12 giugno 2020 15:44

Il 29 maggio a Norilsk, nell’Artico russo, una cisterna di uno stabilimento dell’azienda mineraria Nornickel è crollata, rilasciando più di ventimila tonnellate di gasolio. Il carburante si è riversato nel vicino fiume Ambarnaja, e i tentativi di contenere la perdita non sono riusciti a evitare che raggiungesse il lago Pjasino.

Se il gasolio dovesse raggiungere il mar di Kara e l’oceano, i danni all’ecosistema artico potrebbero essere gravissimi. Greenpeace ha paragonato l’incidente a quello della petroliera Exxon Valdez, che nel 1989 si incagliò sulle coste dell’Alaska perdendo 37mila tonnellate di petrolio. Gli effetti di quello che è considerato il peggiore disastro ambientale di sempre sono ancora evidenti a più di trent’anni di distanza. Nell’artico le conseguenze di questi incidenti sono amplificate dalla difficoltà di raggiungere le aree colpite e dalle basse temperature, che rallentano i processi di disgregazione degli idrocarburi. Nel caso di Norilsk la situazione è peggiorata dal fatto che il gasolio ha effetti più gravi e immediati sulla flora e sulla fauna rispetto al petrolio.

Il presidente russo Vladimir Putin ha reagito in modo insolitamente duro all’incidente. Ha dichiarato lo stato d’emergenza nella regione, ha criticato le autorità locali per la lentezza della loro risposta e ha accusato il miliardario Vladimir Potanin, principale azionista della Nornickel e uomo più ricco del paese, di aver trascurato la manutenzione degli impianti. Tre dirigenti dello stabilimento, che avevano informato le autorità solo due giorni dopo il disastro, sono stati arrestati, e il sindaco di Norilsk è finito sotto inchiesta per negligenza.

In Russia ogni anno si verificano almeno diecimila perdite di idrocarburi, soprattutto dall’estesissima rete di oleodotti, ma finora le autorità non erano mai sembrate troppo preoccupate. L’improvvisa solerzia di Putin potrebbe essere dovuta soprattutto al bisogno di puntellare la sua immagine. Il 1 luglio si svolgerà il referendum sulla riforma costituzionale che gli consentirebbe di essere rieletto per altri due mandati e restare al potere fino al 2036. Negli ultimi mesi la popolarità del presidente è calata ai livelli più bassi di sempre, soprattutto a causa della cattiva gestione dell’epidemia di coronavirus. Con più di 510mila casi, la Russia è il terzo paese più colpito al mondo dopo Stati Uniti e Brasile, e continua a registrare quasi novemila contagi al giorno. Secondo l’istituto di sondaggi Levada i sostenitori della riforma sono calati dal 72 per cento di gennaio al 44 per cento di maggio. Il degrado ambientale è una delle principali preoccupazioni dei russi, e molti hanno criticato i piani di rilancio dell’economia annunciati dal governo, che prevedono forti aiuti all’industria dei combustibili fossili e pochissime misure per ridurre il loro impatto.

Punto di svolta
Le preoccupazioni dei russi non saranno certo state alleviate dal fatto che il disastro di Norilsk potrebbe essere una conseguenza diretta del cambiamento climatico. La Nornickel infatti ha affermato che il collasso della cisterna è stato causato da un cedimento del suolo dovuto allo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno che nelle regioni circumpolari resta ghiacciato per tutto l’anno. L’azienda è stata accusata di usare questo argomento per nascondere le sue responsabilità. Ma lo scioglimento del permafrost dovuto al cambiamento climatico, che nell’artico procede a un ritmo molto più elevato che nel resto del pianeta, è un fenomeno ben documentato che da anni preoccupa le autorità di tutti i paesi della regione, dove intere città sono minacciate dalla destabilizzazione del terreno.

Gli scienziati avvertono che superata una certa soglia lo scioglimento del permafrost potrebbe non avvenire più in modo graduale, ma accelerare improvvisamente. Il collasso del permafrost è uno dei temuti tipping point (punti di svolta) del cambiamento climatico. Si stima che i terreni ghiacciati dell’artico contengano 1.600 miliardi di tonnellate di carbonio, il doppio di quello attualmente presente nell’atmosfera. Man mano che il permafrost si scioglie, la materia organica rimasta congelata per millenni si decompone, rilasciando anidride carbonica e metano, che è un gas serra trenta volte più potente. Questo accelera il riscaldamento, che a sua volta accelera lo scioglimento. Se il processo dovesse precipitare, il cambiamento climatico potrebbe andare avanti in modo incontrollabile verso gli scenari più catastrofici.

La Russia è considerata uno dei paesi che potrebbero essere avvantaggiati dal cambiamento climatico. L’innalzamento della temperatura aumenterebbe enormemente le superfici coltivabili, e l’arretramento dei ghiacci artici permetterebbe lo sfruttamento delle risorse e l’accesso via mare a tutta la costa settentrionale. Lo scioglimento del permafrost, che copre più di metà del territorio russo, potrebbe però creare enormi problemi, e non solo a livello ambientale. Nella regione artica si trova gran parte delle infrastrutture estrattive del paese: pozzi di petrolio e di gas, oleodotti, gasdotti, miniere e industrie di trasformazione, da cui dipendono le esportazioni di materie prime che tengono in piedi l’economia russa. Moltissime di queste strutture risalgono al periodo sovietico, e sono state progettate dando per scontata la stabilità del suolo. Le città minerarie russe sono delle vere e proprie bombe ecologiche: Norilsk è uno dei luoghi più inquinati del mondo. In futuro disastri come quello del 29 maggio potrebbero diventare sempre più frequenti.

Dopo l’incidente Putin ha ordinato la revisione di tutte le strutture potenzialmente a rischio e ha rispolverato una legge che dovrebbe imporre norme più severe per evitare le perdite di petrolio, ferma in parlamento dal 2018. Ma adattare alle nuove condizioni tutti gli impianti della regione artica richiederebbe investimenti enormi, che dopo il crollo dei prezzi del petrolio e la crisi dovuta al coronavirus difficilmente l’economia russa potrà permettersi. Passato il referendum, inoltre, per Putin le preoccupazioni degli elettori saranno molto meno importanti di quelle dell’industria del gas e del petrolio. Solo se quest’ultima si renderà conto della minaccia che pende sulle sue attività ci sarà da aspettarsi un’azione concreta.

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