17 agosto 2020 12:39

Il deserto del Sahara è il più vasto del mondo. Si estende su un’ampia area del Nordafrica, risparmiando solo nella parte settentrionale una piccola regione fertile sulla costa del Mediterraneo che va dal mar Rosso a est all’oceano Atlantico a ovest. La parte centromeridionale del Sahara è chiamata Ténéré e va dal Niger nordorientale al Ciad occidentale. In mezzo al Ténéré c’era un albero, uno solo. Era un’acacia.

Conosciuto come l’albero del Ténéré, era sopravvissuto alla morte di un’intera foresta di acacie decenni prima. Era un simbolo di speranza e di vita, circondato dal nulla in tutte le direzioni, per quattrocento chilometri. Era diventato quasi sacro per le tribù nomadi e i viaggiatori nel deserto. Nessuno lo toccava, né per ricavare legna per il fuoco né per far mangiare i cammelli. Nel 1973 un camionista libico ubriaco lo travolse sradicandolo.

Quante possibilità potevano esserci? Perfino io che sono un pessimo automobilista sarei riuscito a schivare un albero in mezzo a un vasto deserto vuoto. La storia dell’ultimo albero del Ténéré suggerisce che automobili, alcool e libici sono una triade infausta. Più in generale, questa è una variazione libica della legge di Murphy: se al comando ci sono i libici, tutto ciò che potrebbe andare storto andrà terribilmente storto. Continuo a ripetermelo mentre vedo tornare in auge la gara a ridefinire i confini tra oriente e occidente in Libia. L’obiettivo in questa fase è il controllo degli impianti petroliferi. In assenza di soluzioni diplomatiche imposte, entrambi gli schieramenti, insieme ai loro sostenitori internazionali, stanno mostrando i muscoli preparandosi per la prossima battaglia alle porte di Sirte.

Lotte interne
La corruzione e le lotte interne al governo di accordo nazionale (Gna) hanno peggiorato le cose. Gli attori libici seguono il proverbio: “Io e mio fratello contro mio cugino, io e mio cugino contro lo straniero”. Negli ultimi dieci anni in Libia le alleanze tra diverse fazioni si sono formate solo per contrastare un nemico comune. Le milizie hanno accettato di mettere momentaneamente da parte tutte le differenze per combattere contro la minaccia di turno che temevano e odiavano più di quanto si odiassero reciprocamente: Gheddafi, il gruppo Stato islamico, il generale Haftar, eccetera.

Le divergenze interne al Gna e tra i suoi alleati hanno cominciato a emergere pochi mesi dopo la sconfitta delle forze di Haftar nella Libia occidentale. La lotta intestina ha ripreso forza e ha diviso il consiglio in due fronti. Uno è rappresentato dal vicepresidente del consiglio di presidenza del Gna, Ahmed Maiteeq, e da Abdulsalam Kajman, del partito Giustizia e costruzione, il ramo libico della Fratellanza musulmana. Sul versante opposto c’è Fayez al Sarraj, alla guida del consiglio di presidenza e primo ministro del Gna, sostenuto da due componenti del consiglio, Mohammed al Ammari e Ahmad Hamza al Mahdi.

Le reazioni alle proteste sono state diverse a seconda delle priorità delle fazioni in lotta

Politici corrotti, fazioni religiose e milizie si combattono tra loro mentre il paese sprofonda nella crisi. Le interruzioni di corrente elettrica e la penuria d’acqua sono peggiorate anche rispetto al periodo in cui Tripoli era sotto assedio. La crisi di liquidità e la mancanza di carburante hanno spinto la gente a scendere in piazza per manifestare la propria frustrazione.

Le manifestazioni a Tripoli contro “il peggioramento delle condizioni di vita” sono cominciate la prima settimana di agosto. Le reazioni alle proteste però sono state diverse a seconda delle priorità di ciascuna fazione.

La Forza di protezione di Tripoli (una coalizione delle più grandi milizie della città) ha denunciato che dietro le manifestazioni ci sarebbe la Fratellanza musulmana, puntando il dito contro i suoi “malvagi tentativi di provocare ribellioni nell’interesse del gruppo a discapito della patria e dei suoi cittadini”.

Maiteeq ha criticato “l’autorità assoluta di Al Sarraj”, definendola “motivo di corruzione” e causa del peggioramento dei livelli dei servizi essenziali. Maiteeq ha incoraggiato i libici a “esprimere in modo chiaro la loro opinione e chiedere un’inchiesta su come sono stati spesi i soldi”. Vale la pena ricordare che lo stesso Maiteeq non è del tutto esente da sospetti e accuse di corruzione e abusi di potere. Potrebbe perfino essere il primo della lista per il coinvolgimento in una lunga serie di scandali e decisioni compromettenti.

Il ministero della difesa del Gna ha dichiarato che alcuni “stanno sfruttando i bisogni dei cittadini di elettricità e carburante e la mancanza di liquidità per raggiungere obiettivi specifici”, e ha aggiunto che queste accuse potrebbero provocare divisioni interne in grado di destabilizzare la guida del consiglio di presidenza e che il tentativo di far crollare gli attuali organismi politici senza arrivare a elezioni generali getterebbe il paese nel caos.

Fayez al Sarraj ha chiesto al procuratore generale in carica, al presidente dell’autorità per il controllo amministrativo, al capo dell’autorità anticorruzione e al capo dell’ufficio per gli accertamenti un vertice di emergenza per affrontare questa situazione.

Il virus continua a diffondersi
La frammentazione e le lotte interne al Gna hanno ridotto e indebolito le sue già scarse prestazioni. Il peggioramento è evidente nella gestione della pandemia, pessima nonostante un preoccupante aumento dei casi. L’8 agosto il numero totale di contagiati in Libia era di 4.879, con 4.120 casi attivi, 652 ricoveri in ospedale e 107 morti.

Il governo di Tripoli ha affrontato il rapidissimo incremento dei casi in modo sconsiderato con decisioni prese giorno per giorno. Per esempio, Tripoli è passata più volte da un confinamento di 24 ore a un blocco tra le 18 e le 9, mentre alle altre città è stata lasciata la facoltà di decidere in modo autonomo. Il governo non ha messo in pratica i protocolli per la quarantena nel caso di viaggiatori in arrivo dall’estero e ha consentito a molti familiari e funzionari di entrare nel paese senza sottoporli nemmeno a visita medica.

Per non parlare del fatto che nonostante i cinquecento milioni di dinari libici (circa trecento milioni di euro) promessi dal governo di Al Sarraj per contrastare l’emergenza sanitaria lo scorso mese di marzo, c’è ancora una grave carenza di mascherine, guanti e strumenti per effettuare i tamponi.

Il desiderio di agire manifestato dall’Europa è un fatto positivo, ma ci sono molte diffidenze tra i paesi coinvolti in modo diretto o indiretto nel conflitto. Serve ben altro che un appello a riportare in vita il piano di Berlino, poiché quella possibilità non è più disponibile. Le continue violazioni dell’embargo sulle armi da parte di Russia ed Emirati Arabi Uniti da un lato e della Turchia dall’altro hanno inferto un duro colpo all’iniziativa prima ancora che vedesse la luce.

Non saranno i libici a stabilire quando e dove comincerà la prossima battaglia in Libia. Saranno loro però a pagare il prezzo più alto se i leader e gli altri attori interessati si scontreranno con l’ultima speranza di pace e la raderanno al suolo.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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