06 aprile 2017 16:45

Mentre negli Stati Uniti e in Messico infuria il dibattito sul progetto del presidente Donald Trump di costruire un muro lungo i confini dei due paesi, i fotografi dell’Afp hanno deciso di dare un’occhiata più da vicino. Che aspetto ha questo confine? Cosa ne pensano le persone che vivono e lavorano da quelle parti? Si sono quindi presi dieci giorni per percorrere in auto più di 2.800 chilometri lungo il confine.

Jim Watson, che vive a Washington, ha guidato lungo il lato statunitense, dalla California al Texas.

Con tutto quello che avevo letto o sentito sulla frontiera tra Stati Uniti e Messico, m’immaginavo una zona di confine porosa, attraversata da gruppi di decine di migranti alla volta. Pensavo che avrei visto delle persone che correvano lungo il confine ogni giorno. Nei dieci giorni che ho passato lì, non ne ho vista neanche una.

A dire il vero, non ho visto praticamente nessuno (a parte un tizio con il suo cane che aveva deciso di camminare dal Texas alla California e viceversa tirando un carretto).

Chris Kirkland con il suo cane vicino a Columbus, New Mexico, il 19 febbraio 2017. (Jim Watson, Afp)

Una delle cose che mi ha colpito sul lato statunitense del confine è la sua angosciante tranquillità. Sembrava davvero una zona morta. Mi sono lamentato con i miei colleghi che esploravano l’altro lato del confine del fatto che loro hanno tutti i paesaggi più belli e miriadi di persone. Dalla parte degli Stati Uniti, invece, è davvero una zona morta, non c’è niente. Nei dieci giorni che ho trascorso a scattare foto, la polizia di frontiera mi ha fermato in continuazione per chiedermi cosa stessi facendo da quelle parti. Per alcuni giorni non ho parlato con nessuno. Alla fine, si è rivelato un incarico piuttosto solitario.

La realtà della barriera
Ho avuto l’idea di questo servizio perché non sapevo di preciso che aspetto avesse il confine tra i due paesi. Lo stesso vale per la maggioranza dei cittadini statunitensi. Non avevo idea di quanto la barriera fosse già una realtà. Lungo buona parte della frontiera corre una recinzione metallica, di una lunghezza già oggi impressionante. La gente pensa che non ci sia ancora niente, ma una grossa parte del confine è già sigillata. Soprattutto vicino ai più importanti centri urbani.

Questo servizio per me, in quanto statunitense, è stato a tratti difficile. Da un lato uno vorrebbe che la sicurezza alla frontiera del proprio paese fosse garantita. Dall’altro sente che tutti meritano una possibilità di accedere a una vita migliore. L’idea del sogno americano fa parte della nostra cultura, ci siamo cresciuti. Dai pellegrini sbarcati a Plymouth Rock fino ai pionieri che si sono spinti a ovest, dalle ondate di migranti arrivati a Ellis Island fino alle persone che sono arrivati ai vertici del successo nonostante l’origine ordinaria oppure oscura, tutti meritano la possibilità di provarci.

L’Organ pipe cactus national monument vicino a Lukeville, Arizona, il 16 febbraio 2017. (Jim Watson, Afp)

A un certo punto, durante il viaggio, ho potuto provare un po’ della disperazione che spinge le persone ad attraversare il confine. È stato il terzo giorno. Ero appeno arrivato alle Imperial Dunes, in California, non lontano dal confine con l’Arizona, a circa due chilometri dalla strada che porta alla frontiera, e c’era un gruppo di operai al lavoro. Potevano uscirne delle foto interessanti e quindi mi sono incamminato in quella direzione.

Mi tenevo sul tracciato lasciato dai macchinari pesanti, ma anche in questo modo i miei piedi sprofondavano nella sabbia. Dopo aver scattato le mie foto, mi sono girato per tornare all’auto che avevo noleggiato. La passeggiata di ritorno è stata peggio: i miei piedi sprofondavano a ogni passo, ero madido di sudore e avevo dimenticato l’acqua in macchina.

Le zone intorno al confine sono spietate, a conferma del fatto che le persone che cercano di attraversarle sono davvero disperate

Ed è stato lì che ho capito: è così che devono sentirsi i migranti, ho pensato. Io avevo con me solo due macchine fotografiche, mentre molti di loro probabilmente dovevano trasportare i loro bambini e le loro cose. Io avevo camminato un paio di chilometri, mentre loro dovevano attraversare un deserto spietato percorrendo una distanza molto maggiore.

Io sapevo che la mia bottiglia d’acqua mi aspettava in auto. Loro non sapevano neppure da dove sarebbe venuta la prossima acqua che avrebbero bevuto.

Nelle loro scarpe
Com’è possibile che una persona faccia una cosa simile, mi sono chiesto. Devono essere pazzi o completamente disperati. Nessuno farebbe una cosa simile solo per il gusto di farlo, devono sicuramente avere una buona ragione e questo dovrebbe voler dire qualcosa. Si potrebbe dire che per due chilometri ho camminato nelle loro scarpe. Più o meno.

Le zone intorno al confine sono spietate, a conferma del fatto che le persone che cercano di attraversarle sono davvero disperate. In buona parte si tratta di deserti, e a volte sono così infiniti che sembrano inghiottirti.

A un certo punto mi sono imbattuto in quella che la polizia di frontiera chiama un’oasi per i migranti. C’erano acqua e candele e serviva ad aiutare quanti non avevano né acqua né altro durante la loro traversata del deserto.

Un’oasi per migranti lungo la strada a Bisbee, Arizona, il 18 febbraio 2017. (Jim Watson, Afp)

L’altra cosa che mi ha colpito sono stati i lavoratori migranti. Ho parlato con alcuni di loro mentre scendevano da un pullman a San Luis, in Arizona. Un uomo mi ha detto che si svegliava ogni giorno alle due del mattino, attraversava il confine, si metteva in fila alle quattro per salire su un pullman che lo portava al lavoro, perlopiù in campi di lattuga. Lavora per dieci ore al giorno, pagato dieci dollari all’ora. Torna al parcheggio verso le cinque del pomeriggio, cammina quasi un chilometro verso l’entrata e torna a casa sua in Messico verso le otto-nove di sera. E lo fa ogni singolo giorno.

Quando sono tornato a casa ho fatto alcune ricerche sull’argomento e ho scoperto che negli Stati Uniti tantissimi lavoratori agricoli sono migranti. Secondo alcune statistiche sarebbero addirittura il 45 per cento del totale.

Ho visto oggetti che mi hanno incuriosito. Come la statua di plastica di un vecchio saggio che pregava sopra una statua di plastica di Gesù bambino fuori Nogales, in Arizona. Continuavo a trovare questi oggetti religiosi nei luoghi più strani, lungo il confine.

I recinti che proteggono le frontiere possono essere dei muri imponenti, delle recinzioni di filo spinato o delle barriere ad altezza ginocchio che potrebbero essere facilmente superate.

Fuori da El Paso, il confine è mostruoso e la recinzione assurda, sembra che il Messico stesso sia in prigione.

Fuori dai principali centri urbani il confine è impenetrabile. Ma ci sono sicuramente dei buchi e degli spazi vuoti ed è evidente che le persone lo attraversano, anche se io non ho visto nessuno farlo.

Una recinzione di frontiera non serve tanto a tenere lontani i migranti illegali, quanto semmai a ostacolare il trasporto di droga

A un certo punto mi trovavo con alcuni agenti della polizia di frontiera che stavano osservando un gruppo di persone dall’altro lato del confine e che, secondo loro, avrebbero presto provato ad attraversare. Li osservavano con attenzione e mi hanno spiegato che, se fossi rimasto in zona abbastanza a lungo, avrei potuto vederli tentare l’attraversamento. Sono rimasto seduto tre ore con un tizio e altre tre con un altro ma poi sono dovuto andare via.

La maggior parte degli agenti che ho conosciuto mi ha detto che loro non vogliono un muro, preferirebbero avere una recinzione sul confine perché così potrebbero osservare l’altro lato del confine. La polizia di frontiera possiede un’incredibile gamma di strumenti per controllare il confine e le zone circostanti. Tra questi c’è il Tethered aerostat radar system, un enorme dirigibile che vola a un’altezza di diecimila piedi e dovrebbe essere in grado di osservare tutto quel che accade nei dintorni a vari chilometri di distanza.

Sul fiume gli agenti usano degli idroscivolanti, che servono soprattutto da deterrente. Essendo molto rumorosi, quando i migranti irregolari li sentono arrivare, abbandonano la zona per evitare l’arresto.

Un agente della polizia di frontiera a Tecate, California, il 14 febbraio 2017. (Jim Watson, Afp)

E poi ci sono dei rilevatori di movimento che lanciano dei segnali quando vengono attivati. Ero in giro con un agente della polizia di frontiera che ha ricevuto una chiamata perché era stato attivato un segnale. Si è scoperto che si trattava di un animale. L’agente mi ha spiegato che succede spesso.

Da quel che ho potuto capire dopo aver parlato con le persone sul campo, una recinzione di frontiera non serve tanto a tenere lontani i migranti illegali, ma piuttosto a ostacolare il trasporto di droga. La barriera rallenta il contrabbando che si svolge tra i due lati del confine e lo indirizza verso dei luoghi, come i buchi nella recinzione, dove la polizia di frontiera può rafforzare la sua presenza.

I negozianti delle città vicine al confine, inoltre, si lamentano perché le discussioni sul muro e l’immigrazione illegale danneggiano i loro affari. Devo dire che questo incarico mi ha dato grandi soddisfazioni, su moltissimi piani. Il primo è stato semplicemente informativo, perché ho visto che aspetto ha davvero la frontiera. È venuto fuori che abbiamo già un’impressionante barriera lungo il confine. Quando sono tornato, tanti miei colleghi hanno detto che neanche loro si erano resi conto che esistesse già una barriera del genere.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul blog Correspondent dell’Agence France-Presse. Nel blog giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro.

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