21 aprile 2020 11:49

Quando Lawrence Wright ha letto per la prima volta della diffusione di un nuovo virus letale proveniente dalla Cina, è stato colto da una sensazione strana e inquietante. “Mi sono sentito come se stesse per avverarsi quello che avevo scritto”, ha dichiarato.

Wright è noto soprattutto come giornalista, ma ha trascorso gli ultimi anni a preparare e a scrivere un romanzo. Ambientato nella primavera del 2020, racconta la storia immaginaria di un virus che nasce in Asia e infuria in tutto il mondo, sovraccaricando i sistemi sanitari, obbligando le scuole a chiudere e i cittadini a mettersi in isolamento, e mandando in rovina l’economia globale. A un certo punto un funzionario del governo informa un collega che gli Stati Uniti dispongono di un numero di ventilatori sufficiente a servire solo una piccola parte delle persone che ne hanno bisogno. Osservando tutti questi eventi prendere forma nella realtà, Wright è stato colto da “un certo stupore”, ha raccontato. “Mentre scrivevo il libro ho pensato che sarebbe potuto accadere prima o poi”, dice, “ma non pensavo che sarebbe successo oggi”.

The end of october (La fine d’ottobre) sarà pubblicato alla fine di aprile, due settimane prima di quanto previsto inizialmente. L’uscita di altri titoli è stata rimandata a causa della crisi, ma l’editore Knopf ha deciso di mettere il più velocemente possibile questo libro nelle mani dei lettori costretti a casa, dopo aver osservato l’aumento delle vendite di classici della letteratura delle pandemie come La peste di Albert Camus e L’ombra dello scorpione di Stephen King.

L’istinto per le grandi storie
“Mi danno dell’opportunista”, mi ha detto qualche giorno fa Wright, parlando su FaceTime dalla sua casa-ufficio piena di libri, a Austin, in Texas. The Telegraph, mi ha confidato con amarezza, ha scritto di recente che The end of october “potrebbe essere l’unico libro a beneficiare del fatto di essere pubblicato mentre il coronavirus si diffonde”. I suoi amici, nel frattempo, l’hanno preso in giro dandogli del “profeta”: un epiteto che il riservato scrittore texano ha rigettato con una benevola risatina. “Non mi considero un profeta né particolarmente preveggente. Di solito noi giornalisti ci chiediamo ‘cosa è successo’. La nostra abilità consiste nell’andare a parlare con le persone, verificare i fatti che le riguardano e cercare di capirli a nostra volta, in modo da poterli spiegare ai nostri lettori. Il passo per arrivare a chiedersi ‘cosa potrebbe succedere’ è piuttosto breve”.

Può darsi che Wright non sia un profeta ma possiede quello che il suo capo David Remnick, direttore del New Yorker, definisce “un infallibile istinto per le grandi storie”. Le pandemie “non erano esattamente un segreto”, ha osservato Remnick in una email, “e da tempo molte altre persone evocano il pericolo di fenomeni simili al covid-19. Larry ha chiaramente cercato di dare una forma drammatica a simili avvertimenti in forma di romanzo. E poi è successo tutto questo: così presto, e in maniera così orribile”.

Leggere The end of october oggi provoca una profonda inquietudine

Sarebbe facile considerare l’inquietante verosimiglianza del libro come una semplice coincidenza, se Wright non avesse già fatto qualcosa di simile. Alla metà degli anni novanta, la produttrice cinematografica Lynda Obst l’aveva assunto per scrivere una sceneggiatura, stabilendo unicamente che dovesse parlare di una donna nella Cia. Wright affrontò il compito come un incarico giornalistico, intervistando vari agenti ed esperti d’intelligence, che gli parlarono dei rischi posti dal terrorismo islamista, una minaccia che all’epoca era ancora lontana dall’attualità.

Il film che ne è uscito, Attacco al potere, racconta una serie di attentati terroristici a New York, ed è stato un fallimento al botteghino, ma tre anni dopo la sua uscita, all’indomani dell’11 settembre, è diventato il film più noleggiato negli Stati Uniti, racconta Wright. In un’intervista rilasciata alla Cbs nel 2007, l’autore aveva descritto la sensazione provata osservando in televisione gli attentati dell’11 delle torri gemelle: “Le persone dicevano, ‘sembra proprio un film’. E io pensavo, ‘eh sì, sembra il mio film’”.

Avversario invisibile
La trama di The end of october gli è stata ispirata da una conversazione con il regista Ridley Scott, una decina di anni fa. Scott, che era interessato a collaborare con Wright per un film, aveva letto da poco La strada, il cupissimo romanzo di Cormac McCarthy, che racconta di un padre e di un figlio che lottano per sopravvivere alla devastazione di un cataclisma globale non meglio specificato. Gli incendi hanno consumato foreste e città, il denaro ha perso tutto il suo valore, gli stati sono caduti e il cannibalismo ha preso piede. Scott sfidò Wright a scrivere una sceneggiatura ispirata alle domande che rimangono senza risposta nella storia di McCarthy. Per usare le parole dello scrittore: “Cosa potrebbe portare la nostra società a spaccarsi?”.

Wright prese in considerazione i colpevoli più scontati: la guerra e il terrorismo (i pericoli dei cambiamenti climatici, ha spiegato, non erano allora così chiari come oggi). Ma poi ha ripensato all’inizio della sua carriera, quando, da giornalista, aveva raccontato l’epidemia d’influenza suina in una base militare, nel 1976. Allora era rimasto colpito dal coraggio del personale sanitario e degli scienziati che aveva conosciuto. “Erano intellettuali e spacconi, una combinazione rara, che operavano in condizioni terribilmente, ma davvero terribilmente, pericolose”. Gli eroi di quelle battaglie sono rimasti perlopiù ignoti al grande pubblico, e lo stesso vale anche per i nemici contro i quali si battevano. “Le malattie sono una sorta di avversario invisibile”, ha spiegato. “Non si presentano, e poi entrano improvvisamente in scena”. In parte tutto questo è il risultato della nostra superbia. “Il ventesimo secolo è stato tutto improntato a superare le malattie della storia, e abbiamo fatto un grande lavoro in questo senso. Ma la natura non ha smesso di creare nuove forme di malattie. Può darsi che la malattia sia il nostro più grande nemico, ma lo abbiamo messo da parte perché siamo troppo concentrati sui nostri antagonisti umani”.

Wright, in isolamento nella sua casa di Austin, spera in un finale migliore di quello che ha immaginato nel libro

Wright aveva consegnato a Scott una sceneggiatura su un epidemiologo che cercava di fermare la diffusione del virus e di trovare una cura, mentre la sua famiglia doveva fari i conti con le terribili conseguenze della malattia. Alla fine Scott non ha realizzato il film. Ma Wright non è riuscito a togliersi dalla testa gli scienziati con cui aveva parlato mentre effettuava le sue ricerche per la storia, e la loro preoccupazione per la possibilità di una pandemia in grado di devastare l’umanità. Gli ricordavano le conversazioni avute con gli esperti di antiterrorismo quando preparava Attacco al potere. In entrambi i casi, secondo Wright, “c’era un livello d’ansietà che non avevo previsto”. Così ha trasformato la sua sceneggiatura in un romanzo, immergendosi nuovamente nelle ricerche.

La fine della modernità
Wright è noto per i suoi articoli approfonditi e meticolosi. Il suo libro più noto, The looming tower, vincitore di un premio Pulitzer nel 2007, è il racconto definitivo dell’ascesa di Al Qaeda. Per costruire la sua avvincente narrazione, ha intervistato più di cinquecento fonti, tra cui i migliori amici di Osama Bin Laden all’università (è stato detto che ne sa più, su Al Qaeda, di molte persone nella Cia o nell’Fbi). Per The end of october ha parlato con alcuni dei più importanti virologi ed epidemiologi al mondo, direttori di équipe che lottano contro le malattie in luoghi come gli Istituti nazionali di sanità (Nih) e Fort Detrick, il laboratorio militare un tempo al cuore del programma di sviluppo di armi biologiche degli Stati Uniti.

Barney Graham, vicedirettore del Centro di ricerca per i vaccini presso i Nih, mi ha raccontato di aver accettato di aiutare Wright sperando che il romanzo avrebbe spiegato alle persone la necessità di prepararsi a una pandemia. “È difficile immaginare la realtà finché non la vivi di persona”, mi ha spiegato Graham, che oggi è impegnato nella corsa per la scoperta di un vaccino contro il covid-19. Un’altra fonte, il dottor Philip R. Dormitzer, responsabile scientifico presso l’unità ricerca vaccini di Pfizer, ha dichiarato di sperare che il romanzo di Wright crei un nuovo genere di thriller. “Le storie nelle quali l’eroe è un virologo stacanovista di mezz’età sono piuttosto rare”, ha scritto.

Leggere il libro oggi, nel cuore di una pandemia che ha mostrato la spaventosa fragilità delle nostre strutture sociali e istituzioni politiche, è un’esperienza che provoca una profonda inquietudine. Nel libro di Wright un virus immaginario, l’influenza Kongoli – una malattia più letale del covid-19 – imperversa nel mondo, scatenando una serie di orrori distopici. Il cibo comincia a scarseggiare, i governi crollano, un ciberattacco mette internet fuori uso, e lo scoppio di una guerra tra Stati Uniti e Russia trascina il mondo in una nuova età oscura. “Restava poco della modernità, a parte le armi”, scrive Wright con il suo tono schietto, da reporter. Leggendo un passaggio che racconta come l’assalto ai bancomat abbia reso quasi impossibile l’acquisto di cibo per il protagonista, ho pensato ai 23 dollari nel mio portafoglio e ho preso l’appunto mentale di ritirare più contanti.

Wright mi ha raccontato di aver vissuto qualcosa di simile. Durante la scrittura aveva preparato sul suo computer un calendario per tenere traccia dei movimenti dei suoi personaggi mano a mano che il virus si diffondeva nel mondo. Anche se da allora ha cercato di cancellarlo, i promemoria continuano, di tanto in tanto, a fare misteriosamente capolino. All’inizio di marzo, quando la città di Austin stava ancora discutendo se cancellare o meno il festival South by Southwest, Wright ha pensato alla sequenza in cui il suo protagonista, l’epidemiologo Henry Parsons, dice alla moglie di fare scorte e di prepararsi a resistere per un periodo di difficoltà. Poi ha ordinato dei semi e ha piantato della lattuga. “Il mio protagonista mi stava suggerendo che avremmo dovuto fare lo stesso”.

Henry riuscirà alla fine a trovare casualmente un primo vaccino, e a tracciare la storia del virus fino alle sue sorprendenti origini. Ma il mondo sarà comunque radicalmente trasformato, e non in meglio “Ho scritto il libro in un periodo di desolazione nazionale. Gli Stati Uniti stanno declinando, la nostra politica è diventata troppo litigiosa, siamo ormai paralizzati in quanto paese”, ha spiegato Wright. “E quindi il libro riflette questo atteggiamento. E francamente, alla fine del libro, il paese non riesce a essere all’altezza della sfida”.

In questi giorni Wright, che si è messo in isolamento nella sua casa di Austin, dove la sera suona il pianoforte con sua figlia e suo genero, spera in un finale migliore di quello che ha immaginato nel libro. “Abbiamo davanti a noi un’opportunità per ripartire da zero culturalmente, e che potrebbe portarci a vivere tempi migliori”, mi ha detto in tono malinconico. “La peste nera aveva portato al rinascimento. Aveva messo fine al medioevo. E aperto la mentalità degli esseri umani. Oggi, non so cosa verrà fuori da tutto questo. Ma penso che l’esito sia ancora nelle nostre mani”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Vulture.

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