19 agosto 2021 10:22

Verso la fine di luglio, mentre si avvicinava l’inizio del nuovo anno scolastico, una cardiologa pediatrica della Louisiana è partita per le montagne della Georgia, negli Stati Uniti, con suo marito, tre figli piccoli e la loro famiglia estesa. È stata tutto sommato una vacanza rispettosa dei limiti imposti dalla pandemia: i nove adulti erano tutti vaccinati con doppia dose. Il gruppo ha trascorso gran parte del tempo all’aperto, andando in bicicletta, nuotando e facendo escursioni.

Poi, l’ultima sera della vacanza – il 27 luglio, lo stesso giorno in cui i Centers for disease control and prevention (Cdc) hanno fatto dietrofront imponendo anche alle persone vaccinate l’utilizzo delle mascherine al chiuso – un parente ha iniziato a stare male. Un tampone ha subito confermato un caso leggero di contagio da covid-19. La cardiologa mi ha raccontato che nessuno degli altri adulti ha contratto il coronavirus durante il viaggio, e questo a suo avviso rappresenta una “prova totale del fatto che il vaccino ha funzionato” (l’Atlantic ha concordato di non svelare il nome della cardiologa per proteggere la privacy della sua famiglia). Tuttavia, nel giro di una settimana anche a sei degli otto bambini che avevano partecipato alla gita – tutti troppo piccoli per poter essere vaccinati – è stata diagnosticata un’infezione da coronavirus.

Nel gruppo dei contagiati c’erano anche due dei tre figli della cardiologa. Entrambi i bambini, di cinque e undici anni, hanno avuto solo una parvenza di sintomi simili a quelli di un raffreddore. Nonostante ciò, la disavventura ha avuto un impatto pesante sulla famiglia, che adesso è letteralmente divisa in zone di isolamento. “Il figlio di mezzo è negativo”, ha raccontato. “Perciò in casa dobbiamo tenere i bambini su piani separati”. Il bambino, che ha sette anni, sta saltando i primi giorni della seconda classe perché è in quarantena. Il figlio più grande, entusiasta giocatore di calcio che sta per cominciare la sesta, ha avuto dei dolori al petto e adesso ha bisogno di un esame cardiaco prima di poter tornare in campo.

Le vicissitudini di questa famiglia sono un microcosmo del momento pericoloso e incerto che molti statunitensi stanno vivendo mentre la pandemia cambia di nuovo corso. I vaccini per il covid-19 hanno fatto moltissimo per eliminare malattia e morte. Tuttavia, mentre gli Stati Uniti sono colpiti dalla ipercontagiosa variante delta del virus, le difficoltà maggiori sono per chi non è vaccinato, una popolazione che comprende circa cinquanta milioni di bambini di età inferiore ai 12 anni. In tutto il paese si stanno impennando i casi pediatrici di covid-19 e quelli che coinvolgono adulti non immunizzati; i ricoveri di bambini hanno raggiunto i livelli più alti dall’inizio della pandemia. Nell’ultima settimana di luglio si sono registrati quasi 72mila nuovi casi di coronavirus tra bambini, quasi un quinto di tutti i casi noti negli Stati Uniti, circa il doppio rispetto alla settimana precedente. “È il salto più rilevante registrato fin qui dalla pandemia” tra i bambini, mi ha detto il presidente dell’American academy of pediatrics (Aap), Lee Beers. La settimana successiva i nuovi casi sono stati 94mila.

La variante delta rappresenta un pericolo più grave per tutti, anche per i bambini

I casi pediatrici più gravi sono tra i peggiori della pandemia. Nel sud, dove le comunità hanno avuto difficoltà ad avere accesso ai vaccini e l’entusiasmo per le mascherine è stato discontinuo, i reparti di terapia intensiva negli ospedali pediatrici si stanno riempendo fino al limite della loro capacità. In molti stati gli operatori sanitari affermano che i bambini, nella maggior parte dei casi assolutamente in buona salute, arrivano in ospedale con sintomi più gravi e peggiorano più velocemente rispetto a prima, e all’orizzonte non si intravede alcuna via di uscita.

Come già registrato in questa pandemia, i bambini continuano a correre un rischio molto più basso di ammalarsi gravemente con il coronavirus, soprattutto in confronto agli adulti non vaccinati. L’ultima esplosione di contagi tra i più piccoli, però, fa riflettere su una massima del covid-19, secondo cui rischio più basso non vuol dire nessun rischio. Con un numero così elevato di bambini che ancora non possono vaccinarsi e tenuto conto del loro impatto sulla salute di chi li circonda, genitori e tutori adesso devono fare i conti con il fatto che la variante delta rappresenta un pericolo più grave per tutti, anche per i bambini.

Gli operatori sanitari mi hanno spiegato che una delle cose peggiori dell’ondata di contagi da variante delta di quest’estate è la sensazione di non poterla fermare. Gli Stati Uniti hanno avuto una sinistra anteprima dell’effettiva forza della variante quando questa ha colpito altri paesi – India, Regno Unito – in diverse zone, incidendo sugli adulti non vaccinati prima di dilagare anche tra i bambini. Quando la variante delta si stava ormai diffondendo anche in America, molti cittadini avevano dichiarato più o meno finita la pandemia, allentando le restrizioni, riaprendo le attività e smettendo di indossare le mascherine. “Appena è stato cancellato l’obbligo di indossare la mascherina è tornato il covid”, mi ha detto Angela Brown, infermiera del St. Louis children’s hospital, in Missouri. “Ed è molto peggio dell’anno scorso”. Nel frattempo la variante delta si stava rivelando un nemico peggiore rispetto alle precedenti varianti, più contagiosa, con maggiore capacità di eludere gli anticorpi e, secondo alcuni primi dati provvisori, più abile a innescare la malattia.

I vaccini continuano a essere efficaci nel domare le varianti, ma solo metà degli americani hanno ricevuto entrambe le dosi necessarie ad avere una protezione contro il covid-19. I vaccini sono stati inoltre inoculati in modo diseguale, con una maggiore concentrazione in alcune fasce di età, aree geografiche e comunità privilegiate per ricchezza, razza e livello di istruzione. I bambini di età inferiore ai 12 anni non possono ancora essere vaccinati e potrebbero dover attendere fino all’autunno o all’inverno prima di avere il via libera. Gli adolescenti, per i quali la Food and drug administration ha dato l’assenso in emergenza a maggio, sono stati a oggi vaccinati in percentuali molto basse, ben al di sotto della media nazionale. La situazione, mi hanno detto gli esperti, è particolarmente grave in posti in cui i bambini non possono essere protetti dalle loro comunità, aree in cui si registrano forti ritardi nelle vaccinazioni e una bassa adesione alle misure di prevenzione dei contagi.

Il picco di casi pediatrici di variante delta non poteva capitare in un momento peggiore. Molti ospedali sono da mesi in difficoltà per un’ondata fuori stagione di virus respiratorio sinciziale (Rsv) e parainfluenza – altri due patogeni delle vie aeree che possono provocare gravi malattie nei più giovani. Entrambi i virus, ospiti fissi dei mesi più freddi del tardo autunno e dell’inverno, erano di fatto svaniti tra novembre e febbraio, il loro periodo di massimo vigore, con ogni probabilità grazie alle misure di contrasto della pandemia come l’utilizzo delle mascherine e il distanziamento. Nel momento in cui quelle precauzioni hanno iniziato a essere messe da parte, “bum! L’Rsv ci ha colpiti come un macigno”, mi ha detto Sharon Stoolman, pediatra del Children’s hospital & medical center in Nebraska.

A queste pressioni si aggiungono il solito flusso di traumi pediatrici e l’affaticamento che ancora oggi pesa sugli ospedali dopo diciotto mesi di lotta continua contro la pandemia. Diversi operatori sanitari mi hanno detto di avere il terrore di non essere in grado di curare in modo adeguato tutti i bambini ammalati di cui devono occuparsi. “Oggi il mio ospedale è pieno, non ho nemmeno un letto”, mi ha detto Melissa J. Sacco, pediatra di terapia intensiva dell’Uva Children’s hospital in Virginia. “Sto qui a sperare che nessuno venga investito da un tosaerba”.

“Negli ultimi mesi la situazione è stata surreale”, mi ha detto Evelyn Obregon, pediatra dell’University of Florida Children’s hospital. “Non ho mai visto così tanti casi positivi al covid-19”. Nel suo stato si registrano costantemente i numeri più alti di casi pediatrici di coronavirus del paese. Obregon si è ormai abituata a prestare soccorso a circa cinque bambini affetti da covid-19 per notte; l’anno scorso di solito doveva prendersi cura di un solo bambino per notte. A metà luglio ha curato un bambino di due anni che presentava febbre e disidratazione. “Ero sconvolta”, mi ha detto. “Prima di allora non avevo mai visto un bambino così piccolo con questi sintomi”. I suoi pazienti sono sempre più giovani, a volte hanno solo poche settimane. Nella maggior parte dei casi, mi dice, provengono da famiglie non vaccinate.

Nelle ultime settimane l’Arkansas children’s, l’unico complesso ospedaliero pediatrico dell’Arkansas, uno stato in cui la diffusione del vaccino è andata particolarmente a rilento, ha ricoverato un numero di bambini molto più alto rispetto a qualsiasi altro periodo della pandemia. È quanto mi ha riferito Jessica Snowden, primaria del reparto di malattie infettive pediatriche dell’ospedale. “Erano tutti non vaccinati”. L’anno scorso, prosegue, lei e i suoi colleghi consideravano una brutta giornata quella in cui avevano tra i cinque e i sette bambini con covid-19 ricoverati nell’ospedale. Adesso si occupano normalmente di 20-30 bambini, la metà dei quali sotto i dodici anni.

Molti dei nuovi pazienti dell’Arkansas children’s affetti da covid-19 presentano inoltre sintomi molto più gravi rispetto a prima. Arrivano con polmoni danneggiati e gravi difficoltà respiratorie; non reagiscono con la tipica resilienza dei più piccoli, nonostante condizioni precedenti di ottima salute. “Non ho mai visto niente di paragonabile a questa ondata di covid-19”, mi ha detto Linda Young, pneumologa con 37 anni di carriera alle spalle. “Non ho mai visto bambini stare così male”. È ormai comune che la metà dei bambini ricoverati in terapia intensiva sia sottoposta a ventilazione artificiale. Qualcuno è stato ricoverato per più di un mese. “Non riusciamo a dimetterli alla stessa velocità con cui li ricoveriamo”, mi ha detto Abdallah Dalabih, pediatra di terapia intensiva. Alcuni genitori, mi racconta Snowden, sono increduli. “Molte persone non pensavano che i bambini potessero contrarre questa malattia”.

Unanteprima
È probabile che queste prime manifestazioni della malattia siano solo l’inizio. Una delle conseguenze più devastanti delle infezioni pediatriche di coronavirus è una complicazione rara definita Mis-C, una malattia respiratoria che emerge parecchie settimane dopo il primo contatto del bambino con il virus. Nel corso della pandemia si sono registrati circa quattromila casi di questa patologia, molti dei quali conclusisi con una completa guarigione. Data l’attuale traiettoria della variante delta, però, il paese potrebbe trovarsi sulla soglia di un incremento di nuove diagnosi. “A spaventarmi di più è il pensiero di come potrebbero essere le cose tra un mese”, mi ha detto Amelia Bray-Aschenbrenner, pediatra di pronto soccorso al St. Louis children’s. Incombe inoltre la possibilità del cosiddetto long covid, che può affliggere persone di ogni età con settimane di estremo affaticamento, confusione mentale e dolori articolari.

Quello che sta succedendo nel sud potrebbe essere un’anteprima per il resto del paese. In Nebraska “stiamo iniziando a vedere i primi numeri”, mi ha detto Stoolman. I reparti di adulti adesso sono pieni e registrano carenze di personale e attrezzature. Questo significa che la popolazione in età pediatrica sarà la prossima a essere interessata. “Questa settimana”, mi ha detto, “stiamo trattenendo il fiato”.

In mezzo a tutto questo caos sembra esserci un incerto risvolto positivo per i bambini.

A quanto pare anche la nuova variante segue la tendenza di lungo corso che vede i bambini più resistenti agli effetti del coronavirus. Sebbene la variante delta sia una versione più spigolosa del virus rispetto a quelle che l’hanno preceduta, i ricercatori non hanno ancora prove del fatto che sia più grave nello specifico per i bambini, che continuano ad ammalarsi gravemente solo in minima parte. Meno del 2 per cento dei casi pediatrici noti di covid-19, per esempio, ha come esito il ricovero in ospedale, e a volte questa percentuale è ancora inferiore.

L’aumento allarmante di casi pediatrici pare confermare l’aritmetica del contagio: si ammalano più bambini perché più bambini vengono contagiati; vengono contagiati più bambini perché questo virus è penetrato nelle comunità risultate più vulnerabili. D’altro canto, dall’inizio della primavera il ritratto pandemico dell’America si è modificato. Persone di tutte le età sono rientrate nei loro ambienti sociali, spesso senza mascherine. I bambini non sono più segregati con attenzione in casa. “Con l’aumento della trasmissione, ci sono più casi e di conseguenza più esiti negativi”, afferma Sallie Permar, primaria del reparto di pediatria del New York-Presbiterian Komansky children’s hospital.

I corpi dei bambini riescono a reagire e lo fanno bene, anche se continua a non essere del tutto chiaro perché

Le notizie di un numero più alto di malattie, forse persino di malattie diverse, provenienti da stati come l’Arkansas sono preoccupanti. Forse però questi effetti allarmanti sono giustificabili. Permar dice di non vedere ancora questa tendenza svilupparsi su scala nazionale, soprattutto in stati in cui la richiesta di vaccini è stata molto alta. Forse i bambini in stati ad alto contagio, dove le esposizioni alla variante delta sono pesanti e frequenti, sono semplicemente colpiti da una quantità maggiore di virus. Secondo Jennifer Dien Bard, direttrice del laboratorio di microbiologia clinica e virologia del Children’s hospital Los Angeles, la variante delta è già di per sé particolarmente abile ad accumularsi nelle vie respiratorie di persone di ogni età, con una frequenza e un’uniformità superiore a qualsiasi altra variante precedente. Una quantità maggiore di patogeno in entrata potrebbe accrescere ulteriormente la quantità di virus libero di imperversare nel corpo. Detto ciò, è ancora possibile secondo gli esperti che nuovi dati evidenzino un effetto specifico della variante delta sui bambini, soprattutto perché gran parte di quello che già sappiamo proviene da ricerche condotte su adulti.

Dal Regno Unito giungono indizi incoraggianti che potrebbero indicare ciò che attende anche l’America nei mesi a venire. Anche lì la recente diffusione della variante ha innescato un’impennata di casi pediatrici. Alsdair Munro, infettivologo pediatrico della Nihr Southampton clinical research facility, mi ha tuttavia detto che a quanto sembra i bambini non hanno rappresentato una proporzione inattesa di questo incremento. Per come stanno le cose, “non ci sono indicazioni” del fatto che la variante delta rappresenti una minaccia particolare per i bambini.

I corpi dei bambini riescono a reagire e lo fanno bene, anche se continua a non essere del tutto chiaro perché. Secondo un’ipotesi espostami dall’immunologa della Duke university Stephanie Langel, le cellule delle vie aeree dei bambini sarebbero più difficili da penetrare per il virus. Un’altra ipotesi è che il loro sistema immunitario è particolarmente abile a produrre in serie una molecola di allarme che rafforza il corpo contro l’infezione. I bambini, spiega Langel, potrebbero addirittura essere in grado di schierare alcuni anticorpi più velocemente rispetto agli adulti, sradicando il virus prima che abbia la possibilità di infiltrarsi in altri tessuti.

Un altro aspetto positivo è che per quanto il virus possa essere mutato, gli strumenti per sconfiggerlo sono sempre gli stessi. La variante delta è un nemico temibile, ma non invincibile. Per proteggere i bambini l’American academy of pediatrics ha caldeggiato lo stesso approccio stratificato che protegge gli adulti: combinare l’uso delle mascherine con una buona ventilazione, misure igieniche, distanziamento fisico, accesso ai tamponi e vaccini per chiunque possa farli. Questa tattica di squadra, afferma la pediatra dell’università di Stanford Grace Lee, sarà ancora più importante quando i bambini torneranno a scuola in massa questo mese e il prossimo.

Ovviamente l’utilizzo delle mascherine è particolarmente controverso. Non tutti i paesi concordano su quale sia l’approccio migliore quando si parla di bambini. L’Organizzazione mondiale della sanità non raccomanda le mascherine per bambini di età inferiore ai 6 anni. Nel Regno Unito i bambini di età inferiore a 11 anni di solito non hanno indossato la mascherina durante la pandemia e Munro sostiene che, al di là dei rigidi protocolli di quarantena e isolamento, nel Regno Unito quest’anno le scuole sembreranno “più o meno normali”. Negli Stati Uniti però, dove la diffusione dei vaccini è stata un disastroso mosaico e il sistema sanitario è già sottoposto a una pressione fuori stagione, il Cdc ha raccomandato l’utilizzo universale delle mascherine a scuola per tutti i bambini di età superiore ai due anni. Tutti gli esperti con cui ho parlato sono a favore di questa indicazione: le coperture facciali e altre forme di protezione saranno a loro avviso essenziali per la buona riuscita dell’anno accademico. I dati raccolti nei mesi scorsi hanno rafforzato la convinzione che le scuole non rappresentino una fonte particolare di contagio per il coronavirus. Me lo ha confermato Beers, il presidente della Aap, che ha di conseguenza raccomandato con forza il ritorno dei bambini alle lezioni in presenza. Queste prove sono state tuttavia raccolte, sottolinea, “in presenza di tutte le precauzioni”, mascherine comprese.

I destini dei piccoli americani si stanno già frammentando, e ancora una volta tocca a stati, contee, distretti e singole famiglie stabilire cosa è meglio per loro. Questa situazione si traduce in una matrice decisionale particolarmente spinosa per i genitori. Sacco, la pediatra di terapia intensiva della Virginia, si è detta sollevata per il fatto che i suoi figli di prima e terza elementare andranno a scuola con l’obbligo di indossare la mascherina. Tuttavia i governatori di alcuni stati, tra cui Florida e Texas, si sono scagliati con forza contro l’obbligo di mascherina a scuola. Molti distretti hanno già annunciato di voler rendere l’obbligo opzionale.

Ariangela Kozik, microbiologa del Michigan, si è detta preoccupata all’idea di dover mandare suo figlio Alex, di 5 anni, in una classe in cui potrebbe essere l’unico bambino a indossare la mascherina. Il suo distretto non ha ancora stabilito delle linee guida chiare sull’obbligo di mascherina a scuola. Alex sarebbe dovuto andare alla scuola materna l’anno scorso, ma Kozik e il compagno hanno deciso di rinviare l’ingresso a scuola perché preoccupati per la sua salute. Adesso vogliono voltare pagina e Alex indosserà comunque una mascherina, afferma Kozik. “Incrocio le dita perché lo facciano anche tutti gli altri”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Atlantic.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it