio tenere entrambe le mani bene in vista nelle foto”, aggiunge Babbo David, “così nessuno può chiedersi dov’è l’altra mano”

È la prima volta che partecipo a una crociera Carnival e sono al tempo stesso terrorizzato e deliziato dalla novità. In realtà, c’è ben poco di nuovo rispetto a una qualsiasi area ristoro di un centro commerciale o alla reception di un Holiday Inn, eppure c’è un riposante clima familiare. Il Pig & Anchor bar-b-que di Guy Fieri sul ponte Lido, per esempio: “Con la linea di salse da barbecue di Guy, la vostra giornata a bordo sarà ancora più strepitosa”, promette il dépliant.

Quasi tutti i Babbi Natale sono qui con le rispettive consorti, le Signore Natale. Lo zelo con cui le mogli accettano questo ruolo oscilla, ma nessuna è entusiasta come Diva, moglie di Babbo Rick Ervin, presidente del Forbs. Diva è l’amatissima segretaria della sezione della contea di Orange, ma il suo ruolo non ufficiale è quello di cheer-leader, e lo svolge in modo impeccabile.

Io non sono un Babbo Natale dalla barba vera: a malapena riesco a farmi crescere il pizzetto. Eppure, Diva e tutti i Babbi Natale che rappresenta e che aiuta lavorando giorno e notte mi accolgono quasi immediatamente come un Santa Claus ritrovato.

La sala da pranzo Spirit dell’Imagine, in finto stile formale, trabocca di uno splendore esagerato: volte affrescate da cui pendono lampadari di cristallo, grandi oblò rifiniti in oro e una maestosa scalinata circolare impreziosita da una statua di Napoleone il giorno dell’incoronazione. Per un attimo perdo l’equilibrio, e di colpo mi ricordo che sono su un transatlantico nelle acque del Pacifico e non in un casinò. Dopo essermi ripreso, mi metto alla ricerca del tavolo 24, che mi è stato assegnato per la durata della crociera.

Elfi e guanti bianchi
Al tavolo trovo Babbo Lou Martinez e sua moglie Loretta, una simpatica coppia ispanica in costumi abbinati, entusiasti del raduno. “È sempre stupendo vedere i Babbi con cui ho fatto amicizia nel corso degli anni”, mi dice Babbo Lou. “C’è un senso di fratellanza. Il nostro è un lavoro solitario, non puoi chiamare un amico e chiedergli di andare a fare i Babbi Natale insieme”.

Gli altri Babbi del tavolo 24 hanno portato alcuni amici – o elfi – per ringraziarli del loro aiuto nella stagione natalizia. Babbo Greg Cook e l’elfo Dave sono amici da quando frequentavano insieme i boy scout. “Dave fa l’elfo con me al South-western train museum”, spiega Babbo Greg. “Sono un bravissimo elfo”, dice Dave con orgoglio. “Ho un costume verde con un cappello a punta che ricade sulle spalle, e dico cose come: ‘Fate posto a Babbo Natale che deve sedersi, per favore!’. Ma gli elfi non sono molto rispettati. Mi è capitato solo una volta che un bambino mi rivolgesse la parola, ed è successo solo perché avevano visto uno stupido film con Will Ferrell che si chiamava Elf”.

Una pausa durante l’incontro dei Babbi Natale dalla barba vera, gennaio 2012. (Peter Bohler, Redux/Contrasto)

Mentre un nugolo di camerieri porta via i cocktail di gamberi per fare posto alle ostriche alla Rockefeller, chiedo ai miei commensali se qualcuno è mai stato in Messico.

“Io una volta ho passato la notte in carcere a Ensenada”, dice l’elfo Dave. “Mi sono ubriacato in un locale di strip tease e quando sono uscito da lì mi sono aggrappato a un parchimetro per non cadere. Un poliziotto ha pensato che volessi danneggiarlo e mi ha sbattuto dentro”.

Gli chiedo se gli hanno anche tolto la licenza di elfo.

“Noo”, risponde per lui Babbo Greg, un po’ sulla difensiva. “Tutto a posto, all’ultimo controllo la fedina penale era pulita”.

Ne nasce una discussione su questi controlli, che – mi viene detto – tutti i soci del Forbs devono ripetere ogni due anni per avere diritto all’assicurazione che il gruppo fa a tutti i suoi Babbi Natale: essenzialmente una copertura per la responsabilità civile.

Babbo Ron alza gli occhi al cielo. “Io ho diverse polizze per danni contro terzi e molestie. Basta che spunti una bambina che dice ‘Babbo Natale mi ha pizzicato il sedere!’ e hai chiuso”. 

“È sempre meglio tenere entrambe le mani bene in vista nelle foto”, aggiunge Babbo David, “così nessuno può chiedersi: ‘Dov’è l’altra mano?’”.

“Ecco perché indossiamo dei bei guanti bianchi: perché si veda dove teniamo le mani”, spiega Babbo Michael.

Come primo lavoro, Babbo Greg fa il sorvegliante nella mensa di un liceo di San Diego, e mi racconta che a volte gli studenti possono essere un po’ pesanti a proposito del suo secondo lavoro. “Una volta un ragazzo si è avvicinato e mi ha detto all’orecchio: ‘Babbo Natale, per Natale portami quel gran pezzo di figa’”.

Avere un primo lavoro è indispensabile, perché i Babbi Natale dei centri commerciali prendono circa venti dollari all’ora per otto ore al giorno con una pausa pranzo di mezz’ora. Le visite a casa sono pagate meglio, spiega Babbo Greg. “Per una visita a domicilio di mezz’ora il sabato puoi chiedere dai 200 ai 250 dollari, a Los Angeles cento dollari in più. Ma ci sono solo due o tre weekend buoni all’anno, per lavorare”.

“E l’anno prossimo ne perdiamo uno”, ricorda Babbo Ron alla tavolata. “Colpa del calendario. Non si scappa. Se fai questo lavoro per più di un anno vuol dire che ce l’hai qui”, dice indicando il cuore.

Babbo Michael, un pastore che mi ha invitato alla messa domenicale di domattina, vede questa occupazione come un’opportunità. “Il mio lavoro è creare un ricordo che i bambini si porteranno dietro per sempre”.

“Io lo so qual è il vero Babbo Natale”, sussurra il bambino, indicandone uno. “Accidenti, e come lo sai?”, chiede lei. “È il più grasso”

Mentre tutti si avventano sul dessert – un tortino al Grand Marnier con crema alla vaniglia aromatizzata all’arancio – le luci si abbassano e dagli altoparlanti arriva una voce: “Buonasera! Sono Ian, il vostro maître per la durata della crociera. A nome dell’equipaggio vorrei darvi il benvenuto a questa celebrazione del cibo, della famiglia e degli amici. Ci siete tutti?”.

Si leva un coro festante.

“D’accordo, allora, si festeggia!”.

Senza la minima esitazione, Babbo Ron, Babbo Lou e l’elfo Dave scattano in piedi lanciandosi in un balletto spontaneo.

Dopo cena, mentre la festa va avanti, mi imbatto in Babbo Glen Bailey, che sta entrando nell’Illusion dance club con un borsone blu in spalla. “È sempre stato il mio sogno avere una band di Babbi Natale con l’ukulele”, spiega, aprendo la borsa che contiene una decina di chitarrine. Ben presto, la sala si riempie di Babbi Natale sorprendentemente bravi a suonare l’ukulele.

Anche se Babbo Natale è una tradizione laica, la funzione della domenica che si tiene nella sala conferenze del ponte Promenade è piuttosto affollata.

Un trio di Babbi Natale con l’ukulele apre la cerimonia con una versione di Swing low, sweet chariot, prima di lasciare la parola a Babbo Michael, che è cieco e cammina aiutandosi con un lungo bastone dalla punta rossa: “Padre, ti ringrazio di questa opportunità. Siamo qui uniti da un obiettivo comune: divertire i bambini e farli sorridere. È la nostra vita”.

Babbo Michael spiega che da quando ha avuto un ictus nell’ottobre del 2015, sua cognata è andata ogni anno in macchina fino a Sacramento per accompagnarlo alle sue visite domiciliari in costume. “Per questo confido in Dio, che porta sulla nostra strada chi ci aiuta a condividere la gioia”, dice.

“Signore, poiché proseguiremo la crociera tutti insieme”, conclude Babbo Michael, “ti chiedo di stare con noi mentre ci divertiamo in compagnia e in amicizia”.

Mentre aspettiamo di imbarcarci su un traghetto per Catalina, mi metto a chiacchierare con una coppia di Babbi Natale in coda con me. Dopo aver parlato diffusamente della mia città, che è Fairfield, in Connecticut, mi sembra opportuno chiedere a Babbo David Nelson da dove viene. “Dal polo nord”, risponde, sorridendo a un bambino che non avevo visto avvicinarsi.

I genitori del bambino ci confidano che il piccolo non capisce perché su questa nave ci siano tanti Babbi Natale diversi: era convinto che ce ne fosse uno solo. Babbo David non si fa cogliere impreparato e spiega al bambino che si tratta della riunione della famiglia Claus. Babbo Natale c’è, ma è una specie di rock star, quindi viaggia con il suo staff. “Uno di questi è il vero Babbo Natale”, dice Babbo David, indicando un mare di altri Babbi che scendono dalla nave e si allontanano, “ma tu non sai qual è. Ti darò un piccolo indizio: Babbo Natale non va in giro da solo perché ha bisogno di guardie del corpo. Quindi, quando vedi gruppi di due o tre Babbi Natale insieme è molto probabile che quello vero sia uno di loro”.

“Io lo so qual è il vero Babbo Natale”, sussurra il bambino alla madre, indicandone uno. “Accidenti, e come lo sai?”, chiede lei. “È il più grasso”.

“Chi fa Babbo Natale diventa Babbo Natale”, mi spiega Babbo David dopo che la famiglia si è allontanata. “Ognuno di noi è Babbo Natale”.

Sono in molti a pensarla così, e spesso usano la formula “Babbo Natale 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”. È considerata una vocazione, e la barba vera sta a significare che un Babbo Natale dev’essere sempre pronto a calarsi nella parte. Anche quando non sono in tenuta completa – in giro per le strade di Catalina o passeggiando sul ponte Lido dopo pranzo – i Babbi Natale indossano diversi accessori in tema (bermuda rossi e calzettoni a righe, tute con bastoncini di zucchero stampati, bretelle natalizie) per non lasciare dubbi sulla loro identità nella mente dei bambini.

“Un’estate una bambina mi ha fermato per strada”, ricorda Babbo Michael. “Quando hanno capito quello che stava succedendo, i suoi genitori l’hanno sgridata. Io li ho interrotti dicendo: ‘Non c’è problema, ha solo scoperto chi sono e mi stava descrivendo la casa di Barbie che vorrebbe per Natale. Le ho detto che se farà la brava forse troverò un posticino sulla slitta anche per quella’. Tengo sempre in tasca qualche bastoncino di zucchero, e ne ho dato uno alla bambina facendo l’occhiolino alla madre. I bambini impazziscono quando scoprono che Babbo Natale ha qualcosa di vero da mangiare per loro!”.

Più tardi quella sera, di nuovo a bordo, passo al Red Frog rum bar a prendere una piña colada per Babbo Greg che me l’ha chiesta, poi raggiungo lui e un altro paio di Babbi Natale nella piscina riscaldata sul ponte Lido.

Sono già in corso i preparativi per la stagione natalizia 2017. “Sei sempre occupato a prepararti per sfide nuove”, spiega Babbo Dave. “Quest’anno ho seguito un corso di lingua dei segni dopo aver visto una scena di Miracolo nella 34a strada, in cui Babbo Natale incontra una ragazzina sorda. E meno male, perché poco dopo mi sono capitati quattro bambini con problemi di udito. Loro non si sono per nulla sorpresi che Babbo Natale conoscesse il linguaggio dei segni – dopotutto è un mago – ma i genitori sono rimasti a bocca aperta”.

In più di un’occasione, intervistando i Babbi Natale, mi accorgo di essere incappato senza saperlo in una conversazione su un tema delicato. Riferimenti a “la confusione”, “la guerra” e “il periodo buio” sono accompagnati da sospiri preoccupati: reazioni insolite, per una compagnia di buontemponi. E la conversazione viene troncata di colpo se si accorgono che nei paraggi ci sono io.

“Sono stato uno dei padri fondatori dell’Aorbs”, mormora Babbo Ron a Babbo Lou seduto accanto a me a cena, una sera. “Ho combattuto la guerra: sono stato uno della gang dei 31, cacciati per non aver voluto sostenere Nick Trolli”.

Ora che ho le parole chiave giuste, su Google scopro una storia travagliata di Babbi Natale finiti male. Nel 2002 – otto anni dopo che i dieci Babbi Natale del catalogo tedesco avevano fondato l’Aorbs – il gruppo contava già migliaia di iscritti grazie soprattutto a Babbo Tim Connaghan, un esperto di pubbliche relazioni che aveva accettato di aiutare il fondatore, Babbo Tom Hartsfield, a organizzare e a promuovere l’associazione. Tra le altre cose, aveva suggerito di cominciare a riscuotere piccole quote – 15 dollari all’anno – per potenziare la presenza sul web. All’epoca, come mi spiega l’attuale presidente del Forbs, Babbo Bob Callaghan, “solo chi partecipava al pranzo poteva iscriversi all’associazione. Con l’introduzione delle quote d’iscrizione, anche chi viveva nel Montana, o in qualsiasi altra parte del mondo, poteva diventare socio”.

Presto, però, cominciarono i problemi.

Uno dei nuovi iscritti – l’uomo di cui parlava prima Babbo Ron, Nick Trolli – entrò nel comitato direttivo e cominciò a litigare con Babbo Tim, accusandolo di conflitto di interessi. In pratica, Babbo Tim aveva firmato un contratto con una casa di produzione di Hollywood per un film su una convention di Babbi Natale, di cui sarebbe stato il consulente per un compenso di 25mila dollari. Babbo Tim ribatté che anche il gruppo avrebbe potuto ricevere fino al doppio della cifra, ma Babbo Tom (Hartsfield) lo indusse a dimettersi, cosa che Tim fece, anche se poi sostenne di essersi dimesso per i dissidi interni, e non perché avesse fatto qualcosa di male.

A quel punto Trolli salì alla presidenza, e ben presto mostrò di avere qualche problema con il potere. Nel 2008, una puntata del programma televisivo This american life immortalò la faida. Un articolo del Wall Street Journal del 2008 spiegava: “I detrattori di Trolli dicono che lui governa con il pugno di ferro in un guanto di velluto. Il suo gruppo dirigente ritira la tessera agli iscritti per infrazioni come parlare male dei colleghi sulla Elf net, una chat gestita dall’Aorbs”. Stando a quello che racconta Babbo Bob, ben presto restarono in carica solo due Babbi Natale: Trolli e Jeff Germann, l’amministratore di Elf net, che arrivò al punto di espellere dalla chat Babbo Tom per aver violato gli accordi di confidenzialità che regolavano le discussioni all’interno della direzione.

“Quando andammo al pranzo del 2008, successero cose sgradevoli”, ricorda Babbo Bob. “Così lasciammo l’associazione”.

Poco dopo, la sezione dell’Aorbs della contea di Orange ha cambiato nome in Forbs e ha adottato un suo logo, tenuto sempre bene in vista durante tutta la crociera. I vecchi dissapori e le ferite di guerra sembrano dimenticati, e se non fosse per quei mormorii sommessi e per la mia conoscenza enciclopedica di This american life, non avrei mai saputo che solo qualche anno fa questi uomini hanno vissuto una guerra civile che li ha quasi annientati.

Consigli del medico
Vicino ai tavoli fuori dal casinò, un gruppetto di Babbi Natale discute delle tecniche migliori per decolorare i capelli. Chiedo se lo fanno tutti.

“Ci sono parecchi bianchi naturali”, risponde Babbo Lou. “Ma più del 60 per cento di noi si decolora”.

“Mettiamo che dovessi decolorarti i capelli”, spiega Babbo Ron. “Dopo la prima decolorazione, i capelli sono di una tonalità arancione giallastra. A quel punto devi usare un toner, come Wella T18, e diventi di un colore biondo da surfista. Se ti decolori di nuovo, diventi bianco”.

“Ma attento a non lasciare troppo in posa il toner, o i capelli ti diventano blu”, mi mette in guardia Babbo Lou.

“È un bell’impegno”, commenta Babbo Ron, indicandosi la barba. “Sotto le feste devo farmi ritoccare la ricrescita più o meno ogni dieci giorni. Ora che la stagione è finita, posso ricominciare a decolorarmi ogni sei settimane o giù di lì”.

Babbo Ron dà un’occhiata alla capigliatura di Babbo Lou. La ricrescita grigia gli sta invadendo la fronte. “Da quant’è che non ti decolori, Lou, sette settimane?”. “Sei o sette, sì. Eppure c’è ancora chi mi grida: ‘Ehi, Babbo Natale!’. Se è un adulto, gli rispondo: ‘No, sono Jerry Garcia!’”.

L’ultimo giorno del raduno è riservato ai seminari. Uno è tenuto da un’infermiera che parla della salute di Babbo Natale. “Il problema non è se Babbo Natale si ammalerà la prossima stagione, ma quando”, spiega raccomandando un regime a base di zinco e vitamina C, e l’uso di un disinfettante all’aroma di vaniglia da spruzzare sui guanti.

Tra gli altri seminari ci sono “Babbo Natale imprenditore” e “Babbo Natale on-line”, una serie di lezioni su come promuovere il proprio marchio in rete. Io scelgo di seguire “Migliora le visite a domicilio di Babbo Natale”, tenuto da Babbo Jo McGrivey, che ci spiega perché ha smesso di leggere La notte prima di Natale.

“Per anni ho letto La notte prima di Natale raccontando quella storia come meglio potevo”, dice Babbo Jo. “Ma onestamente, ragazzi, è proprio noiosa! Dice: ‘Visioni di prugne ricoperte di zucchero danzano nella mente dei bambini’. Prugne ricoperte di zucchero? I bambini non sanno neanche cosa sono! Forse potevano saperlo i bambini inglesi dell’ottocento, non certo quelli che vediamo noi!”. Piuttosto, Babbo Jo suggerisce di inventare storie su cose che possano interessarli: per esempio, perché Rudolph la renna ha il naso rosso?

Subito dopo, tutti si spostano al simposio dei Babbi Natale, in cui un gruppetto di Babbi anziani risponde a domande su come gestire situazioni difficili con i bambini. Un esempio: “Cosa fate quando Jimmy si siede sulle vostre ginocchia e vi dice: ‘Io sono ebreo e i miei genitori dicono che tutti i Babbi Natale sono pedofili’? Oppure: ‘Puoi portarmi un pallone, di quelli che esplodono in mezzo alla folla?’”.

Il clou della settimana, come promesso, è il pranzo annuale. Immagino che i raduni di organizzazioni come i Lions, i massoni e i cavalieri di Colombo siano un po’ così: si comincia con un giuramento di fedeltà, seguito da una preghiera (“Padre ti ringraziamo dell’opportunità che ci dai di rappresentarti in quanto Babbi Natale”); poi l’omaggio ai Babbi Natale morti nel corso dell’anno (“Noi diciamo che hanno fatto l’ultimo giro in slitta”); l’inno dei Forbs, cantato sulla musica di Santa Claus is coming to town (“Fai un bel sorriso e stai a vedere, ti mostreremo che Babbo Natale esiste, sono arrivati i Babbi di Forbs!”); una sfilata di moda (“Il prossimo è Babbo Michael in tenuta da lavoro, con grembiule di tela marrone fatto su misura con il disegno di un bastoncino di zucchero”); e infine una versione trascinante di una canzone in cui ogni tavolo canta una strofa diversa.

Una volta finito il pranzo, tutti i Babbi Natale torneranno nei loro poli nord personali ad aspettare, tingendosi la barba ogni otto settimane, offrendo caramelle a chiunque gliele chieda e contando i giorni fino a dicembre. “Ho un’abitudine”, racconta Babbo Lou. “La sera del giorno del Ringraziamento mi rivedo il film Santa Clause con Tim Allen. Parla di un uomo che accetta il ruolo di Babbo Natale e deve trovare il modo per farlo. Mi ricorda perché sono qui”.

Ora Babbo Lou e i suoi fratelli dalle barbe bianche, insieme al loro seguito di elfi e di signore Natale, sono pronti per una nuova stagione, in cui daranno fondo a tutta la loro esultanza natalizia per poche migliaia di dollari. E quando l’allegria si sarà esaurita e il Natale sarà ormai lontano, ripartiranno per un nuovo pellegrinaggio verso il loro appuntamento post-natalizio, per improvvisare qualche coretto, strimpellare l’ukulele e ricordarsi che non sono soli.

(Traduzione di Diana Corsini)

Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2017 sul numero 1215 di Internazionale. Era stato pubblicato sulla rivista Mel Magazine con il titolo Scenes from a bearded Santa pleasure cruise.

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