16 marzo 2018 10:15

Siamo al lianghui, la doppia sessione dei parlamenti cinesi – il congresso nazionale del popolo e la conferenza politica consultiva del popolo. Durante una conferenza stampa, la giornalista Zhang Huijun pone con manifesto entusiasmo una interminabile domanda al presidente della commissione per la supervisione e l’amministrazione delle proprietà statali.

Per chi frequenta questo tipo di eventi, il fatto che i giornalisti cinesi facciano domande infinite e “telefonate” non è una novità. Di solito parlano per almeno un minuto infarcendo il quesito con tutte le formule sdoganate dalla retorica ufficiale. “la piena realizzazione dello spirito del 19º congresso”, “le caratteristiche cinesi”, eccetera, e concludendo in maniera vaga, dando così modo all’interlocutore di rispondere infilando altrettante formule, “secondo quanto indicato dal compagno Xi Jinping”, “il 40º anniversario delle riforme e aperture” e così via, senza dire nulla di sostanziale.

Spesso le domande servono a farsi notare, ad autopromuoversi, un fenomeno che non si verifica solo ai summit politici e non è appannaggio dei giornalisti: pongono quesiti stucchevoli e interminabili i laureandi a una conferenza, gli studenti a una presentazione di libri e così via. Qualcuno ritiene che si tratti addirittura di una strategia per occupare tutto il tempo a disposizione senza che si tocchino temi sensibili.

Proliferano i meme
Insomma, dopo una premessa degna dell’ouverture del Tannhäuser, Zhang sembra arrivata al dunque e chiede: “Visto che la Cina ha sempre più proprietà statali all’estero per via dell’iniziativa One belt one road [la nuova Via della Seta, ndr], come possiamo proteggere questi beni?”.

Di fianco a lei c’è Liang Xiangyi, una giornalista del sito di finanza Yicai, che a questo punto non riesce più a contenere la propria insofferenza. Guarda schifata la collega, quasi ritraendosi, poi strabuzza gli occhi e li alza al cielo roteandoli, mentre con la testa compie lo stesso movimento in un giro di 180 gradi.

Il tutto in diretta tv.

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Che colpo! I cinesi impazziscono e fanbaiyan – “roteare gli occhi” – o honglan dazhan, “la grande guerra tra la rossa e la blu” diventa trending topic su tutti i social network, dove ci si divide tra i fan della autopromozionale-istituzionale Zhang e quelli della “ribelle” Liang. Proliferano i meme.

Il lianghui è un rituale stanco e noioso, che non prevede uscite dal seminato. Aggiornamenti estremamente prosaici su questa o quella misura approvata bombardano per giorni i cinesi, che generalmente non se ne interessano. Gli occhi strabuzzati di Liang Xiangyi diventano così un elemento di rottura rispetto a questo andazzo. Due donne contrapposte, una vestita di rosso, l’altra in blu, una ammiccante ed eloquente, l’altra decisa e impertinente.

Più tardi, in una conversazione su WeChat – che per definizione dovrebbe essere privata ma che, chissà come, è trapelata in rete – Liang Xiangyi rincara la dose. Un’amica le comunica che la sua espressione disgustata è finita in televisione, al che la giornalista economica le risponde: “Perché quella di fianco a me si stava comportando da idiota”.

Propaganda e linciaggi
Intanto si è già scatenata la caccia alle streghe digitale: in Cina la chiamano “motore di ricerca di carne umana” (renrou sousuo yinqing), cioè la ricerca di notizie sulla protagonista, condivise in rete e condite spesso da un linciaggio collettivo.

Si scopre che Zhang Huijun ha lavorato alla televisione di stato, Cctv. Ora si presenta abbastanza bizzarramente come “giornalista straniera” che lavora per una rete televisiva statunitense sconosciuta, American Multimedia Tv, con un quartier generale paragonato da qualcuno “a una lavanderia automatica”. Si vocifera che il network sia di proprietà del Quotidiano del Popolo o comunque vicino a mezzi d’informazione statali e questo spiegherebbe sia la scelta della appariscente Zhang come donna immagine, sia la sua domanda intrisa di piaggeria. Propaganda.

L’insubordinazione passa attraverso lo spettacolo involontario della diretta televisiva, ma può prendere una piega sessista

Zhang viene così presa in giro sui social per il soprannome che lei stessa si è scelta su Weibo e WeChat: lianghui qizhi jie, che suona un po’ come “la signorina tutto pepe del lianghui”; oppure diventa molto più volgarmente la “puttana che fa domande” (tiwen biao).

L’insofferente Liang Xiangyi si trasforma invece in inconsapevole eroina di chi se la ride perché “l’incidente” ha rotto il rituale del potere, prendendosi il palcoscenico. Il suo account Weibo raggiunge in poche ore i centomila followers. Sembra che Yicai abbia licenziato la giornalista in blu e che le avrebbero pure ritirato la tessera da giornalista; ma al momento, mentre scrivo, tali voci non sono confermate.

L’insubordinazione passa anche attraverso lo spettacolo involontario della diretta televisiva, si amplifica in rete, diventa virale con i meme su internet. Ma al tempo stesso prende anche una piega sessista (o razzista). Mi ricordo quando nel luglio 2009 ci fu la rivolta di Urumqi, nello Xinjiang. Una protesta degli uiguri, la minoranza locale, si trasformò in disordini che fecero 197 morti e quasi duemila feriti secondo la versione ufficiale. In quei giorni, la rete si riempì di post razzisti da parte degli han – la maggioranza dei cinesi – che inneggiavano allo sterminio degli uiguri. La censura intervenne e tutto fu silenziato.

Oggi lo schema si ripete, seppure su un fatto apparentemente più piccolo, che però si è preso la scena, diventando fenomeno sociale autonomo che sfugge al controllo del Partito comunista. E infatti, anche qui è arrivata la censura e ha cancellato dalla rete tutto ciò che riguarda l’incidente e le due protagoniste. Il nome di Liang Xiangyi, fino a pochi minuti prima ricercatissimo, scompare.

Un’amica mi spiega un metodo che non conoscevo per aggirare la censura. Qualcuno ha creato un account su WeChat. Se gli si manda un messaggio con i due caratteri che compongono la parola bai mian, occhi bianchi (cioè strabuzzati), in automatico compaiono diversi post censurati sui social network, con la sottolineatura in rosso delle parti sensibili. Sono immagini e non testi scritti, per cui la censura non le rintraccia.

Le passo in rassegna: le parti ritenute sensibili sono perlopiù allusioni alla vita privata, vera o presunta, di Zhang Huijun, divenuta zimbello della rete. Qualcuno posta una sua foto mentre indossa un abito da sera luccicante e posa con un sorriso ammiccante, commentando che “ha perso una buona occasione per diventare principessa”. Qualcun altro lascia intendere che la “giornalista in rosso” non è in realtà una giornalista, bensì una che se la fa con i potenti. Un tiro al piccione virtuale che presta il fianco alle ragioni della censura.

Intanto, sul sito di ecommerce Taobao sono in vendita T-shirt che ritraggono l’incidente e una cover per cellulare con l’immagine delle due donne costa 38 yuan (quasi cinque euro). Il mercato sa digerire le contraddizioni a modo suo. Mette a valore “la grande guerra tra la rossa e la blu” senza curarsi di chi abbia ragione, né di quanto abbia oscurato il rituale del lianghui. Il mercato è oltre.

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