25 ottobre 2022 11:56

Olga Ramos ha 45 anni e una bambina ancora piccolissima. Per giorni ha camminato nel fango, ha guadato fiumi e salito montagne portando la piccola sulle spalle. Nel tragitto è passata accanto a un bambino disabile terrorizzato e ha visto il cadavere di un uomo con le mani legate al collo. L’unico obiettivo di Ramos era raggiungere gli Stati Uniti e per riuscirci avrebbe fatto lo stesso percorso anche migliaia di volte.

Ramos fa parte di un movimento straordinario di migranti venezuelani che rischiano la vita per cercare un futuro migliore e dare qualche opportunità ai figli. La loro storia la racconta un reportage del New York Times con le fotografie di Federico Rios.

La speranza o la disperazione li spinge ad attraversare a piedi una lingua di terra chiamata Tapón del Darién (il tappo del Darién). Al confine tra Panamá e la Colombia, il Darién è una distesa di circa 25mila chilometri quadrati di foreste pluviali, montagne e paludi. Non ci sono strade. L’unico modo per aggirarlo è via mare. È considerato una delle regioni più pericolose del mondo, un corridoio per il traffico di droga infestato di giaguari e serpenti velenosi.

Racconti sui social
Secondo le autorità statunitensi dal 2015 al 2018, il periodo peggiore della crisi economica e sociale del Venezuela, le detenzioni di migranti provenienti dal paese sudamericano al confine meridionale degli Stati Uniti non hanno mai superato le cento persone. Mentre quest’anno già 150mila venezuelani hanno raggiunto la frontiera. L’esodo è cominciato nel 2014, poco dopo la morte del presidente Hugo Chávez e l’elezione del suo delfino Nicolás Maduro. Da allora più di sette milioni di persone hanno lasciato il paese, secondo i dati delle Nazioni Unite aggiornati a ottobre. E di questi, più della metà non ha accesso ai servizi di base: casa, sanità, istruzione, lavoro.

Prima della pandemia e della guerra in Ucraina i migranti in fuga dal Venezuela sceglievano di stabilirsi in altri paesi latinoamericani, soprattutto la Colombia, l’Ecuador e il Cile, per la vicinanza geografica, culturale e linguistica.

Ma le conseguenze economiche della crisi sanitaria e del conflitto in Europa hanno complicato le condizioni di vita in America Latina, così oggi per molti venezuelani l’obiettivo è stabilirsi negli Stati Uniti. La nuova ondata migratoria sta avendo delle ripercussioni sull’amministrazione Biden alla vigilia delle elezioni di metà mandato, come ha raccontato in modo approfondito Alessio Marchionna nella sua newsletter Americana.

Il New York Times scrive che l’aumento del numero di migranti venezuelani che attraversano il Darién ha coinciso con la proliferazione di racconti e foto della traversata sui social network, in particolare su Tik Tok con l’hashtag #selvadarien. Spesso le foto del viaggio e le testimonianze cariche di emotività di chi ce la fa a superare la selva spingono altre persone a intraprendere lo stesso cammino, anche se ignorano i pericoli a cui vanno incontro: condizioni meteorologiche avverse, belve feroci, gruppi criminali e di narcotrafficanti, estorsioni, abusi sessuali e, nel peggiore dei casi, la morte.

Passaggio in Costa Rica
Prima di raggiungere gli Stati Uniti, i migranti attraversano altri paesi centroamericani. A volte, in attesa di trovare i mezzi per proseguire, possono rimanere bloccati a lungo. Circa mille venezuelani al giorno entrano in Costa Rica da Paso Canoas, al confine con Panamá. “Da alcuni mesi a San José, la capitale, sono accampate centinaia di famiglie venezuelane. La maggior parte espone cartelli con messaggi di aiuto per poter continuare il viaggio verso nord”, racconta il giornalista Wilfredo Miranda in un articolo pubblicato sul sito honduregno Divergentes. Il flusso di migranti venezuelani si aggiunge alle centinaia di migliaia di nicaraguensi che dal 2018 scappano dal governo autoritario del leader sandinista Daniel Ortega e si rifugiano nel paese vicino. Il 12 ottobre il presidente della Costa Rica, Rodrigo Chaves, ha annunciato in una conferenza stampa che in base agli accordi internazionali il suo paese ha il dovere di lasciar passare i migranti in transito, evitare che commettano dei crimini o costringano i bambini a mendicare.

Lo stesso giorno anche il presidente statunitense Joe Biden e il leader messicano Andrés Manuel López Obrador (centrosinistra) hanno raggiunto un accordo per frenare l’emigrazione irregolare dal Venezuela. Washington ha annunciato che tutte le persone che arriveranno al confine statunitense a piedi o via mare saranno rimandate in Messico. La misura entrerà subito in vigore e non si applicherà a chi già si trovava negli Stati Uniti. Allo stesso tempo gli Stati Uniti autorizzeranno l’arrivo regolare nel paese di 24mila cittadini venezuelani per ragioni umanitarie, con un procedimento simile a quello in vigore per gli ucraini che scappano dall’invasione russa.

Contemporaneamente i due paesi rafforzeranno i controlli alla frontiera per ridurre il margine d’azione e il potere delle organizzazioni criminali che controllano le rotte dei migranti e il traffico di persone. Secondo alcuni funzionari statunitensi, un’altra misura che la Casa Bianca sta prendendo in considerazione per bloccare l’arrivo dei migranti ai suoi confini è l’eliminazione delle sanzioni economiche contro Caracas imposte dall’amministrazione Trump e in gran parte mantenute dal presidente Biden.

Il fatto che Washington abbia interrotto le relazioni diplomatiche con il Venezuela nel 2019, quando il leader dell’opposizione Juan Guaidó si è proclamato presidente ad interim del paese, rende difficile il rimpatrio dei migranti che entrano negli Stati Uniti. Per questo molti venezuelani si mettono in viaggio e attraversano il Darién: sperano che una volta entrati negli Stati Uniti le autorità li autorizzano a restare. Anche la pressione dei nuovi leader di sinistra in America Latina, in particolare di Gustavo Petro in Colombia, potrebbe indurre Washington a normalizzare le relazioni con Caracas e a prendere atto che la politica adottata finora nei confronti del governo di Maduro non ha funzionato: non ha democratizzato il paese e non l’ha aiutato a uscire dalla crisi economica.

Questo articolo è tratto da Sudamericana, la newsletter di Internazionale che racconta cosa succede in America Latina. Ci si iscrive qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it