A Compton, la città nella contea di Los Angeles dov’è cresciuto Kendrick Lamar, c’è un murale dedicato a lui, di fronte a un ristorante honduregno. L’8 settembre qualcuno, a quanto pare un fan del rivale Drake, l’ha vandalizzato, pochi mesi dopo una battaglia a colpi di rap tra i due artisti, che si sono scambiati accuse e colpi bassi di ogni tipo nel corso di una serie di singoli scritti e registrati sul momento. Quei brani sono finiti in testa alle classifiche statunitensi e hanno monopolizzato per un paio di settimane il dibattito all’interno del mondo dell’hip-hop.

Il nuovo disco di Kendrick Lamar, intitolato GNX e pubblicato a sorpresa il 22 novembre, parte proprio da quel murale imbrattato, mentre la voce della cantante messicana Deyra Barrera apre la strada ai sintetizzatori del pezzo Wacced out murals, che a tratti fanno venire in mente il Kanye West di Yeezus. Da quel momento Lamar comincia a sferrare metaforicamente colpi contro Drake e gli altri rapper avversari, e ricorda i suoi successi, l’ultimo dei quali è la conquista del concerto nell’intervallo del Super Bowl. Si capisce subito che in questo disco ha il dente avvelenato, mentre definisce il Project 2025, il documento che l’estrema destra statunitense ha scritto prima delle elezioni a sostegno Donald Trump, “some scary shit”, una merda spaventosa.

Il titolo dell’album, GNX, fa riferimento alle auto della Buick che andavano di moda negli anni ottanta. Proprio su una di queste macchine il padre di Kendrick lo riportò a casa dall’ospedale quando era appena nato. E infatti il disco ha uno stile molto old school, con i sintetizzatori arrangiati dai produttori Sounwave e Jack Antonoff (ai più noto come il collaboratore di fiducia di Taylor Swift) che a tratti rimandano a certe cose dei N.W.A. e di Too Short. Gli elementi sonori sono pochi, ma sempre ben centrati.

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Lamar, tranne che in una manciata di brani melodici (Luther e l’ottima Gloria, nelle quali è ospite la cantante rnb SZA), è molto combattivo e a tratti sfodera un lessico strettamente losangelino (nella ritmata Squabble up). E anche stavolta dalla sua penna escono testi clamorosi. Reincarnated, per esempio, è un mezzo capolavoro: Lamar campiona Tupac Shakur e immagina di reincarnarsi in due figure del passato della musica nera (non dice chi sono, ma gli indizi portano a John Lee Hooker e Billie Holiday).

Nel finale del brano si confessa direttamente a dio e, nelle vesti di una specie di Kendrick/Lucifero, promette di usare la musica per far vivere in armonia le persone, invece che per portarle sulla cattiva strada. Un concentrato di megalomania, ma che classe.

Nella seconda parte il disco rallenta un po’, con episodi come Dodger blue (un omaggio a Dr. Dre) e l’ottima The heart part 6 (altro campionamento nostalgico, Use your heart delle SWV), che è l’ennesimo rimando alla faida rap con Drake. La conclusiva Gloria, che si apre di nuovo con la voce della messicana Deyra Barrera e come detto ospita SZA, è una riflessione sul rapporto tra rap e celebrità.

GNX è il disco più autoreferenziale di Kendrick Lamar. Non ha l’ambizione dei primi due inarrivabili album del rapper di Compton, ma non ha neanche il respiro del precedente Mr. Morale & The big steppers, splendida riflessione sulla salute mentale e la depressione. Ha in comune con DAMN la ricerca dell’immediatezza, anche se gli mancano i picchi di quel disco.

Eppure anche in GNX ci sono pezzi di livello assoluto, e questi arrangiamenti un po’ minimalisti esaltano Lamar, che si conferma un grande rapper. Insomma, GNX è un signor disco. Lasciamolo sedimentare qualche giorno, probabilmente crescerà alla distanza.

Questo testo è tratto dalla newsletter Musicale.

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