26 gennaio 2017 17:20

Chiedete a una qualsiasi persona un’immagine della Corea del Nord e probabilmente evocherà una parata militare di massa, con migliaia di volti e piedi che si muovono perfettamente all’unisono. Oppure l’immagine fugace, rubata dal finestrino di un autobus, di persone inconsapevoli di essere ritratte nelle loro attività quotidiane.

È dal 2012 che viaggio in Corea del Nord per lavoro. E questi due tipi di scenari compaiono spesso anche nelle foto che faccio io quando mi chiedono di raccontare il paese. Il principale motivo sono le ben note restrizioni imposte alla stampa estera in visita, che limitano severamente le possibili alternative.

Ma da quando l’agenzia Afp ha aperto un ufficio a Pyongyang, nel settembre del 2016, ho cercato di cambiare le cose.

Interagire con le persone è una parte importante del mio lavoro di fotografo. Ma può essere un’attività complicata in Corea del Nord. Avvicinare le persone in strada per un’intervista o scattare liberamente delle foto al di fuori delle aree consentite è una cosa solitamente malvista.

Le richieste per avvicinare o fotografare persone specifiche devono generalmente essere presentate dai due dipendenti locali dell’Afp che mi accompagnano in ogni momento. Ma i loro tentativi di ottenere questi permessi hanno esiti alterni.

Un coltivatore di ginseng a Kaesong, il 30 novembre 2016. (Ed Jones, Afp)

Cercavo un progetto che avrebbe prodotto foto interessanti che non compromettessero la mia etica giornalistica e che rappresentassero anche una piacevole esperienza di lavoro per tutte le persone coinvolte.

L’idea di una serie di ritratti mi sembrava una buona soluzione, e mi avrebbe permesso di coinvolgere i soggetti stessi. Ma era un progetto difficile per la Corea del Nord, dove esiste una paura intrinseca della stampa straniera.

Quando scatto delle foto, il rapporto con il soggetto mi dà molta motivazione e per qualche motivo, forse per assenza d’immaginazione, se questo rapporto non c’è, il mio lavoro ne risente.

Realizzare una sere di ritratti mi è parso un buon modo per creare questo tipo d’interazione.

Io e il mio collega, che fa l’operatore video, abbiamo deciso di fare anche due tipi di filmati: uno più lungo e uno più breve, in cui lo stesso soggetto, al centro della scena, si sarebbe presentato dicendo il suo nome e la sua professione.

Era importante realizzare questi ritratti il più velocemente possibile per cogliere un po’ di spontaneità: ai soggetti veniva detto dove mettersi ma non quale posa assumere.

Una coppia di sposi vicino al fiume Taedong, a Pyongyang, il 25 novembre 2016. (Ed Jones, Afp)

Dopo i primi tentativi, i nostri referenti locali sembravano sempre più attratti dall’idea, e avvicinavano con sempre maggiore confidenza i soggetti, che in generale erano felici di partecipare.

Inizialmente abbiamo avvicinato persone che credevamo avrebbero più facilmente accettato di essere fotografate, come le guide turistiche dei monumenti di Pyongyang facilmente visitabili.

Ma in breve tempo siamo riusciti a includere anche altre persone, tra cui una ragazza che pattinava in una piazza pubblica, un coltivatore di ginseng vicino a Kaesong e un soldato a Panmunjom, vicino alla zona demilitarizzata (Dmz).

In varie occasioni non è stato possibile raccogliere maggiori informazioni sui nostri soggetti. Alcuni avevano paura di dare il proprio nome, mentre altri esitavano a dire la loro professione.

Una guida turistica a Pyongyang, il 28 novembre 2016. (Ed Jones, Afp)

È stato diverso rispetto ai ritratti che ho fatto in passato. Di solito posso trascorrere un po’ di tempo con i soggetti per costruire un rapporto con loro e cogliere alcuni elementi della loro personalità, che si riflettono poi nell’immagine.

Nonostante la velocità con cui sono stati realizzati questi ritratti e il riserbo della maggior parte delle persone che hanno accettato di posare, si sono comunque creati dei momenti d’intimità che, per quanto brevi, hanno avuto un sapore autentico e sincero.

So che questa serie di foto non è né particolarmente originale né innovativa, ma spero che la loro natura partecipativa offra un’energia che di solito è assente dalle immagini che invio dalla Corea del Nord.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul blog Making-of dell’Agence France-presse. Nel blog, giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro.

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