26 giugno 2020 13:48

Inspirare dal naso ed espirare dalla bocca: non è solo un esercizio da eseguire durante una lezione di yoga. Respirare in questo modo presenta un grande vantaggio dal punto di vista medico che può aiutare a combattere un’infezione virale.

La cavità nasale, infatti, produce monossido di azoto, una molecola abbreviata dai chimici in NO, che aumenta il flusso sanguigno nei polmoni e incrementa i livelli di ossigeno nel sangue. Inspirando dal naso portiamo l’NO direttamente nei polmoni, dove può aiutare a combattere le infezioni da coronavirus bloccando il ciclo replicativo del virus nei polmoni. Anche molti appassionati di yoga traggono benefici dall’inspirazione nasale anziché orale: l’elevata saturazione di ossigeno del sangue può farci sentire più rinvigoriti e aumentare la nostra resistenza.

Io sono uno dei tre farmacologi che hanno ricevuto il premio Nobel nel 1998 proprio per aver scoperto il modo in cui il monossido di azoto viene prodotto dal corpo umano e il suo funzionamento.

Il monossido di azoto è una molecola segnale molto diffusa che innesca una grande varietà di effetti fisiologici. Clinicamente è usata come gas per dilatare selettivamente le arterie polmonari dei neonati affetti da ipertensione polmonare. Diversamente da molte molecole segnale, lo stato naturale dell’NO è gassoso.

Rilassare i muscoli
Il monossido di azoto è prodotto a ciclo continuo dai mille miliardi di cellule che formano il tessuto endoteliale degli oltre centomila chilometri di vasi sanguigni che si snodano nel nostro corpo, soprattutto nei polmoni. Il monossido di azoto prodotto dal tessuto endoteliale serve a rilassare il tessuto muscolare liscio delle arterie per prevenire una pressione eccessiva e favorire il flusso di sangue verso tutti gli organi. Un altro ruolo essenziale dell’NO è quello di evitare la formazione di trombi nei vasi arteriosi.

Oltre al tessuto muscolare vascolare, il monossido di azoto rilassa anche quello delle vie aeree (trachea e bronchioli) facilitando la respirazione. Un altro tipo di rilassamento del tessuto muscolare liscio legato all’NO si verifica nel corpo cavernoso, creando l’erezione. Il monossido di azoto è il principale mediatore responsabile dell’erezione e dell’eccitazione sessuale. Questa scoperta ha portato allo sviluppo e alla commercializzazione del sildenafil (conosciuto come Viagra), un farmaco che agisce potenziando l’azione dell’NO.

Altri tipi di cellule, incluse le cellule circolanti, i globuli bianchi e i macrofagi, producono monossido di azoto a scopo antimicrobico. L’NO interagisce con altre molecole prodotte dalle stesse cellule per formare agenti antimicrobici che distruggono i microrganismi interni, tra cui batteri, parassiti e virus. Come potete vedere, il monossido di azoto è una molecola straordinaria.

Dato che l’NO è un gas, può essere somministrato con l’aiuto di apparecchi speciali che permettono ai pazienti di inalarlo. Il monossido di azoto inalato viene utilizzato per curare i bambini nati con un’ipertensione polmonare persistente, una patologia in cui le arterie ristrette limitano il flusso sanguigno e l’assorbimento dell’ossigeno.

Il monossido di azoto inalato dilata le arterie ristrette e aumenta il flusso sanguigno nei polmoni. Grazie a questo processo l’emoglobina contenuta nei globuli rossi può prelevare l’ossigeno e rilasciarlo nell’apparato circolatorio. L’NO inalato ha letteralmente trasformato il colorito di molti neonati da “blu” a “rosa”, permettendogli di guarire e tornare a casa con i genitori. Prima di questa terapia la maggior parte dei bambini affetti da ipertensione polmonare non sopravviveva.

Gli studi sulla Sars
Attualmente il monossido di azoto per inalazione viene usato in alcuni studi clinici su pazienti affetti da covid-19. I ricercatori sperano di combattere il virus anche grazie alle tre principali azioni della molecola: la dilatazione delle arterie polmonari con l’aumento del flusso sanguigno, la dilatazione delle vie respiratorie con l’aumento del rilascio di ossigeno nei polmoni e nel sangue e la capacità di fermare o quantomeno rallentare la crescita e la diffusione del virus nei polmoni.

In uno studio in vitro condotto nel 2004, durante l’epidemia di Sars, i composti sperimentali che rilasciano NO hanno incrementato il tasso di sopravvivenza delle cellule eucariote dei mammiferi infettate dal Sars-cov. Questi risultati hanno suggerito che il monossido di azoto abbia un effetto antivirale diretto. Lo studio ha rilevato che l’NO inibiva significativamente il ciclo replicativo del virus bloccando la produzione di proteine virali e del materiale genetico, l’Rna.

In un piccolo studio clinico condotto nel 2004, il monossido di azoto inalato si è dimostrato efficace contro il Sars-cov in pazienti affetti da polmonite e in gravi condizioni.

Il Sars-cov, responsabile dell’epidemia del 2003-2004, condivide la maggior parte del suo genoma con il Sars-cov-2, il virus che causa il covid-19. Di conseguenza è possibile che la terapia basata sull’NO per inalazione possa risultare efficace anche per i pazienti affetti da covid-19. Al momento diversi istituti stanno conducendo studi clinici con la somministrazione di NO ai pazienti affetti da forme moderate o gravi di covid-19 e costretti a dipendere da un respiratore. La speranza è che l’inalazione di monossido di azoto risulti efficace e riduca la necessità di ventilatori e posti letto in terapia intensiva.

Diversamente dalla bocca, le cavità nasali producono NO a ciclo continuo. Il monossido di azoto prodotto nelle cavità nasali è chimicamente identico a quello usato nella terapia per inalazione. Dunque inspirare dal naso ci permette di portare l’NO direttamente nei polmoni, dove incrementa il flusso respiratorio e sanguigno oltre a contrastare i microrganismi e le particelle virali.

Mentre attendiamo con impazienza i risultati degli studi clinici sull’inalazione di NO e lo sviluppo di un vaccino contro il covid-19, dovremmo cercare di respirare nel modo più corretto, massimizzando l’inalazione di monossido di azoto. Ricordate: inspirare dal naso, espirare dalla bocca.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Conversation.

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